Appalti pubblici: la revisione dei prezzi negli appalti pubblici
Appalti pubblici: la revisione dei prezzi negli appalti pubblici
Come ben noto il previgente Codice degli Appalti, ossia il decreto legislativo n. 163 del 2006, con specifico riferimento agli appalti di lavori escludeva, cfr. art. 133, comma 2, del decreto de quo, sia la revisione dei prezzi e sia l’applicabilità dell’art. 1664 del c.c., comma 1, che così recita: “Qualora per effetto di circostanze imprevedibili si siano verificati aumenti o diminuzioni nel costo dei materiali o della mano d’opera, tali da determinare un aumento o una diminuzione superiori al decimo del prezzo complessivo convenuto, l’appaltatore o il committente possono chiedere una revisione del prezzo medesimo. La revisione può essere accordata solo per quella differenza che eccede il decimo”.
La rigidità di tale posizione, peraltro, ha costituito oggetto di deroga a seguito della modifica apportata al comma 4 del medesimo art. 133, giusta quanto disposto dalla legge n. 106 del 2011 (cfr. art. 4, comma 2, lettera o) che così disponeva: “In deroga a quanto previsto dal comma 2, qualora il prezzo di singoli materiali da costruzione, per effetto di circostanze eccezionali, subisca variazioni in aumento o in diminuzione, superiori al 10 per cento rispetto al prezzo rilevato dal Ministero delle infrastrutture nell’anno di presentazione dell’offerta con il decreto di cui al comma 6, si fa luogo a compensazioni, in aumento o in diminuzione, per la metà della percentuale eccedente il 10 per cento e nel limite delle risorse di cui al comma 7”.
Disciplina diversamente orientata, per contro, era dettata in riferimento agli appalti pubblici di servizi e forniture.
Ed infatti l’art. 115 del decreto legislativo n. 163 statuiva che: “Tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa relativi a servizi o forniture debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili dell’acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui all’articolo 7, comma 4, lettera c) e comma 5”.
La motivazione alla riferita previsione normativa era, con ogni evidenza, quella di garantire in modo pressoché automatico e continuativo, il perdurante equilibrio economico del rapporto contrattuale derivante dall’affidamento dell’appalto, evitando, per tal via, il depauperamento di una parte con contestuale locupletazione dell’altra.
A seguito dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 50 del 2016 si è dovuto constatare un mutamento di opinione da parte del decisore politico poiché l’art. 106, comma 1, del richiamato provvedimento normativo, introduce, di fatto, e con una portata pressoché generalizzata, sebbene in maniera non del tutto perspicua e comunque facoltativa [1], la possibilità di operare in corso di contratto una variazione, tendenzialmente in aumento, del corrispettivo inizialmente offerto dall’aggiudicatario [2].
Sul punto occorre segnalare, peraltro, che il decreto legislativo n. 50 del 2016 non ha riprodotto la previgente disposizione che escludeva, expressis verbis, l’applicabilità dell’art. 1664 c.c., comma 1, con la conseguenza che, al netto delle deroghe previste sino alla data del 31.12.2023, di cui infra, la richiamata disposizione codicistica trova, in ogni caso, applicazione.
In termini più generali il ricorso ad una clausola di revisione dei prezzi degli appalti pubblici appare, in linea di principio, meritevole di condivisione, atteso che detta clausola finisce, ove correttamente formulata, per garantire una sorta di adeguamento delle posizioni dei contraenti (stazione appaltante ed appaltatore) a seguito del verificarsi di incrementi di costi che eccedano una soglia prefissata.
Al riguardo corre l’obbligo di rilevare come, con riferimento specifico alla fattispecie considerata, una volta tanto il legislatore sia risultato preveggente e ciò anche alla luce di eventi epocali, verificatisi ex post rispetto all’adozione del vigente Codice degli Appalti, che, in buona sostanza, hanno cambiato il nostro modo di vivere (pandemia da covid-19) e limitato la capacità di spesa di tutti i cittadini, ovviamente in misura differenziata a seconda dei redditi percepiti, per effetto della fiammata inflazionistica connessa all’aggressione russa all’Ucraina, con tutte le implicazioni da ciò discendenti in termini di incremento dei costi energetici e delle materie prime ed al netto di manovre speculative poste in essere, in modo del tutto irresponsabile, date le contingenze, da molti operatori economici che hanno visto, nel contesto considerato, l’opportunità di realizzare ingenti extraprofitti.
