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Brevi riflessioni sulla causa nel contratto: ... e se la causa fosse una forma di causalità?

Indice:

1. La causa nel contratto

2. Le varie tesi

3. La giurisprudenza recente

4. Causa come causalità

4.1. Presupposizione e causa

5. Conclusioni

1. La causa

La causa è stato uno degli elementi negoziali più studiato, accendendo dibattiti mai del tutto sopiti.

La rilevanza della causa è ben nota[1], perché una sua esatta qualificazione e perimetrazione permette di accedere all’azione di nullità, nelle ipotesi di causa insussistente, ex art. 1325 c.c., o illecita, ex art. 1343 c.c.

L’azione di nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse (per cui è necessario dimostrare che dall’eventuale accoglimento della domanda di nullità derivi un vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale[2], per l’attore) ed è rilevabile d’ufficio[3].

Attestata l’importanza di un’esatta definizione di causa, cosa si deve intendere con tale concetto? E’ preferibile optare per una visione oggettiva o soggettiva? Oppure, ancora, per una ricostruzione di rigore verso la lettera della legge?

2. Le varie tesi[4]

La definizione di causa non è unanime, tanto da indurre parte della dottrina a parlare di concetto fumoso ed oscuro[5].

Secondo una prima opzione ermeneutica (tesi oggettiva) la causa sarebbe da individuare nella controprestazione[6], così che la causa della vendita, ad esempio, sarebbe il denaro; ciò che indurrebbe un soggetto a compiere una certa scelta negoziale piuttosto che un’altra sarebbe la sola controprestazione.

Secondo altra opzione ermeneutica, diversamente, la causa sarebbe lo scopo pratico[7] (tesi soggettiva) perseguito dalla parte, che potrebbe anche non coincidere con la controprestazione, giustificando a pieno la validità di contratti dove emerge un certo squilibrio delle prestazioni, perché la controprestazione avrebbe un valore meramente soggettivo; id est, la causa non sarebbe la controprestazione vista in modo oggettivo, ma lo scopo pratico che induce un certo soggetto a scelte negoziali (ad esempio, la vendita di una casa ad un prezzo basso potrebbe avere lo scopo pratico di solidificare il rapporto acquirente-venditore in vista di operazioni commerciali successive e ben più remunerative per il venditore).

In posizione intermedia, poi, vi sarebbero altre tesi che ricostruiscono la causa come funzione economico sociale[8] oppure economico individuale[9].

3. La giurisprudenza recente

La giurisprudenza più recente[10] sembra aver abbandonato ricostruzioni oggettive, a favore di ricostruzioni soggettive e volte ad individuare caso per caso la presenza o meno della causa negoziale, con la conseguenza di arrivare a ritenere che anche modelli contrattuali tipici potrebbero essere nulli per illiceità della causa.

In particolare[11], è stato affermato che la causa sarebbe <<sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale>>.

Si tratta, con tutta evidenza, di una visione causale basata sul singolo negozio giuridico[12] posto in essere, a prescindere da una dogmatica astratta: il contratto andrebbe visto in concreto, relativamente ai singoli interessi coinvolti, che ben possono non coincidere con quelli astrattamente ipotizzabili attraverso il mero riferimento allo schema negoziale adoperato.

Diversamente argomentando, in fondo, si rischierebbe di non tenere in debita considerazione le singole specificità, finendo per trattare in modo uguale situazioni giuridiche diseguali, in contrasto con l’art. 3 Cost.

4. Causa come causalità

Alla luce di quanto così sinteticamente affermato, sembra potersi dire che l’idea della causa in concreto sembra correttamente perimetrare l’ambito applicativo della disciplina giuridica sulla causa.

Tuttavia, il concetto di causa, se inteso come scopo pratico (o causa in concreto), rischia di sovrapporsi a quello dei motivi, la cui distinzione è imposta dallo stesso legislatore, ex art. 1345 c.c.

Più chiaramente, tanto più il concetto di causa si intende in concreto tanto più si avvicinerà a quello dei motivi, che si riferiscono proprio allo scopo pratico ed individuale perseguito dal soggetto interessato[13].

Se, infatti, si accoglie la tesi della causa in concreto (oppure scopo pratico), ne segue, de plano, che si pongono significativi problemi di perimetrazione giuridica tra motivi e causa; la stessa giurisprudenza[14] che ha ricostruito la causa in termini concreti non ha affrontato, poi, ex professo, il problema della sovrapposizione con i motivi.

