L’interpretazione dell’atto amministrativo
Indice:
1. Introduzione
2. Finalità
1. Introduzione
La necessità dell’interpretazione si pone in relazione a qualsiasi manifestazione di volontà, allorché un soggetto diverso dall’autore di quella manifestazione voglia ricostruire il contenuto della stessa, così come avviene nell’ambito del nostro ordinamento giuridico in cui il soggetto chiamato ad applicare la legge è diverso da quello che la pone in essere.
Mediante l’interpretazione del provvedimento si perviene alla giuridica qualificazione del provvedimento stesso, del suo contenuto e degli effetti suoi.
Può (interpretazione) essere definita come un insieme di procedure ed accorgimenti tecnici che consentono all’operatore di fissare, al di là delle varie espressioni utilizzate, il reale significato del provvedimento emanato.
2. Finalità
Scopo dell’interpretazione è quello di ricostruire la volontà obiettiva contenuta nell’atto e, quindi, anche se non può escludersi una interpretazione autentica dell’atto da parte della stessa autorità che lo ha emanato, scarso valore hanno le dichiarazioni rese a posteriori dai funzionari che hanno partecipato alla stesura dell’atto.
Una certa rilevanza presentano pure elementi estrinseci, quali gli atti preparatori, concomitanti e successivi, mentre non riveste importanza decisiva la denominazione data all’atto (tipico è il caso dell’annullamento definito come revoca).
A tal fine tutti gli atti amministrativi, e quindi anche quelli collegiali, vanno interpretati in modo logico, alla stregua sia del significato obiettivamente desumibile dalle varie proposizioni che costituiscono l’atto stesso, sia tenendo conto di tutti gli elementi extratestuali, che possono anche ricavarsi dalla relativa procedura di formazione (Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1987, n. 814).
Esso è composto di norma:
- da una intestazione, nella quale è indicata l’autorità emanante,
- da un preambolo, in cui sono elencati gli elementi di fatto e di diritto e le ragioni di fatto e di diritto, delineando così il quadro normativo e fattuale nel cui contesto l’atto è emanato (il preambolo è introdotto da formule quali: “dato atto che”, “presso atto che“ “premesso che”, “visto”), dalla motivazione (la quale indica i presupposti di fatto e le ragioni giuridiche del provvedere: talora essa non si distingue dal preambolo) e
- dal dispositivo, il quale ultimo rappresenta la parte precettiva del provvedimento e contiene la concreta situazione posta in essere dall’amministrazione (esso è di norma introdotto da espressioni del tipo: ordina, delibera, autorizza, revoca e così via).
Il provvedimento è poi datato e sottoscritto, indicando anche il luogo della sua emanazione.
L’interpretazione del provvedimento va fatta secondo le norme stabilite per i contratti applicabili all’interpretazione degli atti amministrativi, in quanto compatibili con la funzione e la natura degli stessi; e, come tale, richiede un’indagine che tenga presenti non solo le espressioni adoperate, ma anche il contenuto intrinseco e degli atti che ne costituiscono il necessario presupposto (Cass., sez. I, 26 marzo 1964, n. 1294).
Si applicano comunque agli atti amministrativi (in particolare a quelli che, al pari dei contratti, sono manifestazioni di volontà) alcune tra le norme poste dal codice civile per l’interpretazione del contratto.
In particolare, alla stregua del canone ermeneutico posto dall’articolo 1362 del codice civile vigente per il diritto privato, ma suscettibile di estensione anche al campo del diritto pubblico, l’interpretazione dell’atto amministrativo deve basarsi, oltre che sul significato delle espressioni letterarie adoperate, anche e soprattutto in ordine alla rilevanza dell’intenzione o volontà dell’autore dell’atto stesso, come di ogni utile circostanza che possa al riguardo rilevare (Cons. Stato, sez. VI, 10 ottobre 1987, n. 814) nonché al complesso delle sue disposizioni.
L’articolo 1363, in base al quale le clausole si interpretano una per mezzo delle altre tenendo conto del comportamento tenuto dall’amministrazione in epoca anteriore, coeva e successiva all’emanazione dell’atto; l’articolo 1364, secondo cui, per quanto siano generali le espressioni usate nell’atto, esso non si riferisce che agli oggetti suoi propri; l’articolo 1367, secondo il quale le disposizioni debbono interpretarsi nel senso in cui possono avere qualche effetto rispetto a quella secondo cui non ne avrebbe alcuno e va preferita quella conforme alla legge, anche per il principio di presunzione di legittimità degli atti amministrativi.
In linea di massima non trovano invece applicazione le norme relative all’interpretazione dell’atto in senso contrario all’autore della clausola, ovvero quelle che, in caso di oscurità dell’atto, impongono di interpretarlo nel senso meno gravoso per l’obbligato (se è a titolo gratuito), o nel senso che realizzi l’equo contemperamento degli interessi delle parti se è a titolo oneroso: siffatto criterio ermeneutico, infatti, confligge con l’esigenza che l’atto persegua l’interesse pubblico.
La giurisprudenza amministrativa (Consiglio di Stato, Sez. III, sent. n. 4344/2016), ha statuito che l’atto amministrativo deve essere interpretato e classificato secondo il suo effettivo contenuto sostanziale, quale desumibile dal contenuto letterale dell’intero testo, dalla interpretazione sistematica delle diverse parti che lo compongono e dalle finalità perseguite con la sua adozione.
Ai fini dell’interpretazione degli atti amministrativi, in mancanza di disposizioni specifiche, si applicano analogicamente le regole previste dal codice civile per l’interpretazione del contratto, con i necessari adattamenti connessi alla diversità tra atto amministrativo, espressione di potere pubblico e contratto, espressione di autonomia negoziale (Consiglio di Stato, Sezione Sesta, sentenza 24 settembre 2019, n. 6378).
Non è poi ammissibile l’interpretazione autentica vincolante per i terzi da parte dell’amministrazione autrice dell’atto; possibilità questa riconosciuta solo al legislatore, mentre nell’ambito amministrativo, di regola, gli atti sono in linea di massima irretroattivi.
L’interpretazione, fornita dall’amministrazione, difforme dal provvedimento interpretato vale dunque come provvedimento nuovo e modificativo, avente valore solo per il futuro, mentre l’interpretazione autentica conforme al provvedimento originario in realtà conferma l’operatività dell’atto interpretato.