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La particolarità del rapporto tra il responsabile del procedimento e il dirigente dell’unità organizzativa e le recenti modifiche legislative sul procedimento amministrativo

Il capo II (articoli 4 – 6) della legge n. 241 del 1990 regolamenta la figura del responsabile del procedimento, a cui affida la gestione del procedimento amministrativo.

I compiti che gli sono attribuiti sono indicati dall’articolo 6 della citata legge n. 241: iniziativa ed impulso; avvisi e comunicazioni; verifica, formazione e acquisizione di fatti, atti ed interessi; eventuale adozione del provvedimento finale. Si tratta, in sostanza, di compiti di impulso, di direzione e di coordinamento dell’istruttoria procedimentale e, solo in via eventuale, di decisione.

La materia del responsabile del procedimento è stata interessata dal d.lgs. n. 29 del 1993, successivamente novellato dal d. lgs. n. 80 del 1998 e poi recepito dal d. lgs. n. 165 del 2001.

Per quanto riguarda la individuazione del responsabile del procedimento, il referente normativo è costituito dall’articolo 5, comma 1, della richiamata legge n. 241, il quale espessamente prevede che “il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale”.

Pertanto, il dirigente assume la veste di responsabile di tutti i procedimenti che rientrano nella competenza funzionale dell’unità organizzativa, dal loro impulso, alla loro conclusione, alle relative comunicazioni.

Può, tuttavia, nominare un funzionario per provvedere alle relative incombenze, conferendogli la qualifica di responsabile del procedimento, fermo restando che l’adozione del provvedimento finale è riservata alla sua competenza esclusiva.

Quindi, in caso di designazione, da parte del dirigente preposto all’unità organizzativa, del responsabile del procedimento, su quest’ultimo viene ad incentrarsi ogni incombenza connessa all’impulso, agli avvisi, all’istruttoria e alla comunicazione del provvedimento finale. Al proponente è però riservata l’emanazione del provvedimento finale, in quanto è dalla legge chiamato a rispondere della gestione complessiva della struttura organizzativa.

Il designato responsabile del procedimento non è tuttavia un mero esecutore materiale delle direttive impartite dal dirigente, in quanto egli è investito di ampia autonomia operativa tecnico-discrezionale [R. Galli – D. Galli, Corso di Diritto Amministrativo, Cedam 2004].

Ciò posto, si rende necessario esaminare il rapporto che intercorre tra il dirigente dell’ufficio e il responsabile del procedimento.

Come è noto, il rapporto che intercorre tra il dirigente e il dipendente è un rapporto di tipo gerarchico, il quale determina in capo al superiore gerarchico poteri di ingerenza nell’operato del dipendente subordinato. Il dirigente, infatti, può dettare ordini, direttive e può intervenire in modo diretto nel corso del procedimento.

Il rapporto che avvince il responsabile del procedimento al dirigente, invece, presenta aspetti del tutto innovativi rispetto alle tradizionali relazioni interorganiche.

La figura del funzionario responsabile ha determinato una forte attenuazione del principio di gerarchia [C. Mignone, Note sul responsabile del procedimento amministrativo, in Quad. reg., 1991, pag. 39, secondo il quale tra dirigente e funzionario responsabile si instaura un rapporto non dissimile da quello riscontrabile negli uffici del pubblico ministero tra procuratore capo e sostituto procuratore].

Al dirigente, infatti, spetta il compito di operare la scelta del responsabile. Tuttavia, compiuta questa, la gestione delle attività procedimentali divengono di competenza del responsabile, che ne risponde direttamente.

Bisogna, infatti, tenere conto che sull’incaricato della gestione del procedimento incombono alcune responsabilità. Questo risponde dei danni causati da tutti i ritardi nello svolgimento del procedimento amministrativo nonché dall’inadempimento degli obblighi previsti dalla legge, di talchè è responsabile non solo sul piano civile o amministrativo, bensì anche su quello penale.