Alla luce, quindi, di tali profili critici, l’orientamento giurisprudenziale di cui si è detto non è del tutto condivisibile, ma induce, al contrario, ad ipotizzare una ricostruzione della causa in termini del tutto diversi (ed inediti).

La causa, per sua stessa definizione, invero, sembra richiamare il concetto di causalità, ovvero di condicio sine qua non di un determinato evento; in particolare, la causa del contratto ben potrebbe essere la condicio sine qua non negoziale, ovvero il fattore scatenante la determinazione contrattuale.

La causa, infatti, optando per una ricostruzione rigorosamente letterale, ben potrebbe essere la causalità della determinazione negoziale, sulla falsariga della causalità (umana, scientifica, giuridica[15], ecc.) in ambito penale, ex art. 40 c.p., che determina un certo evento; nel diritto penale e nell’illecito civile, specificatamente, la causalità (attiva oppure omissiva) sarebbe la determinazione di un fatto, diversamente dalla causalità contrattuale che sarebbe la determinazione di un negozio giuridico.

In questo senso, la causa nel contratto altro non sarebbe se non un fatto esterno che determina la nascita della volontà negoziale (entrando, comunque, nel contratto, ex art. 1325 c.c.), come nel caso in cui vi sia un soggetto che viene trasferito per lavoro da un luogo ad un altro, laddove l’eventuale causa dell’acquisto di una nuova casa, in altro luogo, sarebbe proprio il fatto “trasferimento per lavoro”; id est, la causa sarebbe la causalità del negozio giuridico, che piuttosto che determinare un fatto, come nell’ipotesi di causalità penale e illecito civile, determinerà la nascita di un atto formale.

Accogliendo tale ricostruzione, allora, si riuscirebbe a distinguere più chiaramente la causa dai motivi, perché nel primo caso ci si riferirebbe ad un fatto esterno che determina la nascita della volontà, mentre nel secondo caso ci si riferirebbe alle finalità[16] del negozio giuridico posto in essere (nel caso di specie, ad esempio, il trasferimento lavorativo determinerà la nascita del motivo, quale ad esempio l’acquisto di una casa grande, piuttosto che piccola, in vista della nascita di figli, oppure per concedere in locazione una parte della stessa causa, ecc.); la causa sarebbe pur sempre qualcosa che sta “a monte”, diversamente dai motivi che starebbero “a valle”.

Altresì, si riuscirebbe a tenere in debita considerazione la singola specificità negoziale, non trattando in modo eguale situazioni giuridiche diseguali, in contrasto con l’art. 3 Cost. (come, invece, rischiava di fare la tesi della causa in senso oggettivo).

4.1. Causa e presupposizione

La tesi esposta della causa contrattuale come causalità negoziale sembra avvicinare il concetto di causa a quello di presupposizione; in effetti, i due concetti finiscono per coincidere, a tutto vantaggio della causa che è espressamente prevista dal legislatore, ed a discapito della presupposizione che verrebbe svuotata di significato giuridico.

Se, infatti, si ritiene la causa come un fatto esterno condizionante la volontà, allora, tale definizione è equivalente a quella di presupposizione; la tesi esposta, comunque, resta coerente con il dato letterale (la causa richiama letteralmente la causalità) e permette di abbandonare la costruzione della presupposizione che, tra l’altro, non trova espressa menzione nell’ordinamento giuridico.

Tuttavia, la giurisprudenza recente[17] in senso contrario, optando per la ricostruzione della causa in termini concreti, ha distinto la causa dalla presupposizione, affermando che <<alla presupposizione può allora riconoscersi autonomo rilievo di categoria unificante assumente specifico significato laddove nell’ambito delle circostanze giuridicamente influenti sul contratto ad essa si riconducano, quali presupposti oggettivi, fatti e circostanze che, pur non attenendo alla causa del contratto o al contenuto della prestazione, assumono (per entrambe le parti ovvero per una sola di esse, ma con relativo riconoscimento da parte dell’altra) un’importanza determinante ai fini della conservazione del vincolo contrattuale. Circostanze che, pur senza essere - come detto - dedotte specificamente quale condizione del contratto, e pertanto rispetto ad esso "esterne", ne costituiscano specifico ed oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del negozio determinato alla stregua dei criteri legali d’interpretazione, assumenti valore determinante per il mantenimento del vincolo contrattuale>>.

