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IL PRINCIPIO DI SPECIALITA’ IN MATERIA DI ESTRADIZIONE: DEFINIZIONE, RATIO, QUADRO NORMATIVO EUROPEO ED INTERNO, GIURISPRUDENZA.

IL PRINCIPIO DI SPECIALITA’ IN MATERIA DI ESTRADIZIONE: DEFINIZIONE, RATIO, QUADRO NORMATIVO EUROPEO ED INTERNO, GIURISPRUDENZA.

Sommario: Il principio di specialità in materia di estradizione: definizione, quadro normativo di riferimento, ratio. Giurisprudenza: in particolare Cassazione, Sezioni Unite Penali 28 febbraio 2001, Ferrarese, CED 218767 e Corte Costituzionale n. 33 del 24 gennaio 2007.

Uno dei principi fondamentali vigenti in materia di estradizione è quello di specialità, il quale si risolve nel divieto di adottare misure restrittive della libertà o di procedere nei confronti dell’estradato per fatti anteriori e diversi da quelli per i quali è stata concessa l’estradizione.

Tale principio è espresso e disciplinato sia in norme pattizie internazionali che in disposizioni dell’ordinamento interno.

Il codice di procedura penale, all’articolo 696, stabilisce infatti che le estradizioni sono disciplinate dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale e che, se tali norme mancano o non dispongono diversamente, si applicano le disposizioni di cui al Titolo II del Libro XI del codice.

In particolare il principio di specialità è previsto dall’articolo 14 comma 1 della Convenzione Europea di Estradizione, resa esecutiva in Italia con legge 30.1.1963 n. 300, dall’articolo 27 della decisione quadro del 13.6.2002 sul mandato di arresto europeo, nonché dall’articolo 26 legge n. 69/2005, legge che ha attuato nell’ordinamento italiano i principi contenuti nella decisione quadro.

Quest’ultima disposizione stabilisce che la consegna dell’estradando è sempre subordinata alla condizione che il soggetto non venga sottoposto ad un procedimento penale, né privato della libertà in esecuzione di una pena o misura di sicurezza, né altrimenti assoggettato ad altra misura privativa della libertà personale per fatti diversi da quelli per cui la consegna è stata concessa e commessi anteriormente alla stessa.

Di tenore analogo è l’articolo 721 codice di procedura penale, il quale sancisce che l’estradato non può essere sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza né assoggettato ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa, salvo che vi sia l’espresso consenso dello Stato estero o che l’estradato, avendone avuta la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero che, dopo averlo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno.

La ratio del principio di specialità è quella di impedire richieste fraudolente di estradizione da parte di Stati che, in violazione degli accordi stipulati con lo Stato di rifugio, una volta ottenuta la consegna del reo in relazione a determinate ipotesi di reato, intendano invece trattenere l’estradato anche per fatti anteriori e diversi rispetto a quello che ha dato luogo all’estradizione.

La portata del principio in esame è stata oggetto di dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza.

In particolare era controverso se esso comportasse, per i fatti non compresi nella richiesta di estradizione e commessi prima della consegna, l’improcedibilità dell’azione penale e dunque l’impossibilità di trarre l’estradato a giudizio e di pronunciare sentenza, oppure rappresentasse unicamente un ostacolo all’adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale, tanto in sede cautelare che esecutiva.

In un primo intervento (Sezioni Unite, sentenza 19 maggio 1984, Carboni), la Cassazione aveva affermato che il principio di specialità impediva non già la sola coercizione personale dell’estradato, ma qualsiasi esercizio di giurisdizione per fatti anteriori e diversi.

Successivamente però le stesse Sezioni Unite (sentenza 28 febbraio 1989, Nigro) avevano sovvertito la precedente presa di posizione, escludendo che il principio dovesse intendersi quale limite della giurisdizione.

Nel 2001 si sono tuttavia nuovamente pronunciate in materia le Sezioni Unite (sentenza 28 febbraio 2001, Ferrarese, CED 218767), con intervento ad oggi risolutivo della questione.

Con tale pronuncia la Corte ha stabilito che la clausola di specialità espressa nell’articolo 14, comma 1, della Convenzione Europea di Estradizione deve essere configurata come introduttiva di una condizione di procedibilità, la cui mancanza costituisce elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale nelle forme tipiche previste dall’articolo 405 codice di procedura penale, mentre non impedisce il compimento degli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova (anche mediante il ricorso all’incidente probatorio), l’esercizio dei poteri interruttivi della prescrizione, purchè compatibili con la fase antecedente all’esercizio dell’azione penale, nonchè l’archiviazione della notizia di reato.