La sovraordinazione gerarchica che di norma connota il rapporto di ufficio fra tali soggetti, viene svuotata di molte sue prerogative (sostituzione, repressione, ordine) trasformandosi, con la designazione del responsabile, in un nuovo rapporto di rilevanza esterna, in cui è il designato che assume poteri di indirizzo e propulsivi, di guida e di coordinamento in ordine a tutti gli atti della sequenza procedimentale nei confronti dello stesso preponente, il quale conserva solo poteri di direttiva e di vigilanza sulla corretta evoluzione dell’attività procedimentale [R. Galli – D. Galli, op. cit.].  Rapporto che, per la sua singolarità, si potrebbe definire “procedimentale.” La formula organizzativa che più gli è similare sembra essere quella del coordinamento.

Risalta profonda la differenza della formula organizzatoria del coordinamento rispetto alla formula della gerarchia: nell’ambito di un rapporto gerarchico l’ordine viene imposto, non (come nel coordinamento) cercato insieme con altri, la cui collaborazione è essenziale per il raggiungimento del risultato.

Sia il coordinare che l’ordinare sono, quindi, attività finalizzate al raggiungimento di un ordine: ma coordinando si raggiunge un ordine condiviso. Accettando di essere coordinati i diversi soggetti coinvolti accettano consapevolmente di rinunciare a una parte della propria autonomia, perché il fine che si intende raggiungere e che tutti condividono viene ritenuto più importante del mantenimento dell’integrità totale di tale autonomia; il fine condiviso è cioè considerato da tutti i soggetti coinvolti nell’attività di coordinamento più importante dei fini che ognuno potrebbe perseguire singolarmente se non accettasse di limitare la propria autonomia.

Sia il coordinare sia l’ordinare sono dunque attività strumentali, finalizzate al raggiungimento di un diverso assetto della realtà; tuttavia, mentre nel caso dell’ordinare c’è praticamente un solo modo per ottenere il comportamento conforme alla volontà del soggetto sovraordinato, cioè l’emanazione dell’ordine, nel caso del coordinare la gamma possibile di attività che il soggetto coordinatore può porre in essere è assai ampia, sia sul versante dell’attività sia su quello dell’organizzazione.

La funzione di coordinamento può realizzarsi in vari modi. Spetta al soggetto coordinatore, autonomamente o sulla base delle indicazioni provenienti dall’ordinamento, scegliere gli strumenti più efficaci nelle circostanze date.

Non ci sono un’attività né un’organizzazione che di per sé possano definirsi di coordinamento, anche se evidentemente vi sono attività (per es. il procedimento) ed organizzazioni (per es. le conferenze di servizi) che meglio di altre consentono di raggiungere l’effetto del coordinamento fra soggetti diversi, in vista del raggiungimento di un determinato scopo comune; ma anche altre attività ed organizzazioni possono, a seconda delle circostanze, consentire di raggiungere il medesimo risultato.

I valori in gioco nel sistema di relazioni fra il responsabile del procedimento e il dirigente sono da un lato l’unità della struttura organizzativa, dall’altro l’autonomia di chi è designato all’attività procedimentale

Tutelare l’autonomia del responsabile del procedimento è essenziale in quanto consente quella chiara ed inequivocabile imputazione di responsabilità (in positivo ed in negativo) in cui consiste il vero "valore aggiunto" della riforma dell’attività amministrativa secondo il modello "privatistico", finalizzato alla trasparenza, efficienza, responsabilità ed efficacia dell’azione. Essere autonomi vuol dire essenzialmente poter scegliere, sia pure nell’ambito di un quadro di riferimento rappresentato dalle regole dettate dall’ordinamento, dagli obiettivi contenuti negli atti di indirizzo e da altri simili vincoli; ma se si può scegliere, se cioè i comportamenti adottati non sono il frutto di una costrizione bensì di una autodeterminazione, ne consegue inevitabilmente anche la responsabilità per le scelte compiute. Grazie alla autonomia gestionale riconosciuta al responsabile del procedimento, è possibile appunto (a differenza di quanto accade nel modello gerarchico tradizionale) individuare con precisione le responsabilità dell’attività amministrativa, in quanto distinta dal punto di vista funzionale dall’attività del responsabile del provvedimento finale.