5. Conclusioni

In base a quanto scritto, invero, la tesi della causa contrattuale come causalità negoziale sembra condivisibile, perché coerente con il dato letterale, con le singole specificità dei casi concreti e con l’impianto giuridico in genere, permettendo di distinguere tutte le singole figure previste dal legislatore (causa e motivi, in particolare).

Altresì, in questo modo, si riuscirebbe ad abbandonare la figura teorica della presupposizione che, seppur giurisprudenzialmente consacrata (e di recente confermata), resta priva di riscontro normativo, expressis verbis, determinando più volte contrasti interpretativi (in alcuni casi si è ritenuto che la presupposizione giustificasse il recesso[18], mentre in altri casi che determinasse la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta[19]).



[1] Per un approfondimento si veda ZONFRILLI, La causa nel contratto, in VIOLA, Studi monografici di diritto civile, Matelica (MC), 2007, 15 e ssgg.

[2] Secondo taluni, il vantaggio derivante dall’azione di nullità può essere solo patrimoniale, ai fini della legittimazione attiva.

[3] Sul tema della rilevabilità d’ufficio della nullità, si veda la recente sentenza Cassazione civile 21632/2006, in diritto-in-rete.com, 2007, url http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=315.

[4] L’esposizione delle singole tesi è limitata all’essenziale.

[5] Il riferimento è a FRANCESCHETTI, La causa del contratto, ovvero i vestiti nuovi dell’imperatore, in Altalexmese, 2007, url http://www.altalex.com/index.php?idstr=303&idnot=35876.

[6] Si veda ZONFRILLI, già cit.

[7] Sul tema della causa in concreto, si veda FERRI, Lezioni sul contratto, Bologna, 1982. Si veda anche TAMBURRINO, Scritti per Barberio Corsetti, Milano, 1965.

[8] SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997.

[9] Per approfondire la tematica sulla causa si veda BIANCA, Il contratto, Milano, 2000; DIENER, Il contratto in generale (Manuale ed applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi), Milano, 2002; PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2003; ZONFRILLI, già cit.

[10] Il riferimento è alla pronuncia della Cassazione civile, sez. III, sentenza 08.05.2006 n° 10490, in Altalex.com, 2007, Url: http://www.altalex.com/index.php?idstr=20&idnot=34356, con nota di BRUNO, Anche un contratto tipico può essere nullo per mancanza di causa.

[11] Cassazione civile 10490/2006, già cit.

[12] Si ritiene di non approfondire la complessa tematica relativa all’esistenza o meno, nel nostro ordinamento, della costruzione logica del negozio giuridico, limitandosi ad optare, sic et simmpliciter, per la tesi positiva.

[13] La definizione di motivo evidenziata è di TORRENTE, Manuale di diritto privato, Milano, 1997, 205. Si veda anche BESSONE, Causa tipica e motivo del contratto, dogmi di teoria generale, orientamenti della giurisprudenza, in Riv. Trim. dir. E proc. Civile, 1979, 1098.

[14] Cassazione civile 10490/2007, già cit.

[15] Per una ricostruzione esaustiva delle varia tesi, di matrice penale, in tema di causalità, si veda GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Milano, 2006; di recente la giurisprudenza (Cassazione civile 21619/2007, in Altalex Massimario, 20/2007) ha ritenuto che la causalità di tipo penale sia del tutto diversa da quella civile.

[16] Che restano nella sfera volitiva interna dell’interessato.

[17] Cassazione civile , sez. III, sentenza 25.05.2007 n° 12235, in Altalex Massimario, 13/2007.

[18] Cassazione civile 12235/2007, già cit.

[19] Cassazione civile 6631/2006. La tesi che prevede il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, ex art. 1467 c.c.,, a seguito della venuta meno di un elemento presupposto, è quella prevalente in giurisprudenza.

Indice:

1. La causa nel contratto

2. Le varie tesi

3. La giurisprudenza recente

4. Causa come causalità

4.1. Presupposizione e causa

5. Conclusioni

1. La causa

La causa è stato uno degli elementi negoziali più studiato, accendendo dibattiti mai del tutto sopiti.

La rilevanza della causa è ben nota[1], perché una sua esatta qualificazione e perimetrazione permette di accedere all’azione di nullità, nelle ipotesi di causa insussistente, ex art. 1325 c.c., o illecita, ex art. 1343 c.c.