Una variazione dell’importo contrattuale in fase di esecuzione, tuttavia, comporta problemi operativi per le stazioni appaltanti in quanto esse, in ipotesi, dovranno reperire risorse aggiuntive, rispetto a quelle previste nel quadro economico rimodulato in sede di aggiudicazione, ove, tra le somme a disposizione, non vi sia capienza per la maggior spesa.
Sul punto occorre segnalare che l’incremento dei costi connessi, in particolare, alla realizzazione di opere pubbliche, impatta negativamente anche sugli interventi finanziati a valere sui fondi del PNRR di derivazione comunitaria, atteso che, per effetto di molteplici fattori e soprattutto alla luce dell’imposizione dell’utilizzazione dei prezziari regionali del 2022, significativamente aumentati rispetto a quelli del 2021, ciò ha determinato l’insorgenza di gravi discrasie fra gli importi stimati e quelli effettivamente occorrenti per la concreta realizzazione dei lavori di volta in volta considerati.
Numerosi enti locali, infatti, con specifico riferimento a Comuni e Province, nell’impossibilità oggettiva di fare fronte con fondi propri agli extracosti derivanti dalla situazione sopra descritta, hanno preferito rinunciare ai finanziamenti precedentemente ottenuti, con ciò vulnerando, fra l’altro, la possibilità di integrale implementazione degli stanziamenti del PNRR.
Operate tali doverose premesse, per amore di brevità, e spinto dalla necessità impellente ed ineludibile di non tediare, oltre il limite della sopportazione il cortese lettore, si prescinde dall’analitica ricostruzione di tutti i provvedimenti normativi che si sono susseguiti in subiecta materia nell’ultimo biennio (2021/2022) [3].
Riprendendo il filo del discorso che si sta tentando di sviluppare in queste brevi notazioni corre l’obbligo di segnalare come l’impostazione iniziale sottesa all’art. 106 del Codice degli Appalti vigente risulti, rebus sic stantibus, sostanzialmente stravolta.
Ed infatti occorre prendere atto che il decisore politico, sempre in considerazione degli eventi eccezionali che si sono registrati a partire dal 2020, ha dettato una disciplina emergenziale per quel che concerne la regolamentazione della clausola revisione prezzi nell’ambito degli appalti pubblici, atteso che l’inserimento dalla stessa, da parte della stazione appaltante, cessa di essere facoltativa per divenire, per effetto di una previsione temporaneamente derogatoria del quadro ordinamentale, obbligatoria sino alla data del 31.12.2023 (cfr. d.l. n. 4 del 2022, convertito nella legge n. 25 del 2022, cui si rinvia per i profili contenutistici), fermo restando, pare opportuno rammentarlo, che la revisione dei prezzi può essere disposta solo con riferimento ai lavori, servizi e forniture che abbiano un orizzonte temporale eccedente l’anno solare e ciò in quanto, anche in funzione mitigativa dei costi a carico delle stazioni appaltanti, essa non opera in riferimento alle attività, genericamente intese, che vengono svolte nello stesso anno solare di affidamento dell’appalto.
Prescindendo in questa sede dalle tecnicalità relative ai criteri di quantificazione dei maggiori costi sostenuti dall’appaltatore, e ferma restando la disciplina dettata dall’art. 26 del c.d., decreto “aiuti” e relativa legge di conversione, si ritiene preferibile concentrare il fuoco dell’attenzione su alcune recenti pronunce di vari Tribunali Amministrativi Regionali che hanno cominciato a tracciare un reticolo giurisdizionale di riferimento utile sia per le PP.AA. e per gli altri soggetti obbligati a ricorrere al Codice degli Appalti ai fini di eventuali aggiudicazioni e sia per gli operatori economici.
