Sei osservazioni a proposito di aborto procurato «casalingo»
Sei osservazioni a proposito di aborto procurato «casalingo»
1. Della questione ci siamo, sotto un certo profilo, già occupati sia con la Nota Pillola Ru 486: alcune questioni biogiuridiche a margine di una polemica (cfr. «Filodiritto» 8 settembre 2020), sia - più recentemente - nel Capitolo IV del volume D. CASTELLANO, Cronache biogiuridiche (Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2022, pp. 49-59). È opportuno, però, ritornarvi dopo l'annuncio delle nuove linee guida sull'aborto procurato senza ricovero, preannunciate su Facebook dal ministro Speranza; annuncio ripreso da «VirgilioNotizie» e da «Tgcom24».
Che cosa è stato annunciato? È stato annunciato: a) che l'interruzione volontaria della gravidanza con metodo farmacologico avviene nel rispetto della Legge n. 194/1978; b) che l'aborto farmacologico può essere praticato nelle strutture pubbliche e private convenzionate e che le donne possono tornare a casa dopo mezz'ora dall'assunzione della pillola abortiva; c) che l'aborto farmacologico può essere praticato fino a 63 giorni di gestazione (il termine ad quem risulta così spostato in avanti rispetto alla normativa precedente, la quale lo consentiva sino a sette settimane).
2. Le nuove linee guida preannunciate hanno riacceso discussioni e polemiche sulla Deliberazione della Giunta Regionale dell'Umbria, guidata da Donatella Tesei. Il deputato Walter Verini del PD ha chiesto alla Presidente Tesei di «revocare» la Deliberazione. Le nuove linee guida, infatti, sarebbero – a suo avviso - una risposta «civile» e «moderna», conformi al dettato e alle rationes della Legge n. 194/1978. Esse seppellirebbero definitivamente – ha affermato il deputato Verini - «ogni concezione medievale del ruolo delle donne e ogni tentativo di rimettere indietro le lancette dell'orologio della storia». Da parte sua Massimo Gandolfini (leader del Family day), dopo aver osservato che il ministro Speranza estende la possibilità di praticare l'aborto farmacologico fino alla nona settimana di gestazione (contro, come si è detto, le precedenti sette settimane), ha affermato che l'assunzione della pillola Ru 486 senza ricovero «è un attentato alla vita e alla salute della donna», lasciandola, fra l'altro, sempre più sola in una decisione drammatica.
3. Andiamo per gradi. Innanzitutto si deve osservare che attualmente le parole vengono usate in assoluta libertà. Esse, cioè, non sono strumenti per la trasmissione del pensiero. Dipendono, nell’ipotesi migliore, dall’ideologia condivisa da colui che parla o scrive. Il termine «civiltà», per esempio, mal si addice a una società che consente l’omicidio dell’innocente. Il nascituro non ha colpa alcuna. Non porta la responsabilità del suo concepimento. Come si fa, perciò, a considerare «civile» una Legge come la n. 194/1978? Può essere considerata «moderna», cioè coerente con i canoni della modernità, assiologicamente intesa. Il che starebbe a significare conforme alle (spesso assurde) rivendicazioni dell’Occidente contemporaneo il quale considera diritto ogni pretesa. Non ogni pretesa è diritto. Lo scambio del diritto con la pretesa è segno di barbarie, di inciviltà. Sostenere, pertanto, che l’aborto procurato è «civile» significa confondere termini fra loro incompatibili.
4. Affermare, poi, secondo lo schema illuministico, che il Medioevo è l’epoca dell’oscurantismo, della negazione del diritto, della barbarie, implica l’accettazione acritica di una visione della storia ipotecata dalla visione gnostica. Noi siamo convinti – la convinzione è suffragata da prove - che ogni epoca presenta aspetti positivi e negativi. Non sono esistiti, non esistono e non esisteranno mai periodi storici idilliaci: la storia è il periodo della prova. Quindi essa presenta sempre luci ed ombre. Fa sorridere, perciò, l’ingenuità di chi ritiene che la storia cammini necessariamente verso il bene, che le epoche che vengono dopo siano di per sé migliori delle precedenti. C’è stato il male nell’Antichità e nel Medioevo come c’è il male nella storia moderna e in quella contemporanea. Non è il caso di esemplificare. Basta considerare l’esperienza per rendersi immediatamente conto che la tesi secondo la quale la storia avrebbe un orologio le cui lancette non possono essere riportate indietro è uno slogan propagandistico anche se talvolta sostenuto da pensatori che solo impropriamente possono essere definiti tali.