L’azione di nullità può essere fatta valere da chiunque vi ha interesse (per cui è necessario dimostrare che dall’eventuale accoglimento della domanda di nullità derivi un vantaggio, patrimoniale o non patrimoniale[2], per l’attore) ed è rilevabile d’ufficio[3].

Attestata l’importanza di un’esatta definizione di causa, cosa si deve intendere con tale concetto? E’ preferibile optare per una visione oggettiva o soggettiva? Oppure, ancora, per una ricostruzione di rigore verso la lettera della legge?

2. Le varie tesi[4]

La definizione di causa non è unanime, tanto da indurre parte della dottrina a parlare di concetto fumoso ed oscuro[5].

Secondo una prima opzione ermeneutica (tesi oggettiva) la causa sarebbe da individuare nella controprestazione[6], così che la causa della vendita, ad esempio, sarebbe il denaro; ciò che indurrebbe un soggetto a compiere una certa scelta negoziale piuttosto che un’altra sarebbe la sola controprestazione.

Secondo altra opzione ermeneutica, diversamente, la causa sarebbe lo scopo pratico[7] (tesi soggettiva) perseguito dalla parte, che potrebbe anche non coincidere con la controprestazione, giustificando a pieno la validità di contratti dove emerge un certo squilibrio delle prestazioni, perché la controprestazione avrebbe un valore meramente soggettivo; id est, la causa non sarebbe la controprestazione vista in modo oggettivo, ma lo scopo pratico che induce un certo soggetto a scelte negoziali (ad esempio, la vendita di una casa ad un prezzo basso potrebbe avere lo scopo pratico di solidificare il rapporto acquirente-venditore in vista di operazioni commerciali successive e ben più remunerative per il venditore).

In posizione intermedia, poi, vi sarebbero altre tesi che ricostruiscono la causa come funzione economico sociale[8] oppure economico individuale[9].

3. La giurisprudenza recente

La giurisprudenza più recente[10] sembra aver abbandonato ricostruzioni oggettive, a favore di ricostruzioni soggettive e volte ad individuare caso per caso la presenza o meno della causa negoziale, con la conseguenza di arrivare a ritenere che anche modelli contrattuali tipici potrebbero essere nulli per illiceità della causa.

In particolare[11], è stato affermato che la causa sarebbe <<sintesi degli interessi reali che il contratto stesso è diretto a realizzare (al di là del modello, anche tipico, adoperato). Sintesi (e dunque ragione concreta) della dinamica contrattuale, si badi, e non anche della volontà delle parti. Causa, dunque, ancora iscritta nell’orbita della dimensione funzionale dell’atto, ma, questa volta, funzione individuale del singolo, specifico contratto posto in essere, a prescindere dal relativo stereotipo astratto, seguendo un iter evolutivo del concetto di funzione economico-sociale del negozio che, muovendo dalla cristallizzazione normativa dei vari tipi contrattuali, si volga alfine a cogliere l’uso che di ciascuno di essi hanno inteso compiere i contraenti adottando quella determinata, specifica (a suo modo unica) convenzione negoziale>>.

Si tratta, con tutta evidenza, di una visione causale basata sul singolo negozio giuridico[12] posto in essere, a prescindere da una dogmatica astratta: il contratto andrebbe visto in concreto, relativamente ai singoli interessi coinvolti, che ben possono non coincidere con quelli astrattamente ipotizzabili attraverso il mero riferimento allo schema negoziale adoperato.

Diversamente argomentando, in fondo, si rischierebbe di non tenere in debita considerazione le singole specificità, finendo per trattare in modo uguale situazioni giuridiche diseguali, in contrasto con l’art. 3 Cost.

4. Causa come causalità

Alla luce di quanto così sinteticamente affermato, sembra potersi dire che l’idea della causa in concreto sembra correttamente perimetrare l’ambito applicativo della disciplina giuridica sulla causa.

Tuttavia, il concetto di causa, se inteso come scopo pratico (o causa in concreto), rischia di sovrapporsi a quello dei motivi, la cui distinzione è imposta dallo stesso legislatore, ex art. 1345 c.c.

Più chiaramente, tanto più il concetto di causa si intende in concreto tanto più si avvicinerà a quello dei motivi, che si riferiscono proprio allo scopo pratico ed individuale perseguito dal soggetto interessato[13].