La prima sentenza che si ritiene opportuno citare nella menzionata prospettiva è la n. 4095/2022, resa dal TAR Campania, sede di Napoli, sez. V, con la quale, nell’ambito di un contenzioso promosso da un operatore economico per vedersi riconosciuto un incremento revisionale del corrispettivo, riferito ad un appalto di servizi, la magistratura adita ha affermato il principio di diritto secondo cui la giurisdizione relativamente ai giudizi rientranti nella tipologia di che trattasi è da ritenersi appartenente al G.A., ai sensi e per gli effetti di quanto disposto dall’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, del Codice del processo amministrativo che devolve “alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo… le controversie… relative alla clausola di revisione del prezzo e al relativo provvedimento applicativo nei contratti ad esecuzione continuata o periodica, nell’ipotesi di cui all’articolo 115 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché quelle relative ai provvedimenti applicativi dell’adeguamento dei prezzi ai sensi dell’articolo 133, commi 3 e 4, dello stesso decreto”.
Il TAR Campania, inoltre, afferma, stentoreamente che “l’ambito della giurisdizione esclusiva in materia di revisione dei prezzi ha, infatti, per l’effetto, definitivamente assunto – in ragione del concorso di situazioni di interesse legittimo e di diritto soggettivo – una portata ampia e generale, includendo ogni controversia concernente la revisione dei prezzi di un contratto di appalto, compreso il profilo del quantum debeatur (Consiglio di Stato, Sezione III, n. 1937/2019), con definitivo superamento di quel tradizionale orientamento interpretativo secondo il quale al giudice amministrativo spettavano le sole controversie relative all’an della pretesa alla revisione del prezzo, mentre competevano al giudice ordinario le questioni inerenti alla quantificazione del compenso”.
L’arresto che precede, nella visione interpretativa propugnata dal TAR Campania, non risulta inficiato dalla relativamente recente pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, secondo cui “In tema di revisione prezzi negli appalti di opere pubbliche, l’ampia e generale portata assunta dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, per effetto del disposto dell’art. 244 del d.lgs. n. 163 del 2006, prima, e dell’art. 133, comma 1, lett. e), n. 2, c.p.a., poi, nella quale rientra ogni controversia concernente detta revisione, compreso il profilo del “quantum debeatur”, incontra un limite nel solo caso in cui sia in contestazione esclusivamente l’espletamento di una prestazione già puntualmente prevista nel contratto e disciplinata in ordine all’an ed al quantum del corrispettivo (benché le parti controvertano nell’interpretazione della clausola quanto al secondo profilo). È di tutta evidenza che in tale fattispecie la controversia concerne l’espletamento da parte dell’appaltatore di una prestazione già puntualmente convenuta e disciplinata (anche in ordine al quantum) con il contratto, con la conseguenza che essa ha ad oggetto una mera pretesa di adempimento contrattuale e, quindi, comporta l’accertamento dell’esistenza di un diritto soggettivo, che ricade nell’ambito della giurisdizione ordinaria”. In tali ipotesi la domanda rinviene la sua ragione nel contratto, in relazione al quale la P.A. si trova in una situazione paritetica e, concernendo la controversia un diritto soggettivo, rientra nella giurisdizione del giudice ordinario (Cass., sez. un., n. 14559 del 2015)”.
In relazione a quel che precede si vedano, anche, le sentenze del TAR Campania, sede di Napoli, sempre della sez. V, n. 1949/2019 e n. 566/2019, nonché la decisione del TAR Lombardia, sede di Milano, resa dalla IV, n. 764/2019, precisandosi, peraltro, per mero scrupolo, che, ovviamente, le conclusioni della sentenza sopra richiamata sono pacificamente traslabili alle previsioni dettate dal d.lgs. n. 50 del 2016 e ss.mm.ii.
Ma qual è la funzione dell’inserimento, al momento obbligatorio, di una clausola di revisione prezzi all’interno di un bando di gara???