5. Erano opportune queste due osservazioni preliminari per rendersi conto della superficialità di enunciati verbali che mai possono essere considerati argomenti. È opportuno considerare, poi, che il termine a quo assunto dalle linee guida è necessariamente incerto. In altre parole il momento a partire dal quale si devono considerare i giorni della gestazione non è determinabile con certezza. Nessuno, infatti, è in grado di stabilire il momento preciso del concepimento. Nessuno, pertanto, è in grado di individuare la data a partire dalla quale può iniziare la conta dei giorni di gestazione. Il legislatore che stabilisse giorni o settimane entro le quali considerare lecito l’aborto procurato opererebbe con presunzione e stabilirebbe arbitrariamente i giorni e le settimane, rectius determinerebbe per norma una certezza incerta che va contro le esigenze anche del (cosiddetto) diritto positivo, soprattutto di quello moderno che taluni affermano essere nato per garantire la sua certezza.
6. Le linee guida sull’aborto procurato per via farmacologica affermano che esso – l’aborto – può essere praticato fino a 63 giorni di gestazione in quanto «non esistono evidenze scientifiche che sconsiglino la somministrazione [della pillola abortiva] alla nona settimana». Anche a questo proposito bisogna intendersi. Innanzitutto va osservato che le cosiddette «evidenze scientifiche» sono riferite solamente alla gestante, non al nascituro. Al nascituro, infatti, viene provocata un’iniuria, la più grave delle iniuriae: esso perde la vita con l’uso della pillola abortiva da parte della gestante. Questa è un’evidenza non considerata tale da chi è stato chiamato ad esprime il proprio parere sulla questione. C’è, poi, da considerare che anche con riferimento ai problemi creati alla sola gestante dall’uso della pillola abortiva ci sono «evidenze scientifiche» palesemente ignorate. A questo proposito ci siamo soffermati nella Nota citata e apparsa in «Filodiritto» nel settembre 2020 e nel Capitolo IV del volume – pure citato – Cronache biogiuridiche. Il problema, però, è ancora più radicale: l’evidenza talvolta non è evidente. Per lo meno non è sempre evidente a tutti. Il che non significa che non ci sia. Spesso bisogna cercarla intenzionalmente, disporre delle competenze per rilevarla, avere l’umiltà di riconoscerla. Non è dato sapere sulla base di quali ricerche, di quali sperimentazioni, di quali dati il Consiglio Superiore di Sanità si sia pronunciato; pronunce che fanno dire alle linee guida che l’aborto farmacologico è sicuro (per chi? per che cosa?) e che le donne che assumono la pillola abortiva possono tornare a casa mezz’ora dopo aver assunto il medicinale (che, propriamente parlando, medicinale non è perché è usato non per guarire ma per sopprime) su quale fondamento poggiano?
7. Non ci si può opporre all’aborto procurato solo evocando i pericoli per la vita e la salute della donna. La prima e principale ragione, infatti, per l’opposizione all’aborto procurato è data dalla grave ingiustizia praticata nei confronti del nascituro, il quale ha diritto alla vita. La gestante, portando la responsabilità del suo concepimento, non consentendo al concepito di vivere, disattente un’obbligazione naturale che nessuno – nemmeno il legislatore, anzi nemmeno Dio – ha il potere di porre nel nulla. Abbiamo già sottolineato negli scritti richiamati l’errore (quanto meno l’insufficienza di simili affermazioni) di questi percorsi. Ora insistiamo nel dire che non si tratta di stati d’animo psicologici, di problemi di solitudine, di «pericoli» ai quali con qualche accorgimento preventivo o con interventi successivi all’aborto procurato farmacologicamente si può porre rimedio. La questione è di altra natura. È molto più grave sia moralmente sia giuridicamente.
8. Le nuove linee guida volute dal Ministro della Salute – si è scritto – hanno innescato nuove polemiche sulla Deliberazione della Giunta regionale dell’Umbria, guidata da Donatella Tesei. L’affermazione è vera. Essa, però, riguarda aspetti formali, non sostanziali. La Deliberazione della Giunta regionale dell’Umbria non si oppone all’aborto farmacologico, tanto meno all’aborto in sé (cosa legalmente impossibile). Prescrive semplicemente – la cosa sarebbe da considerare normale – l’applicazione prevista dalle norme positive vigenti. Non entra nel merito della questione, cioè sugli aspetti di legittimità della norma. Non impedisce la pratica dell’aborto farmacologico. Essa risponde alle rationes e alle prescrizioni dell’ordinamento giuridico positivo. Insistere nel sostenere che la Giunta regionale dell’Umbria, presieduta da Donatella Tesei, si è opposta all’aborto è una falsa affermazione, un vero e proprio «depistaggio» informativo, un tentativo di evitare la discussione relativa alla questione. Si teme, infatti, da ogni parte che la soluzione razionale che ad essa venga data possa segnare chiaramente il confine tra civiltà e barbarie, oggi, come abbiamo visto sopra, invertite nel loro significato e nelle loro «legali» applicazioni.