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Il D.A.SPO., tra definizioni e applicazioni incerte

È ancora possibile pensare al D.A.SPO. come solo divieto di accesso alle manifestazioni sportive?
D.A. SPO.
D.A. SPO.

Abstract

Il Divieto di Accedere alle manifestazioni Sportive, meglio noto come D.A.SPO., è un provvedimento adottato dal Questore nei confronti di soggetti che hanno preso parte attiva in episodi di violenza o adottato comportamenti tali da mettere in pericolo la sicurezza pubblica durante le competizioni sportive.

 

Indice

1. Il Divieto di Accedere alle manifestazioni sportive

2. Il D.A.SPO. Urbano e il D.A.SPO. per i corrotti

3. Una difficile sintesi

 

1. Il Divieto di Accedere alle manifestazioni sportive

Il Divieto di Accedere alle manifestazioni Sportive, meglio noto come D.A.SPO., è un provvedimento adottato dal Questore nei confronti di soggetti che hanno preso parte attiva in episodi di violenza o adottato comportamenti tali da mettere in pericolo la sicurezza pubblica durante le competizioni sportive.

Il D.A.SPO., che può configurarsi anche in ipotesi di mero incitamento all’aggressione, trova il suo fondamento nell’esigenza di reprimere e contrastare situazioni di tumulto, allarme o pericolo in occasione di eventi agonistici.

La ratio sottesa al provvedimento è quella di evitare che chi sia stato coinvolto in pregressi fatti di violenza, torni a frequentare luoghi ove potrebbe porre in essere le medesime condotte facinorose.

Infatti, tra i destinatari del divieto rientrano coloro che “siano stati denunciati o condannati anche con sentenza non definitiva nel corso degli ultimi cinque anni”.

Il divieto si concretizza nell’impossibilità, per i relativi destinatari, di accedere a tutti gli impianti sportivi del territorio nazionale, ai luoghi interessati alla sosta, al transito ed al trasporto di coloro che partecipano o assistono alle competizioni, e nell’obbligo di presentarsi presso il comando di Polizia competente per il luogo di residenza dell’obbligato, in occasione delle manifestazioni per cui opera il D.A.SPO.

La durata massima del divieto è pari a cinque anni.

La condotta del trasgressore è punita sia con la detenzione (reclusione da uno a tre anni) sia con la pena pecuniaria.

La giurisdizione spetta al Giudice Amministrativo, essendo il divieto il risultato di un procedimento amministrativo che culmina con l’adozione del provvedimento da parte del Questore.

Il riferimento normativo principale è rappresentato dalla L. 401/1989.

 

2. Il D.A.SPO. urbano e il D.A.SPO. per i corrotti

Dal 1989, la disciplina ha subìto innumerevoli cambiamenti; la denominazione è rimasta tale ma il divieto è stato esteso ad eventi che con le manifestazioni sportive poco hanno a che fare.

Se un’evoluzione normativa, legislativa e giurisprudenziale è giusto che ci sia e che si adatti ai cambiamenti sociali, altrettanto non può dirsi dell’estensione ad libitum di divieti che nascono circoscritti ad una fattispecie e che, poi, trovano, invece, un’applicazione diversa e ulteriore rispetto a quella prescritta in origine dalla norma che pare, così, perdere la sua raison d’être (oltre che ledere il legittimo affidamento del cittadino).

Il D.A.SPO. non è un generico divieto d’accesso, né risente di un’ardua interpretazione: il Legislatore del 1989 lo ha pensato come riferito alle sole manifestazioni sportive.

Di recente, però, è stato adottato il D.A.SPO. Urbano (introdotto nella primavera del 2017 dall’ex Ministro dell’Interno), inteso come un provvedimento di allontanamento da un luogo pubblico per un determinato periodo di tempo.

È stato applicato per la prima volta nei confronti di un individuo che importunava i passeggeri nei pressi di una stazione e, recentemente, è stato emanato dal Questore di Roma nei confronti di tre persone sorprese ad infastidire turisti e pendolari.

Seppur riferiti all’ordine pubblico, il D.A.SPO e il D.A.SPO Urbano, poco hanno in comune, nonostante entrambi siano provvedimenti di un’autorità amministrativa che comportano l’allontanamento da un luogo pubblico. Ma, il Divieto di allontanamento dalle manifestazioni sportive è cosa ben diversa dal D.A.SPO Urbano, applicabile in ogni luogo e in ogni momento.

Una corretta qualificazione giuridica del divieto in esame, inoltre, è fondamentale soprattutto ove si consideri che la libertà di circolazione non può subire limitazioni non precisamente delineate, tali da sfiorare un’arbitraria assolutezza.

Ciò è ancor più vero laddove si tenga conto che proprio la L. n. 401 del 1989, all’articolo 6 co. 1 presuppone la specificità, o meglio, l’indicazione specifica dei luoghi dove non si può accedere a seguito di D.A.SPO.

Si pensi alla recente sentenza della Corte di Cassazione, sezione III penale, n. 43575 del 2.10.2018, ove, proprio sulla scorta di quanto stabilito dall’art. 6 L. 401/89, è stato affermato il principio di diritto secondo cui, esclusi i luoghi tassativamente indicati nell’articolo citato, “deve accertarsi in concreto il pericolo di reali contatti personali con gli spettatori, in entrata e in uscita dallo stadio, non essendo sufficiente accertare la visione della partita da una casa privata, sita vicino allo stadio”, attesa la natura preventiva del provvedimento in questione.