La risposta del TAR Lombardia, sede di Milano, con la sentenza n. 181 del 2022, è inequivoca e pienamente condivisibile.
Nella citata pronuncia, infatti, si afferma expressis verbis che “la revisione prezzi deve consistere in un rimedio temperato di riequilibrio del sinallagma funzionale, in modo da assolvere all’esigenza di assicurare continuità al rapporto contrattuale in corso di svolgimento, soprattutto nell’ottica del perseguimento del pubblico interesse, senza che si giunga a una rideterminazione del prezzo originario del servizio o della fornitura (Coniglio di Stato, Sez. V, n. 935/2010).
Nella disciplina di diritto positivo dell’istituto non è affatto stabilito che la revisione prezzi abbia come obiettivo l’azzeramento del rischio di impresa connesso alla sopportazione in capo all’appaltatore dell’alea contrattuale normale riconducibile a sopravvenienze, quali l’oscillazione generale e diffusa dei prezzi.
Al contrario, è necessario che ricorrano circostanze eccezionali e imprevedibili, la cui esistenza non può essere ricondotta ad aumenti del costo di fattori della produzione prevedibili – anche dal punto di vista della loro consistenza valoriale – nell’ambito del normale andamento dei mercati relativi, dovendo invece a tal fine farsi riferimento ad eventi, appunto eccezionali ed imprevedibili, tali da alterare significativamente le originarie previsioni contrattuali. Ciò anche al fine di evitare che il corrispettivo del contratto di durata subisca, nel corso del tempo, aumenti incontrollati tali da sconvolgere il quadro finanziario sulla cui base è avvenuta la stipulazione del contratto”.
La su estesa conclusione appare ineccepibile, a modesto di giudizio di chi scrive, atteso che risulta irrevocabile in dubbio che solo al verificarsi di condizioni del tutto peculiari possa sostanziarsi la possibilità di operare variazioni del corrispettivo contrattuale in favore dell’appaltatore, in quanto se fosse previsto una sorta di meccanismo automatico di adeguamento del prezzo, ciò finirebbe, e la paradossale conseguenza disvela la fallacità del presupposto argomentativo, ad azzerare il rischio di impresa che, naturaliter, cede sull’operatore economico.
Per quel che concerne, poi, le modalità applicative della revisione prezzi soccorrono i principi affermati dal TAR Lombardia, sede di Brescia, sentenza n. 239 del 2022, e, in senso conforme, dal TAR Lombardia, sede di Milano, con la pronuncia n. 1343 del 2022, laddove si evidenzia, anche se la considerazione appare scontata, che il presupposto essenziale per poter proporre l’istanza di revisione sia costituita dalla stipulazione del contratto.
Ed infatti la conclusione cui si perviene è la seguente: “Nel caso di specie l’istanza di revisione del prezzo è stata formulata dall’impresa aggiudicataria prima della stipulazione del contratto, ossia in un momento in cui, non essendo ancora in essere alcun rapporto contrattuale, non era giuridicamente ipotizzabile né ammissibile alcuna ipotesi di revisione del prezzo, che per sua natura presuppone un contratto (ad esecuzione continuata e periodica) già in corso. E così come nel corso del rapporto contrattuale l’impresa appaltatrice è tutelata, in caso di un esorbitante aumento dei costi del servizio, dall’istituto della revisione del prezzo (ove previsto dagli atti di gara) ovvero dalla possibilità di esperire i rimedi civilistici di risoluzione del vincolo sinallagmatico, nel diverso caso in cui l’evento imprevisto e imprevedibile si verifichi prima della stipulazione del contratto, l’impresa aggiudicataria è tutelata con la possibilità di rifiutare la sottoscrizione del contratto, una volta cessata la vincolatività della propria offerta”.