Ma l’autonomia (e la responsabilità) gestionale del responsabile del procedimento hanno senso solo in quanto si collocano all’interno di un sistema (unità organizzativa) che avendo un proprio indirizzo opera per un fine comune. E’ all’interno di tale fine comune – attribuito all’ufficio dalla norma - che acquistano infatti significato anche i fini singolarmente perseguiti dall’attività procedimentale.

Il bilanciamento fra il valore dell’unità delle competenze attribuite all’ufficio e quello dell’autonomia del responsabile del procedimento si realizza grazie alla relativizzazione di entrambi i poli della dicotomia. Il dirigente non spinge la ricerca dell’unità del sistema fino al punto di intromettersi nella sfera gestionale del responsabile del procedimento, rispettandone la piena autonomia in quanto fattore essenziale per un miglior perseguimento dell’attività procedimentale; a sua volta il responsabile del procedimento non spinge la tutela della propria autonomia fino al punto da sottrarsi al dovere di collaborare con il responsabile dell’unità organizzativa, contribuendo attivamente al realizzarsi della funzione di coordinamento svolta dal dirigente.

In conclusione, l’autonomia del responsabile del procedimento ha gradi diversi di incisività: massima nel nucleo più interno, quello riguardante la sfera strettamente gestionale del procedimento, minima nello strato più esterno, quello dove la sfera di autonomia del designato responsabile entra in contatto con la sfera della responsabilità del provvedimento finale attribuita al dirigente responsabile dell’unità organizzativa. Specularmente, la responsabilità del responsabile del procedimento è massima dove è massima la sua autonomia, cioè nell’ambito della sfera gestionale dell’attività procedimentale, minima dove l’autonomia è limitata dallo svolgersi della funzione di direzione e di controllo del dirigente.

Quanto sopra descritto è la logica conseguenza del passaggio da un’organizzazione verticale fondata su rapporti gerarchici, ad un’organizzazione orizzontale fondata su rapporti tendenzialmente paritari fra soggetti con propria responsabilità. Infatti, l’unicità di indirizzo amministrativo si ottiene trasformando i centri di comando in centri di coordinamento di soggetti responsabilmente autonomi.

Sulla base di tali considerazioni, si può concludere riconoscendo un’ampia sfera di autonomia in capo al responsabile procedimentale, il quale nello svolgimento dell’azione amministrativa non può che rispondere egli stesso dei propri comportamenti.

Quindi, se è indubbio che il dirigente dell’unità organizzativa può revocare la nomina con la quale ha attribuito la responsabilità procedimentale ed avocare a sé il procedimento, è altrettanto vero che egli non può invadere quella sfera di autonomia che deve caratterizzare l’azione del soggetto responsabile del procedimento.

In definitiva, in sintonia con una generale tendenza all’affievolimento dei rapporti gerarchici nel diritto amministrativo, la diretta ascrizione della responsabilità in capo al funzionario designato non può non comportarne una relativa indipendenza rispetto ai superiori in sede di gestione dell’iter procedurale [F. Caringella, Corso di Diritto Amministrativo, giuffrè 2005].

Comunque, non va dimenticato che il ruolo del responsabile, benché espressivo di poteri autonomi anche nei confronti del dirigente che lo abbia designato, non valgono a sottrarre a quest’ultimo i poteri di direttiva e di controllo che gli competono in quanto preposto all’unità organizzativa.

Inoltre, il dirigente, qualora riscontri incoerenze, errori o incompletezze nell’attività del funzionario designato al procedimento, può richiedere interventi correttivi o integrativi e, infine, può anche sovrapporre una valutazione critica e di opportunità amministrativa a quella storico-valutativa definita in sede istruttoria.