Secondo la suddetta pronuncia è dunque inibito l’esercizio dell’azione penale per fatti diversi da quelli per cui l’estradizione è stata concessa e anteriori alla consegna, a meno che sia intervenuta l’estradizione suppletiva o si sia verificata una delle cause di estinzione dell’estradizione previste dall’articolo 14, comma 1, lettera B, C.E.E.

Tale presa di posizione ha ricevuto di recente l’avallo anche della Corte Costituzionale.

Quest’ultima, infatti, con la sentenza n. 33 del 24 gennaio 2007, ha declinato la possibilità offertale di un’interpretazione creativa, manipolatrice del quadro normativo, volta a consentire nei confronti dell’imputato estradato la celebrazione, per fatti diversi e anteriori alla sua consegna, di un giudizio di “mero accertamento” da attuarsi nelle forme del procedimento contumaciale, con l’unica finalità di interrompere il decorso della prescrizione o di costituire un titolo valido per richiedere l’estradizione suppletiva.

La Consulta, investita della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 420-quater, comma 1, codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva espressamente l’obbligo del giudice di dichiarare, ove prevista dalle norme pattizie, la contumacia dell’imputato estradato per fatti diversi e anteriori alla sua consegna, ha preso le mosse dalla conformazione dell’istituto della contumacia nel nostro ordinamento.

La Corte Costituzionale ha pertanto ribadito i presupposti soltantoo in presenza dei quali, nel nostro ordinamento, la contumacia può essere dichirata, quali delineati dagli articoli 420, comma 2, 420-bis e 420-ter, commi 1 e 2.

In particolare nell’ordinamento processuale italiano non è ammessa la celebrazione in contumacia di un processo penale qualora l’imputato non si presenti all’udienza per un legittimo impedimento.

Tale legittimo impedimento dell’imputato a comparire all’udienza di cui al comma 1 dell’articolo 420-ter viene dalla Consulta ravvisato, nel caso di specie, proprio nell’interpretazione dominante e più autorevole (ricordata sopra) della clausola di specialità, la quale conferisce all’imputato il diritto a non essere processato per fatti anteriori e diversi da quelli che hanno dato luogo all’estradizione.

Secondo la Consulta un primo ostacolo che impedisce la dichiarazione di ilegittimità costituzionale dell’articolo 420-quater consiste nell’impossibilità di estendere analogicamente le norme processuali che regolano il giudizio contumaciale, stante la natura eccezionale delle stesse, riconosciuta come tale dalla giurisprudenza di legittimità: deve pertanto ritenersi vietata qualsiasi estensione di tali disposizioni volta a regolare casi in cui la stessa ratio si accompagna tuttavia all’assenza di un’espressa regolamentazione normativa.

Per superare l’ostacolo e conseguire ugualmente lo scopo di superare la barriera della clausola di specialità – che, in alcuni casi, porta ad una sostanziale non processabilità dei presunti autori di reati anche gravi – il giudice a quo chiedeva alla Corte di rendere possibile, mediante una sentenza additiva, la celebrazione di un giudizio contumaciale di mero accertamento, al doppio fine di interrompere la prescrizione e di costituire un titolo valido per inoltrare allo Stato-rifugio richiesta di estradizione suppletiva.

La Corte Costituzionale ha però ritenuto che un proprio intervento volto a creare, accanto ai casi espressamente previsti dal legislatore, nuove condizioni per la legittima dichiarazione di contumacia dell’imputato, che aprisse le porte alla valida celebrazione di un processo nei confronti di questi, avrebbe comportato la creazione di un nuovo tipo di processo contumaciale (previsto e regolato solo in funzione della interruzione della prescrizione o della costituzione di un titolo valido per richiedere l’estradizione suppletiva), che avrebbe obbligato il giudice a dichiarare la contumacia al di là delle condizioni attualmente previste dalla legge.

Tale intervento creativo è stato ritenuto dalla Consulta esorbitante le prerogative concesse all’organo giurisdizionale.

La Corte Costituzionale, pertanto, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 420-quater del codice di procedura penale sollevata dinnanzi ad essa.

IL PRINCIPIO DI SPECIALITA’ IN MATERIA DI ESTRADIZIONE: DEFINIZIONE, RATIO, QUADRO NORMATIVO EUROPEO ED INTERNO, GIURISPRUDENZA.