A guisa di conclusione di queste sintetiche notazioni sulla tematica che viene in rilievo si ritiene meritevole di segnalazione la pronuncia resa dal TAR Toscana, sez. I, n. 885 del 2022, che ha dichiarato la legittimità della determinazione dirigenziale adottata dalla Provincia di Lucca con cui detto Ente ha ritenuto di non dover procedere all’approvazione di una proposta di aggiudicazione, formulata dalla Commissione di Gara, relativamente a lavori di costruzione di un nuovo ponte sul territorio provinciale.
La ratio sottesa al richiamato provvedimento provinciale è agevolmente individuabile nell’incremento significativo del costo dell’opera pubblica de qua nel lasso di tempo intercorso fra la pubblicazione del bando di gara e la proposta di aggiudicazione della stessa.
La Provincia di Lucca, infatti, ha rappresentato che il costo per la stazione appaltante, nel lasso di tempo sopra considerato, risulta incrementato, in applicazione della normativa emergenziale via via intervenuta, di circa cinque milioni di euro rispetto alla spesa inizialmente prevista, pari a quindici milioni di euro, di talché la conclusione cui pervengono i giudici toscani è la seguente: “L’incremento del costo dell’opera, pari ad un terzo di quanto in origine preventivato, non solo costituiva una circostanza sopravvenuta e non prevista, ma era suscettibile di incidere (in considerazione dell’entità dell’incremento) sulle stesse ragioni che avevano portato l’Amministrazione a decidere per la realizzazione dell’opera. Una verifica sulla sostenibilità dell’opera non poteva che risultare obbligata per l’Amministrazione, circostanza quest’ultima ancora più condivisibile considerando che, nel caso di specie, si era nella fase della “proposta di aggiudicazione”, nell’ambito della quale la Commissione si era limitata a certificare gli esiti dell’esame delle offerte pervenute, rimettendo ogni valutazione definitiva alla stazione appaltante. È evidente che il giudizio di “non sostenibilità” e di anti economicità di un’opera non poteva essere condizionato (se non in minima parte) dall’introduzione di detti strumenti eccezionali che prevedono, peraltro, l’accesso a fondi limitati e sono destinati ad assolvere a necessità impreviste e sopravvenute nel corso dell’esecuzione del contratto (Consiglio di Stato, Sez. V, 11.1.2022, n. 202). Detta valutazione, inoltre, non poteva che investire direttamente la stazione appaltante e non poteva che incidere entro la fase dell’aggiudicazione provvisoria, dove la stessa stazione appaltante aveva acquisito i risultati della commissione, competente quest’ultima unicamente per quanto attiene l’esame delle offerte e della regolarità delle domande presentate”.
Giunti al termine di questa breve ricostruzione normativa e giurisprudenziale occorre, ancora una volta, rilevare, sebbene a malincuore, come il legislatore nazionale, lato sensu inteso, non riesca, praticamente mai, a garantire l’inveramento del principio giuridico della certezza del diritto, atteso che, ed ormai occorre prenderne definitivamente ed irreversibilmente atto, risulta palese e noto al colto ed all’inclita che il nostro ordinamento normativo si fonda sulla sistematica convivenza fra regola ed eccezione (o deroga che dir si voglia), con conseguente incertezza sulla normativa applicabile e sostanziale limitazione, per l’effetto, della capacità attrattiva, da parte del nostro Paese, di investitori stranieri, attesi i bizantinismi e le complicazioni (inutili) che connotano il sistema giurisdizionale italiano.
I costi dell’inefficienza del Governo e del Parlamento nella formulazione di decreti legge, decreti legislativi e di leggi in senso proprio, si riverberano in modo diretto ed immediato sui cittadini ed in particolare, paradossalmente, su quelli che versano in condizioni di maggiore fragilità dal punto di vista reddituale.
In vista delle prossime, imminenti, elezioni politiche del 25 settembre, il tema della qualità, dell’omogeneità, della linearità e dell’effettiva giustiziabilità delle disposizioni normative che, nel loro coacervo, finiscono con il comporre il quadro ordinamentale, dovrebbe essere centrale nel dibattito pubblico, ma chi scrive nutre fondati dubbi sulla circostanza che tale ipotesi finisca con il concretamente inverarsi.