L’architettura sopra descritta si inserisce appieno nel disegno legislativo di semplificazione dell’attività amministrativa, il quale prevede un riordino in chiave produttivistico-efficientista dell’organizzazione e dell’azione amministrata dai pubblici poteri. Tale programma è stato introdotto dalla legge di riforma del ’93 n.29, successivamente novellata dal d. lgs. n. 80 del 1998 e poi recepita dal d. lgs. n. 165 del 2001, divenendo materia di delega legislativa ai sensi della legge n. 59 del ’97, e, successivamente, oggetto delle misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo da parte della legge n. 127/97 (in parte modificate dalla legge n. 191/98). Si tratta di un disegno di semplificazione, che investe in toto l’organizzazione dell’Amministrazione statale, teso a conseguire la sburocratizzazione dell’organizzazione e dell’azione organizzativa, per realizzare un modello di apparato agile e flessibile, in grado di garantire la realizzazione degli obiettivi programmati attraverso strumenti operativi che ne assicurino celermente, efficacemente ed economicamente l’attuazione.

Il piano di semplificazione è stato orientato verso obiettivi di riordino di compiti e funzioni amministrativi omogenei o connessi - attraverso il loro accorpamento e la soppressione di quelli divenuti superflui - nonchè di unificazione di procedimenti attinenti materie similari, attesa la necessità di concentrazione di compiti in un’unica struttura responsabile predicata dalla legge n. 59 del 1997. Pertanto, il decreto legislativo n. 80/98, nel modificare e integrare il decreto legislativo n. 29/93, ha provveduto alla istituzione di unità organizzative, deputate allo svolgimento dei procedimenti, ed alla preposizione ad esse dei singoli responsabili, con i correlativi poteri di indirizzo, coordinamento e vigilanza, implicanti una responsabilità globale e omnicomprensiva del loro andamento e dei relativi risultati gestori. Successivamente, il d.lgs. n. 112/98, che della legge n. 59/97 costituisce normativa di puntualizzazione ed attuazione, ha previsto l’ accorpamento e la concentrazione di uffici deputati a svolgere funzioni omogenee, connesse o complementari, per assicurare la semplificazione, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa.

La tesi sopra rappresentata ha trovato inveramento nella legge 11 febbraio 2005, n. 15 recate, secondo il suo titolo, “modifiche ed integrazioni alla legge n. 241/90, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”.

Si tratta dell’intervento legislativo più rilevante fino ad oggi attuato a correzione ed integrazione di una legge la cui entrata in vigore ha segnato una svolta epocale.

Per quanto riguarda la figura del responsabile del procedimento, con una aggiunta finale all’art. 6 della legge n. 241 la novella legislativa stabilisce: “L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale”.

L’integrazione all’articolo 6 della legge sul procedimento amministrativo costituisce, quindi, una mera trascrizione normativa di una regola già vigente in base al principio di ragionevolezza.

Atteso, pertanto, che il ruolo del responsabile del procedimento consiste nella valutazione dei presupposti, nell’accertamento dei fatti, nello svolgimento dell’istruttoria e nell’attività di informazione, alcuni autori [F.C. Scoca, diritto amministrativo, Monduzzi ed. 2005], anche alla luce della recente summenzionate modifica legislativa, ritengono che il responsabile del procedimento assurga ad ufficio unipersonale, dotato di un proprio ruolo, diverso dal ruolo dell’ufficio cui la persona del responsabile appartiene. Si tratta, quindi,  di un ufficio temporaneo e strumentale ad ogni singolo procedimento, che nasce con l’inizio e termina con la fine del procedimento.

Il capo II (articoli 4 – 6) della legge n. 241 del 1990 regolamenta la figura del responsabile del procedimento, a cui affida la gestione del procedimento amministrativo.

