x

x

Affidamento in house? Obbligatorio motivare la scelta

Mare
Ph. Stefania Fiorenza / Mare

Abstract

 

“La gestione dei servizi pubblici da parte della P.a. può avvenire o attraverso forme di esternalizzazione a favore di operatori privati o mediante il ricorso ad affidamenti in house. La preferenza per l’uno o l’altro modello dipende da molti fattori, tra i quali spiccano scelte di politica economica e il grado di condivisione dei principi comunitari in tema di concorrenza.

L’articolo 192 co. 2 decreto legislativo 50/2016 prevede, a carico della P.a., un obbligo di motivazione rafforzato in ordine alla scelta di erogare il servizio attraverso l’autoproduzione. Il presente contributo mira, pertanto, ad analizzare il rapporto tra esternalizzazione e internalizzazione secondo la normativa italiana e la  compatibilità dell’articolo 192 co. 2 del decreto legislativo 50/2016 con le direttive comunitarie in tema di contratti pubblici, anche alla luce di due recenti interventi della Corte Costituzionale e della Corte di Lussemburgo”.

 

Indice:

1. Premessa

2. L’affidamento in house: requisiti soggettivi

3. L’obbligo di motivazione rafforzata di cui all’articolo 192 co. 2 decreto legislativo 50/2016

4. Rapporti tra esternalizzazione e internalizzazione dei servizi pubblici

4.1 (Segue): secondo la normativa comunitaria

4.2 (Segue): secondo la normativa nazionale

5. Le decisioni della Consulta e della Corte di Lussemburgo sulla legittimità dell’obbligo di motivazione

 

1. Premessa

In alcuni casi, la P.a. ricorre a forme di esternalizzazione: qualora non sia possibile soddisfare in modo autonomo le esigenze degli utenti, l’amministrazione si rivolge al mercato e delega il compito a uno o più operatori privati. La P.a. stipula con questi ultimi contratti di concessione, contratti di appalto o altri negozii espressione di un partenariato pubblico-privato all’esito di una procedura di evidenza pubblica.

Quest’ultima, disciplinata dal decreto legislativo 50/2016 (d’ora in avanti “codice dei contratti”) mira, infatti, a orientare la scelta dell’operatore da parte della P.a. nel più ampio rispetto dei principi di concorrenza, par condicio, trasparenza e non discriminazione. La normativa interna attua le direttive 23, 24 e 25/2014/UE e, com’è noto, è finalizzata alla crescita di un mercato interno europeo in cui è assicurata la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali (articolo 26 co. 2 T.F.U.E.).

Sussistono, poi, forme di outsourcing, per così dire, mediane nei casi di affidamento di servizi pubblici a società partecipate dalla P.a. e disciplinate dal decreto legislativo 175/2016. In questo caso la P.a., per procedere all’affidamento di un servizio, segue le regole di evidenza pubblica e compara l’offerta della società con quella di altri operatori del mercato. Si tratta di soggetti formalmente privati, ma la presenza di una partecipazione pubblica influisce sul piano della governance societaria.

Infine, la P.a. può decidere di ricorrere all’affidamento in house. In questo caso, l’amministrazione delega l’erogazione del servizio pubblico direttamente a un soggetto, il quale, benché formalmente distinto dall’ente pubblico, si presenta in sostanza come un’articolazione interna del medesimo. In questo caso, proprio perché l’amministrazione sceglie l’autoproduzione attraverso, di fatto, un suo organo, non si richiede il ricorso a una gara per l’affidamento del contratto. La P.a. non rivolgendosi al mercato per assicurare un servizio alla collettività, non ha bisogno, per l’affidamento in house, di seguire le regole di cui al d.gs. 50/2016.

 

2. L’affidamento in house: requisiti soggettivi

Ebbene, è chiaro come l’affidamento diretto secondo la modalità in house, rappresenta una deroga ai principi proconcorrenziali promossi dalla normativa comunitaria. Si tratta, quindi, di comprendere, alla luce della normativa unionale e nazionale, entro quali limiti sia possibile l’internalizzazione di servizi da parte della P.a.

Da un lato, sul piano soggettivo, si richiedono in capo all’amministrazione e al soggetto al quale è destinato l’affidamento diretto specifici requisiti; dall’altro lato, sul piano oggettivo, a conferma del tendenziale favor per il ricorso al mercato, si rileva come la P.a. sia tenuta a motivare in modo analitico la sua scelta, qualora intenda ricorrere all’autoproduzione anziché all’esternalizzazione del servizio.