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[1] Tale disciplina è stata ritenuta compatibile con il diritto comunitario dalla Corte di Giustizia UE con sentenza del 19 aprile 2018, C 152/17, laddove si è affermato che la direttiva 2004/17/CE e i principi generali ad essa sottesi non ostano a norme di diritto nazionale che non prevedano la revisione periodica dei prezzi dopo l’aggiudicazione di appalti rientranti nei settori considerati da tale direttiva.
[2] Art. 106, comma 1, d.lgs. n. 50/2016:
“Le modifiche, nonché le varianti, dei contratti di appalto in corso di validità devono essere autorizzate dal RUP con le modalità previste dall’ordinamento della stazione appaltante cui il RUP dipende. I contratti di appalto nei settori ordinari e nei settori speciali possono essere modificati senza una nuova procedura di affidamento nei casi seguenti:
- se le modifiche, a prescindere dal loro valore monetario, sono state previste nei documenti di gara iniziali in clausole chiare, precise e inequivocabili, che possono comprendere clausole di revisione dei prezzi. Tali clausole fissano la portata e la natura di eventuali modifiche nonché le condizioni alle quali esse possono essere impiegate, facendo riferimento alle variazioni dei prezzi e dei costi standard, ove definiti. Esse non apportano modifiche che avrebbero l’effetto di alterare la natura generale del contratto o dell’accordo quadro. Per i contratti relativi ai lavori, le variazioni di prezzo in aumento o in diminuzione possono essere valutate, sulla base dei prezzari di cui all’articolo 23, comma 7, solo per l’eccedenza rispetto al dieci per cento rispetto al prezzo originario e comunque in misura pari alla metà. Per i contratti relativi a servizi o forniture stipulati dai soggetti aggregatori restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 1, comma 511, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (al cui testo si rinvia N.d.A.)”.
[3] Per mero scrupolo si riporta di seguito un’elencazione più o meno esaustiva dei diversi interventi normativi che hanno inciso nell’ambito materiale considerato: l’art. 1-septies del d.l., 25 maggio 2021, n. 73, convertito nella legge 23 luglio 2021, n. 106 (relativamente all’anno 2021) ha introdotto temporaneamente una disciplina derogatoria di quanto previsto nel vigente Codice dei contratti pubblici, in base alla quale la revisione dei prezzi relativi ai contratti pubblici in corso è ammessa, indipendentemente dalle previsioni degli atti di gara, tramite compensazioni determinate dall’incremento dei costi dei materiali superiori ad una certa soglia, pari all’8%, come rilevati in appositi decreti del Ministero delle infrastrutture e della mobilità sostenibile (MIMS), per ciascun periodo di riferimento. Inoltre, è stato previsto che le stazioni appaltanti provvedono, altresì, in via prioritaria, ai fini del pagamento degli extracosti, mediante utilizzazione delle risorse nei limiti del cinquanta per cento delle risorse appositamente accantonate per imprevisti nel quadro economico di ogni intervento, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, nonché utilizzando le eventuali ulteriori somme a disposizione della stazione appaltante per lo stesso intervento e stanziate annualmente. Ai fini che precedono possono, altresì, essere utilizzate le somme derivanti da ribassi d’asta, qualora non ne sia prevista una diversa destinazione sulla base delle norme vigenti, nonché le somme disponibili relative ad altri interventi ultimati di competenza della medesima stazione appaltante e per i quali siano stati eseguiti i relativi collaudi ed emanati i certificati di regolare esecuzione nel rispetto delle procedure contabili della spesa e nei limiti della residua spesa autorizzata. In ipotesi di acclarata insufficienza delle risorse a disposizioni delle stazioni appaltanti è stata prevista, per esse, la possibilità di accedere ad un fondo, di ultima istanza, istituito presso il MIMS. Relativamente all’anno 2022, nella prospettiva considerata, occorre rammentare l’emanazione del d.l.17 maggio 2022, n. 50 (c.d., decreto “aiuti”), successivamente