I compiti che gli sono attribuiti sono indicati dall’articolo 6 della citata legge n. 241: iniziativa ed impulso; avvisi e comunicazioni; verifica, formazione e acquisizione di fatti, atti ed interessi; eventuale adozione del provvedimento finale. Si tratta, in sostanza, di compiti di impulso, di direzione e di coordinamento dell’istruttoria procedimentale e, solo in via eventuale, di decisione.

La materia del responsabile del procedimento è stata interessata dal d.lgs. n. 29 del 1993, successivamente novellato dal d. lgs. n. 80 del 1998 e poi recepito dal d. lgs. n. 165 del 2001.

Per quanto riguarda la individuazione del responsabile del procedimento, il referente normativo è costituito dall’articolo 5, comma 1, della richiamata legge n. 241, il quale espessamente prevede che “il dirigente di ciascuna unità organizzativa provvede ad assegnare a sé o ad altro dipendente addetto all’unità la responsabilità della istruttoria e di ogni altro adempimento inerente il singolo procedimento nonché, eventualmente, dell’adozione del provvedimento finale”.

Pertanto, il dirigente assume la veste di responsabile di tutti i procedimenti che rientrano nella competenza funzionale dell’unità organizzativa, dal loro impulso, alla loro conclusione, alle relative comunicazioni.

Può, tuttavia, nominare un funzionario per provvedere alle relative incombenze, conferendogli la qualifica di responsabile del procedimento, fermo restando che l’adozione del provvedimento finale è riservata alla sua competenza esclusiva.

Quindi, in caso di designazione, da parte del dirigente preposto all’unità organizzativa, del responsabile del procedimento, su quest’ultimo viene ad incentrarsi ogni incombenza connessa all’impulso, agli avvisi, all’istruttoria e alla comunicazione del provvedimento finale. Al proponente è però riservata l’emanazione del provvedimento finale, in quanto è dalla legge chiamato a rispondere della gestione complessiva della struttura organizzativa.

Il designato responsabile del procedimento non è tuttavia un mero esecutore materiale delle direttive impartite dal dirigente, in quanto egli è investito di ampia autonomia operativa tecnico-discrezionale [R. Galli – D. Galli, Corso di Diritto Amministrativo, Cedam 2004].

Ciò posto, si rende necessario esaminare il rapporto che intercorre tra il dirigente dell’ufficio e il responsabile del procedimento.

Come è noto, il rapporto che intercorre tra il dirigente e il dipendente è un rapporto di tipo gerarchico, il quale determina in capo al superiore gerarchico poteri di ingerenza nell’operato del dipendente subordinato. Il dirigente, infatti, può dettare ordini, direttive e può intervenire in modo diretto nel corso del procedimento.

Il rapporto che avvince il responsabile del procedimento al dirigente, invece, presenta aspetti del tutto innovativi rispetto alle tradizionali relazioni interorganiche.

La figura del funzionario responsabile ha determinato una forte attenuazione del principio di gerarchia [C. Mignone, Note sul responsabile del procedimento amministrativo, in Quad. reg., 1991, pag. 39, secondo il quale tra dirigente e funzionario responsabile si instaura un rapporto non dissimile da quello riscontrabile negli uffici del pubblico ministero tra procuratore capo e sostituto procuratore].

Al dirigente, infatti, spetta il compito di operare la scelta del responsabile. Tuttavia, compiuta questa, la gestione delle attività procedimentali divengono di competenza del responsabile, che ne risponde direttamente.

Bisogna, infatti, tenere conto che sull’incaricato della gestione del procedimento incombono alcune responsabilità. Questo risponde dei danni causati da tutti i ritardi nello svolgimento del procedimento amministrativo nonché dall’inadempimento degli obblighi previsti dalla legge, di talchè è responsabile non solo sul piano civile o amministrativo, bensì anche su quello penale.