Sommario: Il principio di specialità in materia di estradizione: definizione, quadro normativo di riferimento, ratio. Giurisprudenza: in particolare Cassazione, Sezioni Unite Penali 28 febbraio 2001, Ferrarese, CED 218767 e Corte Costituzionale n. 33 del 24 gennaio 2007.

Uno dei principi fondamentali vigenti in materia di estradizione è quello di specialità, il quale si risolve nel divieto di adottare misure restrittive della libertà o di procedere nei confronti dell’estradato per fatti anteriori e diversi da quelli per i quali è stata concessa l’estradizione.

Tale principio è espresso e disciplinato sia in norme pattizie internazionali che in disposizioni dell’ordinamento interno.

Il codice di procedura penale, all’articolo 696, stabilisce infatti che le estradizioni sono disciplinate dalle norme delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dalle norme di diritto internazionale generale e che, se tali norme mancano o non dispongono diversamente, si applicano le disposizioni di cui al Titolo II del Libro XI del codice.

In particolare il principio di specialità è previsto dall’articolo 14 comma 1 della Convenzione Europea di Estradizione, resa esecutiva in Italia con legge 30.1.1963 n. 300, dall’articolo 27 della decisione quadro del 13.6.2002 sul mandato di arresto europeo, nonché dall’articolo 26 legge n. 69/2005, legge che ha attuato nell’ordinamento italiano i principi contenuti nella decisione quadro.

Quest’ultima disposizione stabilisce che la consegna dell’estradando è sempre subordinata alla condizione che il soggetto non venga sottoposto ad un procedimento penale, né privato della libertà in esecuzione di una pena o misura di sicurezza, né altrimenti assoggettato ad altra misura privativa della libertà personale per fatti diversi da quelli per cui la consegna è stata concessa e commessi anteriormente alla stessa.

Di tenore analogo è l’articolo 721 codice di procedura penale, il quale sancisce che l’estradato non può essere sottoposto a restrizione della libertà personale in esecuzione di una pena o misura di sicurezza né assoggettato ad altra misura restrittiva della libertà personale per un fatto anteriore alla consegna diverso da quello per il quale l’estradizione è stata concessa, salvo che vi sia l’espresso consenso dello Stato estero o che l’estradato, avendone avuta la possibilità, non abbia lasciato il territorio dello Stato trascorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero che, dopo averlo lasciato, vi abbia fatto volontariamente ritorno.

La ratio del principio di specialità è quella di impedire richieste fraudolente di estradizione da parte di Stati che, in violazione degli accordi stipulati con lo Stato di rifugio, una volta ottenuta la consegna del reo in relazione a determinate ipotesi di reato, intendano invece trattenere l’estradato anche per fatti anteriori e diversi rispetto a quello che ha dato luogo all’estradizione.

La portata del principio in esame è stata oggetto di dibattito sia in dottrina che in giurisprudenza.

In particolare era controverso se esso comportasse, per i fatti non compresi nella richiesta di estradizione e commessi prima della consegna, l’improcedibilità dell’azione penale e dunque l’impossibilità di trarre l’estradato a giudizio e di pronunciare sentenza, oppure rappresentasse unicamente un ostacolo all’adozione di provvedimenti restrittivi della libertà personale, tanto in sede cautelare che esecutiva.

In un primo intervento (Sezioni Unite, sentenza 19 maggio 1984, Carboni), la Cassazione aveva affermato che il principio di specialità impediva non già la sola coercizione personale dell’estradato, ma qualsiasi esercizio di giurisdizione per fatti anteriori e diversi.

Successivamente però le stesse Sezioni Unite (sentenza 28 febbraio 1989, Nigro) avevano sovvertito la precedente presa di posizione, escludendo che il principio dovesse intendersi quale limite della giurisdizione.

Nel 2001 si sono tuttavia nuovamente pronunciate in materia le Sezioni Unite (sentenza 28 febbraio 2001, Ferrarese, CED 218767), con intervento ad oggi risolutivo della questione.

Con tale pronuncia la Corte ha stabilito che la clausola di specialità espressa nell’articolo 14, comma 1, della Convenzione Europea di Estradizione deve essere configurata come introduttiva di una condizione di procedibilità, la cui mancanza costituisce elemento ostativo all’esercizio dell’azione penale nelle forme tipiche previste dall’articolo 405 codice di procedura penale, mentre non impedisce il compimento degli atti di indagine preliminare necessari ad assicurare le fonti di prova (anche mediante il ricorso all’incidente probatorio), l’esercizio dei poteri interruttivi della prescrizione, purchè compatibili con la fase antecedente all’esercizio dell’azione penale, nonchè l’archiviazione della notizia di reato.