Riguardo al primo profilo, si ricorda come i requisiti del soggetto affidatario in house sono stati per la prima volta enucleati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea a partire dalla nota sentenza “Teckal” (Corte di Giustizia CE 18.11.1999, causa C-107/98, Teckal s.r.l. c. Comune di Viano). Si richiede, in primo luogo, la sussistenza del c.d. “controllo analogo”, in base al quale la P.a. esercita sull’ente un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi. Inoltre, è necessario il c.d. “vincolo di prevalenza”, per cui il soggetto affidatario destina la maggior parte del proprio operato a favore dell’ente o degli enti che lo controllano.

Se sussistono gli elementi indicati, scompare l’alterità tra ente e affidatario e non sussistono i presupposti per il ricorso alle procedure di scelta del contraente di cui alle direttive sugli appalti; la società si configuracome una sorta di longa manus dell’ente, comunque da esso non separato.

Le più recenti direttive comunitarie in materia di appalti e concessioni ribadiscono gli esiti della giurisprudenza di Lussemburgo, precisandone alcuni profili. In particolare, l’articolo 12 co. 1 della direttiva appalti afferma che non è necessario il rispetto delle regole di gara qualora “l’amministrazione aggiudicatrice esercita sulla persona giuridica un controllo analogo a quello da essa esercitato sui propri servizi”; inoltre, si richiede che oltre l’80% delle attività della persona giuridica controllata siano effettuate nello svolgimento dei compiti ad essa affidati dall’amministrazione aggiudicatrice. Infine, è ammessa una minima partecipazione di capitali privati nel soggetto controllato, purché non abbia alcuna influenza sulla governance dell’ente.

Sul piano della normativa nazionale, il contenuto delle direttive in tema di in house viene sostanzialmente ripreso sia dall’articolo 5 del codice dei contratti pubblici sia dall’articolo 16 del decreto legislativo 175/2016 in tema di società con partecipazione pubblica. 

Si precisa, in ogni caso, come, secondo la giurisprudenza interna e comunitaria, vista la deroga alle regole in tema di concorrenza per il mercato, i requisiti per l’internalizzazione dovrebbero essere interpretati in senso restrittivo (Così, Consiglio di Stato, Ad. Pl., 3.3.2008, n. 1; Corte di Giustizia CE, 6.4.2006, causa C-410/04).

 

3. L’obbligo di motivazione rafforzata di cui all’articolo 192 co. 2 decreto legislativo 50/2016

Riguardo la seconda limitazione prevista per l’in house providing, l’articolo 192 co. 2 del codice dei contratti impone alla P.a. di motivare la scelta del ricorso all’autoproduzione, specificando le ragioni del mancato ricorso al mercato e le utilità ricavabili per la collettività da una gestione del servizio, per così dire, interorganica. Di preciso, la P.a. dovrebbe, in primo luogo, esporre il motivo per cui non esternalizza, descrivendo i caratteri del c.d. “fallimento del mercato” per il servizio di suo interesse. In secondo luogo, l’ente deve giustificare la scelta del soggetto per l’affidamento in house, rappresentando l’opzione sul piano dei costi e dei benefici per la collettività e per l’amministrazione. Si richiede, pertanto, un’analisi in concreto, effettuata caso per caso, sulla base dei dati comparabili (Così, Consiglio di Stato, sez. V., 16.11.2018, n. 6456).

Si aggiunge, altresì, come l’obbligo di motivazione concerne qualsiasi affidamento, a prescindere dal fatto che sia al di sotto o al di sopra della soglia di rilevanza comunitaria. Infatti, la P.a. è tenuta al rispetto delle regole di evidenza pubblica a fronte di contratti sopra soglia; per i rapporti sotto soglia, la P.a. gode di maggior flessibilità e semplificazione delle regole, ma l’individuazione dell’operatore deve avvenire, salvo casi marginali di affidamento diretto, nel rispetto dei principi di concorrenza e delle regole di rotazione degli inviti e di massima partecipazione, con particolare riguardo verso le piccole e le medie imprese. Ne deriva che, a prescindere dal valore del rapporto, la P.a. deve motivare l’affidamento in house.