La sovraordinazione gerarchica che di norma connota il rapporto di ufficio fra tali soggetti, viene svuotata di molte sue prerogative (sostituzione, repressione, ordine) trasformandosi, con la designazione del responsabile, in un nuovo rapporto di rilevanza esterna, in cui è il designato che assume poteri di indirizzo e propulsivi, di guida e di coordinamento in ordine a tutti gli atti della sequenza procedimentale nei confronti dello stesso preponente, il quale conserva solo poteri di direttiva e di vigilanza sulla corretta evoluzione dell’attività procedimentale [R. Galli – D. Galli, op. cit.].  Rapporto che, per la sua singolarità, si potrebbe definire “procedimentale.” La formula organizzativa che più gli è similare sembra essere quella del coordinamento.

Risalta profonda la differenza della formula organizzatoria del coordinamento rispetto alla formula della gerarchia: nell’ambito di un rapporto gerarchico l’ordine viene imposto, non (come nel coordinamento) cercato insieme con altri, la cui collaborazione è essenziale per il raggiungimento del risultato.

Sia il coordinare che l’ordinare sono, quindi, attività finalizzate al raggiungimento di un ordine: ma coordinando si raggiunge un ordine condiviso. Accettando di essere coordinati i diversi soggetti coinvolti accettano consapevolmente di rinunciare a una parte della propria autonomia, perché il fine che si intende raggiungere e che tutti condividono viene ritenuto più importante del mantenimento dell’integrità totale di tale autonomia; il fine condiviso è cioè considerato da tutti i soggetti coinvolti nell’attività di coordinamento più importante dei fini che ognuno potrebbe perseguire singolarmente se non accettasse di limitare la propria autonomia.

Sia il coordinare sia l’ordinare sono dunque attività strumentali, finalizzate al raggiungimento di un diverso assetto della realtà; tuttavia, mentre nel caso dell’ordinare c’è praticamente un solo modo per ottenere il comportamento conforme alla volontà del soggetto sovraordinato, cioè l’emanazione dell’ordine, nel caso del coordinare la gamma possibile di attività che il soggetto coordinatore può porre in essere è assai ampia, sia sul versante dell’attività sia su quello dell’organizzazione.

La funzione di coordinamento può realizzarsi in vari modi. Spetta al soggetto coordinatore, autonomamente o sulla base delle indicazioni provenienti dall’ordinamento, scegliere gli strumenti più efficaci nelle circostanze date.

Non ci sono un’attività né un’organizzazione che di per sé possano definirsi di coordinamento, anche se evidentemente vi sono attività (per es. il procedimento) ed organizzazioni (per es. le conferenze di servizi) che meglio di altre consentono di raggiungere l’effetto del coordinamento fra soggetti diversi, in vista del raggiungimento di un determinato scopo comune; ma anche altre attività ed organizzazioni possono, a seconda delle circostanze, consentire di raggiungere il medesimo risultato.

I valori in gioco nel sistema di relazioni fra il responsabile del procedimento e il dirigente sono da un lato l’unità della struttura organizzativa, dall’altro l’autonomia di chi è designato all’attività procedimentale

Tutelare l’autonomia del responsabile del procedimento è essenziale in quanto consente quella chiara ed inequivocabile imputazione di responsabilità (in positivo ed in negativo) in cui consiste il vero "valore aggiunto" della riforma dell’attività amministrativa secondo il modello "privatistico", finalizzato alla trasparenza, efficienza, responsabilità ed efficacia dell’azione. Essere autonomi vuol dire essenzialmente poter scegliere, sia pure nell’ambito di un quadro di riferimento rappresentato dalle regole dettate dall’ordinamento, dagli obiettivi contenuti negli atti di indirizzo e da altri simili vincoli; ma se si può scegliere, se cioè i comportamenti adottati non sono il frutto di una costrizione bensì di una autodeterminazione, ne consegue inevitabilmente anche la responsabilità per le scelte compiute. Grazie alla autonomia gestionale riconosciuta al responsabile del procedimento, è possibile appunto (a differenza di quanto accade nel modello gerarchico tradizionale) individuare con precisione le responsabilità dell’attività amministrativa, in quanto distinta dal punto di vista funzionale dall’attività del responsabile del provvedimento finale.

