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Dal pubblico al privato: un’altra produzione

Pubblico e privato
Pubblico e privato

La divisione fra pubblico e privato è funzionale al business della burocrazia. Nel mezzo, prospera il burocrate, impegnato a gestire questa divisione con la pratica della pena.

Il terzo escluso di Aristotele, utile a confermare i due opposti (in questo caso, il pubblico e il privato), prospera nella religione dell’androgino, le cui due metà sono opposte e complementari: la diversità è utile a confermare l’unità per sancire la parità ideale.

Un altro effetto della mentalità che conferma il burocrate come essenziale all’impero dell’androgino è constatabile nell’idea di purezza – oggi “Onestà!” – che si erge a guida “spirituale” della lotta contro il male, di cui il privato sembra detenere la direzione. Secondo questa mentalità, mentre ciò che è pubblico è guidato da un’idea di bene, il bene pubblico appunto, il privato risponderebbe a esigenze losche, come del resto tutto ciò che sfugge alla visione pubblica e diretta. Il privato detiene il primato del fosco. Il principio di uguaglianza sorgerebbe dalla differenza rappresentata fra pubblico e privato, fra ciò che si vede e ciò che resta sfuggente alla visione piena, e diventa il Panopticon, ovvero ciò che segna la vita come carcere.

 

Il fin di bene

In questa logica, garante dell’uguaglianza è lo Stato in quanto apparato, che, con la sua mano orientata a fin di bene, trova il proprio statuto nel colpo che infierisce. E di colpo perisce. Apparato orientato alla vendetta, dunque, se l’uguaglianza è sancita dalla parità, in special modo la parità dei piatti della bilancia. Non a caso la funzione del tribunale è di ordine risarcitorio, laddove punta a risarcire il maltolto o il malcapitato. Il diseguale è il male? Sull’idea di male prospera l’istituzione pubblica, in quanto apparato del bene. E il bene è l’uguale, ciò che è “apparificato”, ovvero risponde al canone che è sempre canone dell’uguale. Il canone è religioso, è l’inquisizione contro la particolarità.

 

La differenza

Ma la differenza rappresentata dall’unità androginica, perché deve tornare all’uno ideale, è fuorviante, perché è fondata sulla diversità degli opposti che si attraggono nel primato dell’uno, ovvero della purezza secondo Platone (Simposio). L’impero si regge sempre sull’idea di purezza e di ordine, in quanto uno che si divide in due e deve tornare all’unità dell’origine.  Questo tutt’uno non può che professare la religione della purezza, o anche del neutro, confermata dal male dell’Altro.

È l’epoca del Green Deal: l’Europa, attraverso il suo apparato androginico, sarà il primo continente climaticamente neutro entro il 2050, per il bene del mondo.

Ma già nel Novecento qualcun altro dall’Europa centrale s’era speso per un’idea di bene che garantisse la purezza. Di cosa deve fare economia questa neutralità? Della differenza che non consente la realizzazione dell’unità.

Il privato non risponde al canone dell’unità, soprattutto quando è un privato che non esclude il terzo, il fare e i suoi effetti. In Italia, era rappresentato dalla cosiddetta “classe media”, la “classe” che assume il rischio. Il borghese nasce nel borgo. Nel borgo è la bottega, quindi il commercio e il fare in cui il rischio è rischio di riuscita. Il privato è tale perché assume il rischio: il rischio dell’ineguale?

L’idea di uguaglianza è messa in questione dal fare: a ciascuno la sua impresa.

Non a caso il burocrate osteggia il fare, impedendo l’avanzamento della pratica, che di pragmatico ha ben poco. Il burobot trova il proprio statuto nella sufficienza, ovvero nella pianificazione della parificazione, nella religione del nullismo secondo cui il “di più” è intollerabile.

 

Dicotomia fra pubblico e privato?

La distinzione fra pubblico e privato risponde a un’ideologia funzionale all’impero dell’androgino, che professa la religione del bene come economia del male. Il privato sarebbe privato del bene, che deve indicare e amministrare invece il pubblico? Sarebbe privato della cosa pubblica? Del bene pubblico? Il diritto sancisce il bene come privato e c’è ancora chi intende questo bene come furto. Perché il canone del bene è pubblico? Questa dicotomia è religiosa, conferma l’ideologica del bene e del male come dicotomia fra il pubblico e il privato.

Ma il pubblico è essenziale alla riuscita perché esige l’infinito proprio al fare, infinito come effetto del tempo. Il privato non si contrappone al pubblico, né gli preesiste: per giungere al privato è essenziale il pubblico. Credere il contrario sarebbe naturalistico: dal privato verso il pubblico.

 

Il privato, il caso, l’unicum

Il privato senza il pubblico, come indice del tempo che non finisce, non giunge all’unicum. L’unicum si effettua per la varietà e la differenza assolute.

La cifrematica, come scienza del rinascimento e dell’industria della parola, constata il modo in cui le cose sono infinite nell’atto.

Di fare in fare, per dir così, si struttura la differenza incolmabile fino al caso di qualità. Il privato, quindi, non concerne il soggettivo, il domestico e il secreto, ciò che sarebbe privo del tempo, ciò che risponde all’idea di riproduzione come economia della produzione. Da questa dicotomia deriva anche la distinzione fra il tempo privato, la vacanza – quel che è vacante dal fare – e il tempo pubblico come tempo del lavoro, tempo pieno. Ma altra è la produzione e altro è il profitto che non finisce, quel profitto che nessun burocrate può mettere in pena.