convertito in legge n. 91 del 2022, che ha dettato un’ulteriore disciplina in tema di revisione prezzi con riguardo alle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore lavori ovvero dal medesimo annotate nel libretto delle misure, dal 1° gennaio al 31 dicembre 2022 (cfr. art. 26, comma 1, dell’atto normativo sopra richiamato che così recita: “Per fronteggiare gli aumenti eccezionali dei prezzi dei materiali da costruzione, nonché dei carburanti e dei prodotti energetici, in relazione agli appalti pubblici di lavori, ivi compresi quelli affidati a contraente generale, aggiudicati sulla base di offerte, con termine finale di presentazione entro il 31 dicembre 2021, lo stato di avanzamento dei lavori afferente alle lavorazioni eseguite e contabilizzate dal direttore dei lavori ovvero annotate, sotto la responsabilità dello stesso, nel libretto delle misure dal 1° gennaio 2022 fino al 31 dicembre 2022, è adottato, anche in deroga alle specifiche clausole contrattuali, applicando i prezzari aggiornati ai sensi del comma 2 ovvero, nelle more del predetto aggiornamento, quelli previsti dal comma 3. I maggiori importi derivanti dall’applicazione dei prezzari di cui al primo periodo, al netto dei ribassi formulati in sede di offerta, sono riconosciuti dalla stazione appaltante nella misura del 90 per cento, nei limiti delle risorse di cui al quarto e quinto periodo, nonché di quelle trasferite alla stazione appaltante a valere sulle risorse dei fondi di cui al comma 4. Il relativo certificato di pagamento è emesso contestualmente e comunque entro cinque giorni dall’adozione dello stato di avanzamento. Il pagamento è effettuato, al netto delle compensazioni eventualmente già riconosciute o liquidate, ai sensi dell’articolo 106, comma 1, lettera a), del codice dei contratti pubblici, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, entro i termini di cui all’articolo 113-bis, comma 1, primo periodo, del medesimo decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, utilizzando, nel limite del 50 per cento, le risorse appositamente accantonate per imprevisti nel quadro economico di ogni intervento, fatte salve le somme relative agli impegni contrattuali già assunti, e le eventuali ulteriori somme a disposizione della medesima stazione appaltante e stanziate annualmente relativamente allo stesso intervento. Ai fini del presente comma, possono, altresì, essere utilizzate le somme derivanti da ribassi d’asta, qualora non ne sia prevista una diversa destinazione sulla base delle norme vigenti, nonché le somme disponibili relative ad altri interventi ultimati di competenza della medesima stazione appaltante e per i quali siano stati eseguiti i relativi collaudi o emessi i certificati di regolare esecuzione, nel rispetto delle procedure contabili della spesa e nei limiti della residua spesa autorizzata disponibile alla data di entrata in vigore del presente decreto. Qualora il direttore dei lavori abbia già adottato lo stato di avanzamento dei lavori e il responsabile unico del procedimento abbia emesso il certificato di pagamento, relativamente anche alle lavorazioni effettuate tra il 1° gennaio 2022 e la data di entrata in vigore del presente decreto, è emesso, entro trenta giorni dalla medesima data, un certificato di pagamento straordinario recante la determinazione, secondo le modalità di cui al primo periodo, dell’acconto del corrispettivo di appalto relativo alle lavorazioni effettuate e contabilizzate a far data dal 1° gennaio 2022. In tali casi, il pagamento è effettuato entro i termini e a valere sulle risorse di cui al terzo e al quarto periodo”. Per maggiori approfondimenti sul tema si rinvia all’interessante articolo di Saul Monzani, pubblicato sul sito www.giustiziainsieme.it, dal titolo “La revisione dei prezzi negli appalti pubblici: disciplina legale eccezionale, discrezionalità della stazione appaltante e rimedi civilistici”. Si veda, inoltre, il contributo di Alexandra Marrazzo, pubblicato sul sito www.zoppolatoeassociati.it, dal titolo “Revisione prezzi negli appalti di lavori: la svolta del D.L. 50/2022”.