La Suprema Corte, con la sentenza in esame, altro non ha fatto se non cristallizzare non solo la natura preventiva ed amministrativa (non di certo punitiva) del divieto, ma ha, altresì, confermato, come elemento essenziale dello stesso, una corretta individuazione dei siti in cui, chiunque sia colpito dal provvedimento, non potrebbe sostare o recarsi.

Per esclusione, ad avviso della Cassazione, assistere ad una partita da un’abitazione privata non comporta violazione alcuna del divieto, né pericolo per la sicurezza pubblica, non rientrando l’abitazione privata tra i luoghi espressamente elencati dall’articolo 6, luoghi che, a bene vedere e per evitare interpretazioni scorrette, potrebbero essere intesi come un numerus clausus.

Ebbene, come si fa a configurare in anticipo un reale pericolo, nel caso di D.A.SPO. Urbano, considerata anche l’inesattezza dei luoghi in cui questo potenzialmente può operare? 

Oltretutto, è più che lecito chiedersi perché scopiazzare la disciplina di un divieto sportivo e incollarla a situazioni quotidiane e generiche a cui, invece, deve applicarsi il Codice Penale o il Tulps.

Non può trattarsi neanche di applicazione analogica del divieto, dal momento che nessuna lacuna normativa deve essere colmata.

Fino ad oggi, insomma, l’ordine pubblico è stato garantito anche senza il D.A.SPO. Urbano che non pare essere un istituto pensato ad hoc; piuttosto, sembra il risultato di un’operazione di rammendo legislativo.

Tuttavia, il D.A.SPO. Urbano non è il solo ibrido giuridico che il Legislatore ha pensato.

Con la Legge 9 gennaio 2019, n. 3 (“Misure per il contrasto dei reati contro la pubblica amministrazione, nonché in materia di prescrizione del reato e in materia di trasparenza dei partiti e movimenti politici”), è stato introdotto il D.A.SPO. per i corrotti, che consiste nell’interdizione dai pubblici uffici e nell’impossibilità di stipulare contratti con la Pubblica Amministrazione per i condannati, in via definitiva, per corruzione. È previsto un “D.A.SPO. perpetuo” in caso di condanne superiori a due anni, che può essere revocato in caso di riabilitazione dopo dodici anni dall’espiazione della pena.

Perché “D.A.SPO.” e non semplicemente “interdizione”?

Il problema della corretta denominazione prima, e qualificazione poi, si ripresenta spavaldo.

Ma non è tutto.

Il D.A.SPO. è arrivato anche nei nosocomi (con grande disappunto dell’ordine dei medici), dove il diritto di ogni cittadino a ricevere cure, sembra mettersi nell’ombra rispetto a ben più astratte esigenze di sicurezza.

Il D.A.SPO. Urbano, pertanto, potrebbe riguardare anche i soggetti che impediscono l’accessibilità e la fruizione dei servizi nei presidi sanitari.

Se, in questo caso, la natura preventiva del divieto è lapalissiana (considerate anche le numerose aggressioni che vedono coinvolti i medici e gli operatori sanitari), meno agevole risulta operare un bilanciamento dei valori costituzionali in gioco; bilanciamento, tra l’altro, alquanto balzano, che farebbe porre più di una domanda a coloro chiamati ad emanare il relativo D.A.SPO.

 

3. Una difficile sintesi

Ricapitoliamo:

il D.A.SPO., riferito alle sole manifestazioni sportive, si estende al contesto urbano senza limiti di sorta, ai presidi sanitari e si configura, altresì, come pena accessoria nel caso di condanna per corruzione.

Uno strumento nato come deterrente per le condotte dei tifosi facinorosi, ha trovato, nel corso degli anni, applicazione nei più disparati settori, arrivando in ogni dove, tranne che sui balconi adiacenti gli stadi.

Al riguardo, se pure la giurisprudenza si è espressa a favore di limitazioni che tenessero conto della libertà personale e di circolazione degli individui, il Legislatore pare aver dimenticato l’ampio ventaglio di poteri “creativi” di cui gode, sacrificandoli per una normazione avara di novità ed approssimata.   

La corretta qualificazione e, quindi, applicazione del D.A.SPO. rappresenta, in sintesi, l’ennesimo conflitto freddo tra Giurisprudenza da un lato e Legislatore dall’altro che porta il cittadino ad interrogarsi: fino a che punto può spingersi l’esigenza di prevenzione? E quanto può essere limitata la libertà personale a vantaggio della sicurezza e dell’ordine pubblico?

Una risposta del Legislatore sembra essere necessaria, anche per evitare inutili procedimenti giudiziari.

Bisognerebbe ripensare al D.A.SPO. come in origine, vale a dire come un mero divieto di accesso alle manifestazioni sportive, evitandone applicazioni rapsodiche. Non è una limitazione arbitraria e sfumata della libertà di circolazione, come negli ultimi anni è stato erroneamente considerato.

Ciò è doveroso. Quantomeno, per non sacrificare i diritti personali dell’individuo.