Ora, la norma in esame lumeggia una nota problematica inerente il rapporto tra esternalizzazione e internalizzazione dei servizi e solo in tempi recenti ridimensionata da due pronunce della Corte di Lussemburgo e della Corte Costituzionale. Se, infatti, la P.a. non è tenuta a spiegare le ragioni del ricorso al mercato, ma solo della scelta opposta volta a un affidamento diretto, si può inferire un generale favor nazionale per l’esternalizzazione e per il recupero del servizio dagli operatori del mercato, sollecitando la concorrenza.

Si precisa come i motivi della scelta del Legislatore sarebbero da ricondurre alle più recenti riforme tese a una liberalizzazione dell’economia; l’obiettivo sarebbe valorizzare la concorrenza nel mercato, eliminando le barriere di accesso per gli operatori economici e, allo stesso tempo, ridurre gli ambiti di operatività delle imprese pubbliche e dei monopoli legali.

La norma di cui all’articolo 192 e, di preciso, l’obbligo di motivazione analitica, risulta, tuttavia, una precisa scelta del Legislatore nazionale, non trovando alcun antecedente nella normativa comunitaria. Emerge, pertanto, un problema di compatibilità con la disciplina unionale della natura secondaria e ancillare dell’affidamento in house rispetto alle procedure di evidenza pubblica, come previsto dalla normativa interna del codice dei contratti pubblici.

 

4. Rapporti tra esternalizzazione e internalizzazione dei servizi pubblici

4.1 (Segue): secondo la normativa comunitaria

Alla luce della normativa e giurisprudenza comunitaria emergerebbe una sostanziale indifferenza circa la modalità con cui la P.a. si procura i servizi per la collettività; soltanto nel caso in cui l’amministrazione decida di ricorrere al mercato, vi è l’obbligo del rispetto delle regole di evidenza pubblica nel rispetto della concorrenza.

Di preciso, secondo il considerando n. 5 della direttiva appalti, “nessuna disposizione della presente direttiva obbliga gli Stati membri ad affidare a terzi o a esternalizzare la prestazione di servizi che desiderano prestare essi stessi o organizzare con strumenti diversi degli appalti pubblici ai sensi della presente direttiva”. Il considerando n. 5 della direttiva sulle concessioni ripropone pressoché il medesimo contenuto, ricordando come “la presente direttiva riconosce e riafferma il diritto degli Stati membri e delle autorità pubbliche di decidere le modalità di gestione ritenute più appropriate per l’esecuzione di lavori e per la fornitura di servizi”.

Inoltre, le disposizioni delle direttive specificano le caratteristiche per l’affidamento in house riguardo il c.d. vincolo di prevalenza e controllo analogo, nonché la partecipazione di capitali privati; tuttavia, non prescrivono né un obbligo di ricorrere all’in house providing, né di motivare la scelta dell’autoproduzione dei servizi, qualora preferita rispetto a un’esternalizzazione.

La giurisprudenza di Lussemburgo si pone negli stessi termini, confermando come le direttive esprimano una generale indifferenza verso il modo in cui le autorità degli Stati membri decidono di procurarsi i servizi, senza alcun favor per l’esternalizzazione (ex multis, Corte di Giustizie UE, 13.11.2008, C-324/07, Coditel Brabant e 9.6.2009, C-480/06, Commissione CE c. Governo della Germania Federale).

La neutralità del diritto dell’unione deriva dalla ripartizione di competenze legislative tra le istituzioni comunitarie e quelle dei parlamenti nazionali. Le prime possono legiferare solo in alcune materie e, in particolare, in tema di concorrenza; negli altri settori, gli Stati membri godono di autonomia organizzativa, procedimentale e procedurale. La scelta di recuperare il servizio per la collettività con l’outsourcing rientrerebbe nella competenza dell’autorità nazionali; tuttavia, una volta decisa la via dell’esternalizzazione e interessato il settore della concorrenza, alla regola procedimentale interna subentrerebbe la regola europea e, in particolare, le direttive in tema di appalti e concessioni, attuate con il codice dei contratti pubblici.

 

4.2 (Segue): secondo la normativa nazionale

Sul piano interno, invece, il Legislatore attribuisce da oltre un decennio all’affidamento in house una connotazione subordinata rispetto all’outsourcing, sia a causa delle sopra accennate ambizioni di liberalizzazione sia in ragione di esigenze di contenimento della spesa pubblica e a causa di rischi di abusi della figura dell’in house da parte delle amministrazioni.