Se, infatti, si accoglie la tesi della causa in concreto (oppure scopo pratico), ne segue, de plano, che si pongono significativi problemi di perimetrazione giuridica tra motivi e causa; la stessa giurisprudenza[14] che ha ricostruito la causa in termini concreti non ha affrontato, poi, ex professo, il problema della sovrapposizione con i motivi.

Alla luce, quindi, di tali profili critici, l’orientamento giurisprudenziale di cui si è detto non è del tutto condivisibile, ma induce, al contrario, ad ipotizzare una ricostruzione della causa in termini del tutto diversi (ed inediti).

La causa, per sua stessa definizione, invero, sembra richiamare il concetto di causalità, ovvero di condicio sine qua non di un determinato evento; in particolare, la causa del contratto ben potrebbe essere la condicio sine qua non negoziale, ovvero il fattore scatenante la determinazione contrattuale.

La causa, infatti, optando per una ricostruzione rigorosamente letterale, ben potrebbe essere la causalità della determinazione negoziale, sulla falsariga della causalità (umana, scientifica, giuridica[15], ecc.) in ambito penale, ex art. 40 c.p., che determina un certo evento; nel diritto penale e nell’illecito civile, specificatamente, la causalità (attiva oppure omissiva) sarebbe la determinazione di un fatto, diversamente dalla causalità contrattuale che sarebbe la determinazione di un negozio giuridico.

In questo senso, la causa nel contratto altro non sarebbe se non un fatto esterno che determina la nascita della volontà negoziale (entrando, comunque, nel contratto, ex art. 1325 c.c.), come nel caso in cui vi sia un soggetto che viene trasferito per lavoro da un luogo ad un altro, laddove l’eventuale causa dell’acquisto di una nuova casa, in altro luogo, sarebbe proprio il fatto “trasferimento per lavoro”; id est, la causa sarebbe la causalità del negozio giuridico, che piuttosto che determinare un fatto, come nell’ipotesi di causalità penale e illecito civile, determinerà la nascita di un atto formale.

Accogliendo tale ricostruzione, allora, si riuscirebbe a distinguere più chiaramente la causa dai motivi, perché nel primo caso ci si riferirebbe ad un fatto esterno che determina la nascita della volontà, mentre nel secondo caso ci si riferirebbe alle finalità[16] del negozio giuridico posto in essere (nel caso di specie, ad esempio, il trasferimento lavorativo determinerà la nascita del motivo, quale ad esempio l’acquisto di una casa grande, piuttosto che piccola, in vista della nascita di figli, oppure per concedere in locazione una parte della stessa causa, ecc.); la causa sarebbe pur sempre qualcosa che sta “a monte”, diversamente dai motivi che starebbero “a valle”.

Altresì, si riuscirebbe a tenere in debita considerazione la singola specificità negoziale, non trattando in modo eguale situazioni giuridiche diseguali, in contrasto con l’art. 3 Cost. (come, invece, rischiava di fare la tesi della causa in senso oggettivo).

4.1. Causa e presupposizione

La tesi esposta della causa contrattuale come causalità negoziale sembra avvicinare il concetto di causa a quello di presupposizione; in effetti, i due concetti finiscono per coincidere, a tutto vantaggio della causa che è espressamente prevista dal legislatore, ed a discapito della presupposizione che verrebbe svuotata di significato giuridico.

Se, infatti, si ritiene la causa come un fatto esterno condizionante la volontà, allora, tale definizione è equivalente a quella di presupposizione; la tesi esposta, comunque, resta coerente con il dato letterale (la causa richiama letteralmente la causalità) e permette di abbandonare la costruzione della presupposizione che, tra l’altro, non trova espressa menzione nell’ordinamento giuridico.

Tuttavia, la giurisprudenza recente[17] in senso contrario, optando per la ricostruzione della causa in termini concreti, ha distinto la causa dalla presupposizione, affermando che <<alla presupposizione può allora riconoscersi autonomo rilievo di categoria unificante assumente specifico significato laddove nell’ambito delle circostanze giuridicamente influenti sul contratto ad essa si riconducano, quali presupposti oggettivi, fatti e circostanze che, pur non attenendo alla causa del contratto o al contenuto della prestazione, assumono (per entrambe le parti ovvero per una sola di esse, ma con relativo riconoscimento da parte dell’altra) un’importanza determinante ai fini della conservazione del vincolo contrattuale. Circostanze che, pur senza essere - come detto - dedotte specificamente quale condizione del contratto, e pertanto rispetto ad esso "esterne", ne costituiscano specifico ed oggettivo presupposto di efficacia in base al significato proprio del negozio determinato alla stregua dei criteri legali d’interpretazione, assumenti valore determinante per il mantenimento del vincolo contrattuale>>.

