Gli algoritmi e l’attività amministrativa

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Abstract

Le sentenze del Tar Lazio e del Consiglio di Stato hanno posto in evidenza il delicato tema relativo all’uso dell’algoritmo nel procedimento amministrativo. I giudici amministrativi rilevano che, per quanto utile, l’algoritmo non può sostituirsi all’attività di un ufficio o di un funzionario preposto. Il Consiglio di Stato in particolare, ha stabilito dei limiti circa l’uso dell’algoritmo, affinché i principi fondamentali dell’attività amministrativa non vengano violati.

 

Indice:

1. Le sentenze del Tar Lazio e del Consiglio di Stato sull’uso degli algoritmi

2. Il procedimento amministrativo e l’algoritmo

3. Conclusioni sull’algoritmo nell’amministrazione

 

1. Le sentenze del Tar Lazio e del Consiglio di Stato sull’uso degli algoritmi

Con recenti decisioni il Tar Lazio, Roma, sezione III bis n. 9230/18 e il Consiglio di Stato, sezione VI, n. 8472/19, hanno affrontato il tema, di sicura attualità, dell’uso degli algoritmi nell’attività amministrativa.

La questione è stata sollevata in seguito ad un ricorso proposto, al Tar Lazio, da numerosi docenti, i quali, mediante l’impiego di un algoritmo, erano stati assegnati a sedi determinate o trasferiti. Il Tribunale Amministrativo ha accolto il ricorso, ritenendo non adeguata la sostituzione dell’attività amministrativa con quella algoritmica.

Un algoritmo è una sequenza di operazioni, un procedimento di calcolo, utile per la risoluzione di problemi. Più semplicemente, è un insieme di istruzioni che conducono ad un determinato risultato.

Ad esempio, mediante algoritmo è possibile capire come funziona una lavatrice, qual è lo schema predefinito che muove l’attività dell’elettrodomestico. 

È caratterizzato da:

finitezza delle espressioni (non esistono algoritmi infiniti) e di calcolo;

determinismo, ossia, la definizione specifica delle singole operazioni e la relativa non ambiguità;

effettività, in quanto eseguito necessariamente da un automa che ne osserva con matematica precisione le fasi.

Una ricetta culinaria è, banalmente, un algoritmo se eseguita alla lettera, senza variazioni, meglio ancora se da un robot da cucina privo di estro e gusto personale.

In definitiva, un algoritmo altro non è che una serie ordinata di fasi predeterminate. Risponde, dunque, a regole, a moduli estremamente precisi.

Nel caso di specie, i ricorrenti, tra gli altri motivi, denunciavano la mancanza dell’attività amministrativa, sostituita in toto da un algoritmo sconosciuto a cui erano state demandate le assegnazioni e i trasferimenti verso le sedi disponibili nell’organico della scuola, con ciò comportando l’assenza di istruttoria da parte di un ufficio o di un responsabile del procedimento.

Secondo i giudici amministrativi, il numero cospicuo di soggetti da assegnare ad altrettanti numerosi ambiti territoriali, non può giustificare il ricorso ad una procedura automatizzata, impersonale e priva di qualsivoglia metro valutativo che non tenga conto delle esigenze dei singoli. Al contrario, proprio la presenza di una fase istruttoria, con relativa attività del responsabile del procedimento, conscio di lucida analisi, garantirebbe il rispetto dei princìpi che informano l’attività amministrativa, finalizzata ad emanare dei provvedimenti che non ledano posizioni giuridiche soggettive (l’attività istruttoria è volta proprio ad acquisire elementi utili alla valutazione delle circostanze di fatto e delle situazioni degli istanti e della P.A. stessa).

L’algoritmo, impersonale e avalutativo, non può essere considerato attività in quanto tale, poiché questa, intesa come azione, è un “prodotto” umano e non la somma di calcoli matematici.

Se la decisione fosse il risultato di un mero processo matematico o informatico, si violerebbe l’obbligo di motivazione dei provvedimenti amministrativi, sacrificando la ricerca delle ragioni logiche e dei motivi di diritto che hanno consentito l’adozione dello stesso. Motivi che passano attraverso il raziocinio umano.

Ad avviso del Tribunale Amministrativo, per quanto l’attività informatica abbia un margine di errore estremamente scarso, se non pari allo zero, non può sostituirsi all’attività di un funzionario o un responsabile del procedimento, ciò anche in ossequio al principio di partecipazione del cittadino all’attività amministrativa, partecipazione che non potrebbe essere diretta ed immediata solo facendo interagire l’individuo con un macchinario. Al massimo, i supporti tecnologici, lungi dal definire processi e adottare decisioni, potrebbero servire come strumento ausiliario, in virtù del principio di strumentalità del ricorso all’informatica nelle procedure amministrative.