Ma l’autonomia (e la responsabilità) gestionale del responsabile del procedimento hanno senso solo in quanto si collocano all’interno di un sistema (unità organizzativa) che avendo un proprio indirizzo opera per un fine comune. E’ all’interno di tale fine comune – attribuito all’ufficio dalla norma - che acquistano infatti significato anche i fini singolarmente perseguiti dall’attività procedimentale.

Il bilanciamento fra il valore dell’unità delle competenze attribuite all’ufficio e quello dell’autonomia del responsabile del procedimento si realizza grazie alla relativizzazione di entrambi i poli della dicotomia. Il dirigente non spinge la ricerca dell’unità del sistema fino al punto di intromettersi nella sfera gestionale del responsabile del procedimento, rispettandone la piena autonomia in quanto fattore essenziale per un miglior perseguimento dell’attività procedimentale; a sua volta il responsabile del procedimento non spinge la tutela della propria autonomia fino al punto da sottrarsi al dovere di collaborare con il responsabile dell’unità organizzativa, contribuendo attivamente al realizzarsi della funzione di coordinamento svolta dal dirigente.

In conclusione, l’autonomia del responsabile del procedimento ha gradi diversi di incisività: massima nel nucleo più interno, quello riguardante la sfera strettamente gestionale del procedimento, minima nello strato più esterno, quello dove la sfera di autonomia del designato responsabile entra in contatto con la sfera della responsabilità del provvedimento finale attribuita al dirigente responsabile dell’unità organizzativa. Specularmente, la responsabilità del responsabile del procedimento è massima dove è massima la sua autonomia, cioè nell’ambito della sfera gestionale dell’attività procedimentale, minima dove l’autonomia è limitata dallo svolgersi della funzione di direzione e di controllo del dirigente.

Quanto sopra descritto è la logica conseguenza del passaggio da un’organizzazione verticale fondata su rapporti gerarchici, ad un’organizzazione orizzontale fondata su rapporti tendenzialmente paritari fra soggetti con propria responsabilità. Infatti, l’unicità di indirizzo amministrativo si ottiene trasformando i centri di comando in centri di coordinamento di soggetti responsabilmente autonomi.

Sulla base di tali considerazioni, si può concludere riconoscendo un’ampia sfera di autonomia in capo al responsabile procedimentale, il quale nello svolgimento dell’azione amministrativa non può che rispondere egli stesso dei propri comportamenti.

Quindi, se è indubbio che il dirigente dell’unità organizzativa può revocare la nomina con la quale ha attribuito la responsabilità procedimentale ed avocare a sé il procedimento, è altrettanto vero che egli non può invadere quella sfera di autonomia che deve caratterizzare l’azione del soggetto responsabile del procedimento.

In definitiva, in sintonia con una generale tendenza all’affievolimento dei rapporti gerarchici nel diritto amministrativo, la diretta ascrizione della responsabilità in capo al funzionario designato non può non comportarne una relativa indipendenza rispetto ai superiori in sede di gestione dell’iter procedurale [F. Caringella, Corso di Diritto Amministrativo, giuffrè 2005].

Comunque, non va dimenticato che il ruolo del responsabile, benché espressivo di poteri autonomi anche nei confronti del dirigente che lo abbia designato, non valgono a sottrarre a quest’ultimo i poteri di direttiva e di controllo che gli competono in quanto preposto all’unità organizzativa.

Inoltre, il dirigente, qualora riscontri incoerenze, errori o incompletezze nell’attività del funzionario designato al procedimento, può richiedere interventi correttivi o integrativi e, infine, può anche sovrapporre una valutazione critica e di opportunità amministrativa a quella storico-valutativa definita in sede istruttoria.