In primo luogo, l’articolo 23bis, co. 4, del d.l. 25.6.2008 n. 112, ora abrogato, affermava che, nel caso di affidamenti in house “l’ente affidante deve dare pubblicità della scelta motivandola in base ad un’analisi di mercato”. Il vigente articolo 34 co. 20 del d.l. 179/2012 in tema di affidamento di servizi pubblici locali di rilevanza economica, obbliga la P.a. ad esporre le ragioni dell’autoproduzione in un’apposita relazione. L’articolo 5 del decreto legislativo 175/2016 obbliga la P.a. a motivare in modo analitico la scelta di costituire una società in house o acquisire partecipazioni in essa, esprimendo la coerenza della decisione con i principi di economicità, efficacia ed efficienza dell’azione amministrativa.

Infine, l’articolo 192 co. 2 prevede un obbligo di motivazione rafforzata in caso di in house providing, precisando i parametri che la P.a. deve valorizzare nelle sue ragioni: in particolare gli obiettivi di universalità, socialità, efficienza, economicità, qualità del servizio e ottimale impiego delle risorse pubbliche.

La giurisprudenza interna è, allo stesso modo, prevalentemente orientata nel senso di attribuire carattere secondario all’internalizzazione. Sul punto si ricorda, in primo luogo, una sentenza della Consulta, in forza della quale l’affidamento in regime di delegazione interorganica “costituisce un’eccezione rispetto alla generale regola dell’affidamento a terzi mediante gara ad evidenza pubblica” (Così, Corte Costituzionale, 20.3.2013, n. 46).

La giurisprudenza amministrativa è orientata in parte secondo questa linea di interpretazione. Un orientamento del Consiglio di Stato (ex multis, Consiglio di Stato, sez. III, 7.5.2015, n. 2291 e 17.12.2015, n. 5732) ritiene che l’in house providing sottrae, com’è noto, un servizio a una parte del mercato, ponendosi come derogatorio delle regole comunitarie in materie di concorrenza. Tuttavia, la disciplina unionale consente tale forma di affidamento entro determinati requisiti e non obbliga il Legislatore nazionale ad attuarla e non gli impedisce di adottare limiti e esclusioni ulteriori.

Non mancano, ciò nonostante, in giurisprudenza orientamenti di segno opposto, in forza dei quali l’esternalizzazione e l’autoproduzione conviverebbero in un rapporto di tendenziale equiordinazione. Secondo alcune sentenze del Consiglio di Stato “l’affidamento diretto in house, lungi dal configurarsi come un’ipotesi eccezionale e residuale di gestione dei servizi pubblici locali costituisce invece una delle normali forma organizzative delle stesse” (Così, Consiglio di Stato, sez. V, 29.4.2014, n. 4599).

Ora, quest’ultimo orientamento ha di recente messo in luce le criticità della normativa italiana nel momento in cui decide di sottoporre l’affidamento diretto a un obbligo di motivazione analitico, come previsto dall’articolo 192 co. 2 del codice dei contratti pubblici.

 

5. Le decisioni della Consulta e della Corte di Lussemburgo sulla legittimità dell’obbligo di motivazione

La norma di cui all’articolo 192 co. 2 è stata oggetto quest’anno sia di un rinvio alla Corte di Lussemburgo ai sensi dell’articolo 267 T.F.U.E. sia di una questione di legittimità costituzionale.

Nel primo caso, il Consiglio di Stato ha messo in dubbio la compatibilità dell’articolo 192 co. 2 del codice dei contratti con l’articolo 12 della direttiva sugli appalti, chiedendo se sia compatibile con il diritto unionale una normativa nazionale che anteponga le procedure di evidenza pubblica agli affidamenti diretti, mediante un obbligo di motivazione rafforzato circa la scelta dell’in house providing (Consiglio di Stato, sez. V, 8.11.2018, n. 3756). Secondo i Giudici di Palazzo Spada, le limitazioni della normativa italiana non troverebbero un valido supporto giuridico nelle direttive comunitarie; queste ultime sarebbero indifferenti riguardo il mezzo con cui le autorità amministrative procurano servizi per i cittadini. Anzi, l’affidamento diretto, secondo il Consiglio di Stato, dovrebbe essere l’opzione principale, con la possibilità di recuperare una prestazione all’esterno solo dopo aver accertato l’impraticabilità di averla da un soggetto interno. Infatti, sembra corrispondere ad elementari esigenze di economia, il fatto che ci si rivolga all’esterno solo quando non si è ben in grado di provvedere da soli: “nessuno ragionevolmente si rivolge ad altri, quando è in grado di provvedere, e meglio, da solo”.