5. Conclusioni

In base a quanto scritto, invero, la tesi della causa contrattuale come causalità negoziale sembra condivisibile, perché coerente con il dato letterale, con le singole specificità dei casi concreti e con l’impianto giuridico in genere, permettendo di distinguere tutte le singole figure previste dal legislatore (causa e motivi, in particolare).

Altresì, in questo modo, si riuscirebbe ad abbandonare la figura teorica della presupposizione che, seppur giurisprudenzialmente consacrata (e di recente confermata), resta priva di riscontro normativo, expressis verbis, determinando più volte contrasti interpretativi (in alcuni casi si è ritenuto che la presupposizione giustificasse il recesso[18], mentre in altri casi che determinasse la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta[19]).



[1] Per un approfondimento si veda ZONFRILLI, La causa nel contratto, in VIOLA, Studi monografici di diritto civile, Matelica (MC), 2007, 15 e ssgg.

[2] Secondo taluni, il vantaggio derivante dall’azione di nullità può essere solo patrimoniale, ai fini della legittimazione attiva.

[3] Sul tema della rilevabilità d’ufficio della nullità, si veda la recente sentenza Cassazione civile 21632/2006, in diritto-in-rete.com, 2007, url http://www.diritto-in-rete.com/sentenza.asp?id=315.

[4] L’esposizione delle singole tesi è limitata all’essenziale.

[5] Il riferimento è a FRANCESCHETTI, La causa del contratto, ovvero i vestiti nuovi dell’imperatore, in Altalexmese, 2007, url http://www.altalex.com/index.php?idstr=303&idnot=35876.

[6] Si veda ZONFRILLI, già cit.

[7] Sul tema della causa in concreto, si veda FERRI, Lezioni sul contratto, Bologna, 1982. Si veda anche TAMBURRINO, Scritti per Barberio Corsetti, Milano, 1965.

[8] SANTORO PASSARELLI, Dottrine generali del diritto civile, Napoli, 1997.

[9] Per approfondire la tematica sulla causa si veda BIANCA, Il contratto, Milano, 2000; DIENER, Il contratto in generale (Manuale ed applicazioni pratiche dalle lezioni di Guido Capozzi), Milano, 2002; PERLINGIERI, Manuale di diritto civile, Napoli, 2003; ZONFRILLI, già cit.

[10] Il riferimento è alla pronuncia della Cassazione civile, sez. III, sentenza 08.05.2006 n° 10490, in Altalex.com, 2007, Url: http://www.altalex.com/index.php?idstr=20&idnot=34356, con nota di BRUNO, Anche un contratto tipico può essere nullo per mancanza di causa.

[11] Cassazione civile 10490/2006, già cit.

[12] Si ritiene di non approfondire la complessa tematica relativa all’esistenza o meno, nel nostro ordinamento, della costruzione logica del negozio giuridico, limitandosi ad optare, sic et simmpliciter, per la tesi positiva.

[13] La definizione di motivo evidenziata è di TORRENTE, Manuale di diritto privato, Milano, 1997, 205. Si veda anche BESSONE, Causa tipica e motivo del contratto, dogmi di teoria generale, orientamenti della giurisprudenza, in Riv. Trim. dir. E proc. Civile, 1979, 1098.

[14] Cassazione civile 10490/2007, già cit.

[15] Per una ricostruzione esaustiva delle varia tesi, di matrice penale, in tema di causalità, si veda GAROFOLI, Manuale di diritto penale, Milano, 2006; di recente la giurisprudenza (Cassazione civile 21619/2007, in Altalex Massimario, 20/2007) ha ritenuto che la causalità di tipo penale sia del tutto diversa da quella civile.

[16] Che restano nella sfera volitiva interna dell’interessato.

[17] Cassazione civile , sez. III, sentenza 25.05.2007 n° 12235, in Altalex Massimario, 13/2007.

[18] Cassazione civile 12235/2007, già cit.

[19] Cassazione civile 6631/2006. La tesi che prevede il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, ex art. 1467 c.c.,, a seguito della venuta meno di un elemento presupposto, è quella prevalente in giurisprudenza.