L’architettura sopra descritta si inserisce appieno nel disegno legislativo di semplificazione dell’attività amministrativa, il quale prevede un riordino in chiave produttivistico-efficientista dell’organizzazione e dell’azione amministrata dai pubblici poteri. Tale programma è stato introdotto dalla legge di riforma del ’93 n.29, successivamente novellata dal d. lgs. n. 80 del 1998 e poi recepita dal d. lgs. n. 165 del 2001, divenendo materia di delega legislativa ai sensi della legge n. 59 del ’97, e, successivamente, oggetto delle misure urgenti per lo snellimento dell’attività amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo da parte della legge n. 127/97 (in parte modificate dalla legge n. 191/98). Si tratta di un disegno di semplificazione, che investe in toto l’organizzazione dell’Amministrazione statale, teso a conseguire la sburocratizzazione dell’organizzazione e dell’azione organizzativa, per realizzare un modello di apparato agile e flessibile, in grado di garantire la realizzazione degli obiettivi programmati attraverso strumenti operativi che ne assicurino celermente, efficacemente ed economicamente l’attuazione.

Il piano di semplificazione è stato orientato verso obiettivi di riordino di compiti e funzioni amministrativi omogenei o connessi - attraverso il loro accorpamento e la soppressione di quelli divenuti superflui - nonchè di unificazione di procedimenti attinenti materie similari, attesa la necessità di concentrazione di compiti in un’unica struttura responsabile predicata dalla legge n. 59 del 1997. Pertanto, il decreto legislativo n. 80/98, nel modificare e integrare il decreto legislativo n. 29/93, ha provveduto alla istituzione di unità organizzative, deputate allo svolgimento dei procedimenti, ed alla preposizione ad esse dei singoli responsabili, con i correlativi poteri di indirizzo, coordinamento e vigilanza, implicanti una responsabilità globale e omnicomprensiva del loro andamento e dei relativi risultati gestori. Successivamente, il d.lgs. n. 112/98, che della legge n. 59/97 costituisce normativa di puntualizzazione ed attuazione, ha previsto l’ accorpamento e la concentrazione di uffici deputati a svolgere funzioni omogenee, connesse o complementari, per assicurare la semplificazione, l’efficienza, l’efficacia e l’economicità dell’azione amministrativa.

La tesi sopra rappresentata ha trovato inveramento nella legge 11 febbraio 2005, n. 15 recate, secondo il suo titolo, “modifiche ed integrazioni alla legge n. 241/90, concernenti norme generali sull’azione amministrativa”.

Si tratta dell’intervento legislativo più rilevante fino ad oggi attuato a correzione ed integrazione di una legge la cui entrata in vigore ha segnato una svolta epocale.

Per quanto riguarda la figura del responsabile del procedimento, con una aggiunta finale all’art. 6 della legge n. 241 la novella legislativa stabilisce: “L’organo competente per l’adozione del provvedimento finale, ove diverso dal responsabile del procedimento, non può discostarsi dalle risultanze dell’istruttoria condotta dal responsabile del procedimento se non indicandone la motivazione nel provvedimento finale”.

L’integrazione all’articolo 6 della legge sul procedimento amministrativo costituisce, quindi, una mera trascrizione normativa di una regola già vigente in base al principio di ragionevolezza.

Atteso, pertanto, che il ruolo del responsabile del procedimento consiste nella valutazione dei presupposti, nell’accertamento dei fatti, nello svolgimento dell’istruttoria e nell’attività di informazione, alcuni autori [F.C. Scoca, diritto amministrativo, Monduzzi ed. 2005], anche alla luce della recente summenzionate modifica legislativa, ritengono che il responsabile del procedimento assurga ad ufficio unipersonale, dotato di un proprio ruolo, diverso dal ruolo dell’ufficio cui la persona del responsabile appartiene. Si tratta, quindi,  di un ufficio temporaneo e strumentale ad ogni singolo procedimento, che nasce con l’inizio e termina con la fine del procedimento.