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Michelangelo, la Cappella Sistina e il Codice degli Appalti

Un poco raccomandabile ménage à trois
Dettaglio Creazione di Adamo - Cappella Sistina
Dettaglio Creazione di Adamo - Cappella Sistina

Michelangelo, la Cappella Sistina e il Codice degli Appalti

Dettaglio Creazione di Adamo - Cappella Sistina
Dettaglio Creazione di Adamo - Cappella Sistina


L’incontro di mani (con relativa stretta) costituisce parte fondante del rito della presentazione, ma  questo quasi incontro di mani – per l’esattezza di dita – non ha davvero bisogno di presentazione: famosissimo, riconoscibilissimo, indissolubilmente legato all’impronta (anzi all’intero indice con tanto di falange, falangina e falangetta) di Michelangelo.

È il dettaglio forse più identificativo (insieme a Colosseo&Lupa) di Roma caput mundi, incastonato al centro della scena de La Creazione di Adamo, sulla volta della Cappella Sistina.

Un susseguirsi ininterrotto di affreschi terra-cielo: lato destro, lato sinistro, parete di fondo (dietro l’altare) con il Giudizio Universale nonché, sul soffitto, più di trecento figure della Genesi e dell’Antico Testamento, a percorrere i 36 metri di lunghezza per i 13 di larghezza e i 21 di altezza di questa meraviglia delle meraviglie.

Grazie, Messer Buonarroti; proprio niente male per uno “scalpellino cresciuto a latte impastato con polvere di marmo”, che ha sempre ammesso di prediligere la scultura alla pittura.

Anche i Musei Vaticani, in costante stato di grazia da all booked, ringraziano. Un po’ meno ringraziano i turisti imprevidenti quando, sprovvisti di prenotazione, s’en vanno mesti mesti in qualche osteria dei paraggi per ripigliarsi dalla cocente delusione.

Ma come si sarebbero svolti restauro e decorazione della Cappella Sistina se a quei tempi (cinquecenteschi) fossero state in vigore le attuali, stringenti norme sugli appalti, sul divieto di interposizione della manodopera e sulla sicurezza dei lavori pubblici?

Probabilmente non ci sarebbe stata nessuna Cappella Sistina: sotto sequestro, impacchettata e sigillata per bene, alla mercé di gatti e graffitari.

Le cronache riportano che fu Papa Giulio II a volere il restyling della struttura, fortemente minacciata da crepe e lesioni che ne lasciavano presagire il cedimento; una volta consolidata, accortosi della persistenza di alcune imperfezioni, il pontefice escogitò il “trucco” di farla ridipingere per camuffare le magagne.

Per la realizzazione dell’opera, nessun adeguamento alle direttive europee (che, nel caso di specie, sarebbero state le direttive asburgiche); nessuna linea guida per la stazione appaltante; nessuna gara con procedura trasparente per la scelta del contraente. Pubblico incanto, licitazione privata, offerta economicamente vantaggiosa: queste sconosciute.

Solo un bel affidamento diretto ad uno dei due artisti di grido del momento, quello scorbutico (alias il “casciottaro”). All’altro, quel gran piacione tutto impomatato di Raffaello, non restò che ingoiare il boccone amaro, posto che di rotazione dei fornitori manco a parlarne.

Accadde così che il recalcitrante aggiudicatario, rup di se stesso e con l’unico fido assistente Urbino su cui poter contare, dovette farsi un discreto mazzo; quattro anni di lacrime e sangue, tra ponteggi improbabili e tecniche sperimentali, per consegnare nei termini pattuiti il lavoro.

Lavoro? Pardon, capolavoro.

Perché l’espressione artistica va oltre le barriere normative del D.Lgs 50/2016 (più solita tiritera delle successive modifiche e integrazioni).

E noi, in preda alla sindrome di Stendhal, la ammiriamo rapiti e stupefatti – con il naso all’insù – in tutta la sua prepotente beltà. In barba al Codice degli Appalti. Ed al torcicollo.