Il Consiglio di Stato, confermando nella sostanza la decisione del Tar Lazio, ha ammesso la possibilità, per le pubbliche amministrazioni, di utilizzare algoritmi in alcune ipotesi, ad esempio quando debbano essere trattati numerosi dati; ha, tuttavia, fissato dei limiti.

In prima analisi, considera l’uso degli algoritmi informatici nell’attività della P.A., come un valido ausilio alla celerità, alla qualità e all’efficienza dei procedimenti e dei servizi, utili ad evitare imperfezioni ed assicurare neutralità, grazie all’uso di “asettici calcoli razionali basati sui dati”. Tale modus operandi tornerebbe senz’altro utile con riferimento a procedure, come quelle del caso esaminato, in cui l’analisi riguardi un numero ingente di dati.

Se pure il sostegno di tecnologie informatiche consentirebbe di ridurre i tempi previsti per operazioni prive di ogni elemento di discrezionalità, garantendo così l’imparzialità del procedimento ed eludendo inefficienza o, peggio ancora, negligenza del funzionario preposto, non può ammettersi la violazione dei principi fondamentali che muovono l’attività amministrativa.

È in quest’ottica che l’algoritmo può essere considerato non come sostituto del procedimento amministrativo, ma come modulo procedimentale o strumento istruttorio che si inserisce all’interno del procedimento stesso in cui l’organo pubblico resta titolare del potere.

Ammessa, dunque, l’indiscutibile validità dell’uso di algoritmi se inseriti nel procedimento e considerati come strumenti istruttori, il Consiglio di Stato ne evidenzia due fondamentali condizioni di operatività: “a) la piena conoscibilità a monte del modulo utilizzato e dei criteri applicati; b) l’imputabilità della decisione all’organo titolare del potere, il quale deve poter svolgere la necessaria verifica di logicità e legittimità della scelta e degli esiti affidati all’algoritmo”. 

La conoscibilità si sostanzia nella comunicazione degli autori e del procedimento di elaborazione, dei dati rilevanti e del meccanismo di decisione, ciò al fine di rendere sindacabili le modalità di impostazione dell’algoritmo. Ai soggetti interessati viene altresì riconosciuta, nel ben più ampio raggio del diritto di accesso, la possibilità di ricevere informazioni sulla presenza di operazioni automatizzate a sostegno del procedimento amministrativo. Pertanto, indubbio è il legame che unisce la piena conoscibilità dei criteri applicati al principio della trasparenza

Imputare, invece, la decisione all’organo titolare del potere rassicura il destinatario del provvedimento circa la presenza di un individuo che coordini le fasi del procedimento e sia in grado di garantire la logicità e la legittimità della decisione.

I princìpi che devono informare l’uso degli strumenti informatici nel procedimento amministrativo possono essere così sintetizzati:

in primo luogo, il principio di conoscibilità, secondo cui ognuno ha diritto ad essere informato sulla presenza di strumenti automatizzati in grado di incidere sulla decisione da adottare e sulla logica seguita in proposito;

il secondo principio è la non esclusività della decisione algoritmica, con invero la previsione della presenza di un soggetto umano che controlli e filtri la decisione automatica;

infine il principio di non discriminazione algoritmica, di matrice europea (il riferimento normativo è l’articolo 71 del Regolamento 679/16), che impegna il titolare del trattamento dei dati ad utilizzare processi matematici adatti alla profilazione, ponendo l’accento sul corretto inserimento dei dati, così da evitare effetti discriminatori nell’output decisionale.

Le operazioni algoritmiche, afferma il Consiglio di Stato, non sono necessariamente indice di legalità solo perché automatiche. Infatti, tali automatizzazioni, certamente corrette sotto l’aspetto matematico, non possono prescindere da un’attività umana a monte che ne stabilisca i criteri, vagli i dati e gli esiti della decisione.

La procedura di trasferimento e di assegnazione delle sedi è, ad avviso dei giudici di Palazzo Spada, inficiata anche a causa del difetto di trasparenza.

Queste le motivazioni, tra le altre, che hanno condotto i giudici a respingere l’appello.

Pertanto, il Consiglio di Stato ha sì confermato la sentenza di primo grado, ritenendo legittimo, anche sulla scorta del Codice dell’Amministrazione Digitale, l’uso degli algoritmi nel procedimento amministrativo ma ne ha stabilito le condizioni.

 

2. Procedimento amministrativo e algoritmo

Pensando al procedimento amministrativo nella sua concezione formale come fattispecie a formazione progressiva, elaborata dalla dottrina (Sandulli), l’analogia col concetto di algoritmo è agevole.