Secondo la suddetta pronuncia è dunque inibito l’esercizio dell’azione penale per fatti diversi da quelli per cui l’estradizione è stata concessa e anteriori alla consegna, a meno che sia intervenuta l’estradizione suppletiva o si sia verificata una delle cause di estinzione dell’estradizione previste dall’articolo 14, comma 1, lettera B, C.E.E.

Tale presa di posizione ha ricevuto di recente l’avallo anche della Corte Costituzionale.

Quest’ultima, infatti, con la sentenza n. 33 del 24 gennaio 2007, ha declinato la possibilità offertale di un’interpretazione creativa, manipolatrice del quadro normativo, volta a consentire nei confronti dell’imputato estradato la celebrazione, per fatti diversi e anteriori alla sua consegna, di un giudizio di “mero accertamento” da attuarsi nelle forme del procedimento contumaciale, con l’unica finalità di interrompere il decorso della prescrizione o di costituire un titolo valido per richiedere l’estradizione suppletiva.

La Consulta, investita della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 420-quater, comma 1, codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedeva espressamente l’obbligo del giudice di dichiarare, ove prevista dalle norme pattizie, la contumacia dell’imputato estradato per fatti diversi e anteriori alla sua consegna, ha preso le mosse dalla conformazione dell’istituto della contumacia nel nostro ordinamento.

La Corte Costituzionale ha pertanto ribadito i presupposti soltantoo in presenza dei quali, nel nostro ordinamento, la contumacia può essere dichirata, quali delineati dagli articoli 420, comma 2, 420-bis e 420-ter, commi 1 e 2.

In particolare nell’ordinamento processuale italiano non è ammessa la celebrazione in contumacia di un processo penale qualora l’imputato non si presenti all’udienza per un legittimo impedimento.

Tale legittimo impedimento dell’imputato a comparire all’udienza di cui al comma 1 dell’articolo 420-ter viene dalla Consulta ravvisato, nel caso di specie, proprio nell’interpretazione dominante e più autorevole (ricordata sopra) della clausola di specialità, la quale conferisce all’imputato il diritto a non essere processato per fatti anteriori e diversi da quelli che hanno dato luogo all’estradizione.

Secondo la Consulta un primo ostacolo che impedisce la dichiarazione di ilegittimità costituzionale dell’articolo 420-quater consiste nell’impossibilità di estendere analogicamente le norme processuali che regolano il giudizio contumaciale, stante la natura eccezionale delle stesse, riconosciuta come tale dalla giurisprudenza di legittimità: deve pertanto ritenersi vietata qualsiasi estensione di tali disposizioni volta a regolare casi in cui la stessa ratio si accompagna tuttavia all’assenza di un’espressa regolamentazione normativa.

Per superare l’ostacolo e conseguire ugualmente lo scopo di superare la barriera della clausola di specialità – che, in alcuni casi, porta ad una sostanziale non processabilità dei presunti autori di reati anche gravi – il giudice a quo chiedeva alla Corte di rendere possibile, mediante una sentenza additiva, la celebrazione di un giudizio contumaciale di mero accertamento, al doppio fine di interrompere la prescrizione e di costituire un titolo valido per inoltrare allo Stato-rifugio richiesta di estradizione suppletiva.

La Corte Costituzionale ha però ritenuto che un proprio intervento volto a creare, accanto ai casi espressamente previsti dal legislatore, nuove condizioni per la legittima dichiarazione di contumacia dell’imputato, che aprisse le porte alla valida celebrazione di un processo nei confronti di questi, avrebbe comportato la creazione di un nuovo tipo di processo contumaciale (previsto e regolato solo in funzione della interruzione della prescrizione o della costituzione di un titolo valido per richiedere l’estradizione suppletiva), che avrebbe obbligato il giudice a dichiarare la contumacia al di là delle condizioni attualmente previste dalla legge.

Tale intervento creativo è stato ritenuto dalla Consulta esorbitante le prerogative concesse all’organo giurisdizionale.

La Corte Costituzionale, pertanto, ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 420-quater del codice di procedura penale sollevata dinnanzi ad essa.