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Repetita non semper iuvant

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Repetita non semper iuvant

Difficile capire in quale momento certi meccanismi si siano definiti in modo così rigido; possiamo risalire a un periodo di disagio, di dolore, di inadeguatezza in cui i ritmi ripetitivi, attraenti come un canto di sirene, ci hanno irretito per non abbandonarci più. La voce ha imparato a modularsi in un certo modo in un determinato frangente, riattivandosi con la stessa tonalità al ripetersi di una situazione simile, le reazioni agli eventi si sono perfezionate nel reiterarsi sempre uguali e la scorza si è ispessita, il dolore si è lenito, ma il fossato attorno si è ampliato.

Quale prezzo ha la sicurezza della ripetizione? Il prezzo da pagare è l’autoreferenzialità, quindi l’incomunicabilità.  Se il riferimento siamo noi, se ci illudiamo di gestire con un rito la realtà e chi la abita, se i parametri li decidiamo noi, allora non siamo disposti all’ascolto, a incontrare l’altro, ma vogliamo solo soddisfare i nostri personalissimi target, non scorgendo più l’orizzonte oltre al nostro naso.

Appiattiti e insoddisfatti tentiamo di plasmare tutto e tutti, finché la nostra voce stanca esce inutilmente per rimbalzare nel vuoto.

Chi condivide la quotidianità con noi partecipa suo malgrado al copione, fino a che uno squarcio nel cielo di carta, un avvenimento imprevisto ci mostra la realtà per quella che è e mette in crisi i nostri consueti punti di riferimento e il nostro routinario contesto.

Tocca dunque vacillare, cadere se necessario, per comprendere che possiamo scegliere di cambiare, di permettere a noi stessi di essere qualcosa di diverso da quello che la ripetizione dell’abitudine ha confezionato.

Basta davvero poco per irroraci, basta lasciare da parte tutti gli imperativi interiori e dare priorità a qualcosa che abbiamo a cuore. Un’azione nuova e amata ci illumina diversamente, ci rimette in dialogo con il nostro io, ci permette di creare nuovi silenzi che ci dispongono all’ascolto e ci permettono di guardare l’altro senza pretese.

 Come una mamma che, a fine giornata, osservando il caos, i libri fuori posto, la tavola da sparecchiare, per una volta, lascia tutto così, perdonandosi, va in camera dei suoi figli e propone una cosa inaspettata: “Stasera posso leggervi un racconto?” Un “sì” desideroso la incoraggia e, mentre scivolano sotto le coperte, si abbandona a una lettura intensa e ad alta voce come non faceva da troppo tempo.

La quotidianità così solleticata ci trova allora disposti non soltanto a dare quel che vogliamo noi, ma anche a ricevere dagli altri.