Entrambi sono costituiti da fasi predeterminate e ben delineate.

Se si considera, però, la possibilità frequente che nel corso del procedimento possano intervenire delle modifiche, la coincidenza sfuma.

L’algoritmo, affinché raggiunga un determinato risultato, deve basarsi solo ed esclusivamente su dati stabiliti con precisione e che restino invariati.

Ecco che algoritmo e procedimento amministrativo se non presentano differenze concettuali e di principio sostanziali, si discostano nettamente tra loro in maniera funzionale.

A sostegno di ciò, si pensi al ruolo, alla funzione, del procedimento come estrinsecazione del potere autoritativo della P.A., cristallizzato in un provvedimento capace di incidere sulla sfera dei singoli e in grado di modificare la realtà circostante.

L’algoritmo, per quanto impersonale e automatizzato, è relativo ad un processo specifico che se pure conduce ad un risultato, anch’esso in grado di modificare la realtà circostante, resta asservito al funzionamento del macchinario.

E ancora.

Mentre nel procedimento amministrativo ciò che conta è il momento dell’emanazione del provvedimento valido (che può seguire ad una serie di fasi in continua modifica, costanti solo nell’ordine ma non necessariamente uguali e in serie), nel processo algoritmico nessuna variazione è consentita dal momento che conta solamente l’immissione di dati stabiliti per un dato risultato.

Si sposta dunque l’attenzione su un diverso momento temporale: l’algoritmo ha il risultato in re ipsa, grazie all’inserimento iniziale di istruzioni specifiche che inevitabilmente termineranno in una precisa operazione; il procedimento amministrativo, è tale se e solo se si sostanzia in un provvedimento, dacché la sua raison d’être è proprio la dinamica adozione di una decisione.

Sia l’algoritmo che il procedimento amministrativo si presentano come un insieme di fasi utili a raggiungere un determinato obiettivo, si differenziano per la possibilità di integrare le singole operazioni per il procedimento amministrativo, e per l’impossibilità di farlo in quello algoritmico, pena un risultato differente da quello pensato.

L’algoritmo è un processo nel procedimento, certamente utile a semplificare e snellire le complessità dell’azione della P.A., senz’altro vantaggioso quando l’esercizio del potere pubblico debba ricorrere a regole tecnico-scientifiche.

A tal proposito, i benefici apportati dall’uso di algoritmi informatici o matematici sono innegabili con riguardo alle attività vincolate e, in misura minore, alle attività discrezionali, quando l’Amministrazione tende ad una valutazione dei fatti secondo canoni tecnici o scientifici.

L’articolo 17 della L. 241/90 prevede che, laddove la P.A. debba acquisire valutazioni tecniche per l’adozione di una decisione, che non rientrino nelle sue competenze e conoscenze, il responsabile del procedimento dovrà rivolgersi ad un soggetto qualificato (altri organi o enti pubblici o istituti universitari).

Di conseguenza, il ricorso ad una procedura algoritmica non solo risulta di notevole adeguatezza quando debbano eseguirsi accertamenti tecnici, ma è addirittura consentito per legge.

In caso di attività discrezionale della P.A., l’algoritmo dovrà essere considerato come processo da valutare sulla scorta dei limiti previsti dal Consiglio di Stato.

Ciò conferma, dunque, il ruolo dell’algoritmo nel procedimento amministrativo come strumentale ma decisivo allo stesso tempo.

 

3. Conclusioni sull’algoritmo nell’amministrazione

L’algoritmo non può essere messo al bando o all’indice delle cose proibite.

Come rilevato dal Consiglio di Stato, occorre solo che siano resi noti i criteri con cui opera e un centro di imputabilità se si verifichi una fallacia. Una fallacia che si spera non venga annullata da nessun ingranaggio perfetto, perché, come rilevava Karl Popper, più la teoria (in questo caso, l’uso dell’algoritmo nel procedimento amministrativo) può essere confutata, più è vicina alla verità ed è scientifica, poiché l’errore potrà essere la controprova della sua validità. Una validità che potrà essere confermata una volta contraddetto il necessario errore.

E allora, ci si augura che la Pubblica Amministrazione non guardi con ritrosìa all’innovazione tecnologica, ma sappia fare buon uso dei vantaggi che questa indiscutibilmente apporta, non mettendo da parte, mai, l’essere umano.

E, d’altro canto, si spera che i destinatari dei servizi pubblici e, più in generale, i cittadini non pensino alla tecnologia come rivale dell’attività amministrativa ma imparino a vederne i benefici che potrebbero ripercuotersi positivamente sui loro interessi e bisogni.