La Corte di Lussemburgo, tuttavia, non ha ravvisato il contrasto con la normativa europea e ritiene conforme con l’articolo 12 co. 1 e 3 della direttiva appalti l’articolo 192 co. 2 del codice dei contratti pubblici (Corte di giustizie UE, 6.2.2020, C-89/19 e C-91/19). I giudici comunitari hanno ricordato come la disciplina sovranazionale non obbliga gli Stati membri a ricorrere a una procedura di evidenza pubblica e, allo stesso tempo, non impone di ricorrere a un’operazione interna quando sono soddisfatti i requisiti per l’affidamento in house.

È vero che, secondo i considerando delle direttive, gli Stati membri sono liberi di scegliere il mezzo più idoneo per procurarsi il servizio, ma tale libertà non priva di limiti. Quest’ultima deve essere esercitata nel rispetto dei principi unionali e, in particolare, la parità di trattamento, la proporzionalità, il divieto di discriminazione e la concorrenza. Deve, quindi, ritenersi compatibile una disciplina nazionale che anteponga a un affidamento interorganico, l’esito negativo di una procedura di gara pubblica e che individui il soggetto in house solo nel pieno rispetto dei sopra indicati principi comunitari.

Sul tema, anche la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla legittimità dell’obbligo di motivazione di cui all’articolo 192 co. 2 del codice dei contratti, ritenendo non fondata la questione di legittimità della norma per contrasto all’articolo 76 Cost. (Corte Costituzionale, 27.5.2020, n. 100). La questione sollevata dal T.a.r. Liguria ha messo in luce come il decreto legislativo contenente il codice dei contratti pubblici fosse viziato per eccesso di delega, rispetto ai criteri contenuti nella legge delega n. 11 del 2016 (T.a.r. Liguria, sez. II, 2.10.2020, n. 680).

In particolare, il giudice amministrativo ha ravvisato una violazione da parte del legislatore nazionale del divieto di c.d. gold plating. Si tratta di una regola in base alla quale non è ammessa la introduzione o la conservazione di livelli di regolazione diversi e ulteriori rispetto a quelli prescritti dalle norme comunitarie. La ratio del divieto deriva dall’esigenza di semplificazione e di armonizzazione uniforme delle legislazioni degli Stati membri nelle materie di interesse dell’Unione Europea, senza imporre oneri formali superflui per cittadini e imprenditori.

La Corte Costituzionale ha, tuttavia, escluso, l’illegittimità della norma e ha fornito alcune precisazioni in merito al divieto di over regulation. Quest’ultimo non pone una regola assoluta: può essere derogata qualora la regolazione aggiuntiva sia necessaria per tutelare principi comunitari oppure nel caso in cui il Legislatore nazionale intenda proteggere valori interni di pari rango.

Insomma, non è impedito in sede di attuazione delle direttive di prevedere standard ulteriori di regolazione al fine di attuare altri principi costituzionali o comunitari dello stesso tenore. Ne deriva che è vero che il Legislatore nazionale ha introdotto all’articolo 192 co. 2 del codice dei contratti una disciplina a favore della concorrenza più incisiva rispetto a quella comunitaria, senza esservi da quest’ultima obbligato. Ciò nonostante, il maggior rigore della normativa interna è coerente con la disciplina dell’unione e, rimanendo nel margine di apprezzamento concesso al legislatore delegato, valorizza gli obiettivi comuni proconcorrenziali.

Letture consigliate:

Dottrina:

  • V. Lopilato, Manuale di diritto amministrativo, G. Giappichelli Editore, 2018;
  • S. Valaguzza, Nuovi scenari per l’impresa pubblica nella sharing economy, in Federalismi.it – rivista di diritto pubblico italiano, comparato, europeo, n. 27/20;

 

Giurisprudenza:

  • Corte Costituzionale, 27.5.2020, n. 100;
  • Corte di giustizie UE, 6.2.2020, C-89/19 e C-91/19, Rieco s.p.a. c. Comune di Lanciano e altri;
  • Consiglio di Stato, sez. V, 8.11.2018, n. 3756;
  • Consiglio di Stato, sez. III, 7.5.2015, n. 2291;
  • Corte Costituzionale, 20.3.2013, n. 46;
  • Corte di Giustizie UE, 13.11.2008, C-324/07, Coditel Brabant;
  • Corte di Giustizia CE 18.11.1999, causa C-107/98, Teckal s.r.l. c. Comune di Viano