Jean-Baptiste Poquelin "Molière" (1622-1673) IL MISANTROPO

ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Alceste, Filinte

ALCESTE:

Vi dico e vi ripeto, ho già bell’e deciso.

FILINTE:

Ma per quanto sia dura, bisogna che vi obblighi...?

ALCESTE:

No, avete un bel da fare, avete un bel parlare,

Nulla da quel che dico mi potrà mai stornare:

Troppa perversità regna nel nostro secolo

E desidero rompere ogni rapporto umano.

Come, vedi riuniti, contro il mio avversario,

Onore e probità, il pudore e le leggi,

Ovunque si decanta la mia giusta causa;

Io riposo tranquillo sopra il mio buon diritto:

E tuttavia mi vedo, alla fine, ingannato,

Ho per me la giustizia e perdo il processo!

L’imbroglione di cui si sa la vile storia,

Se n’è uscito trionfante di nera falsità,

Ed ogni buona fede cedette al tradimento!

Prendendomi alla gola sua è la ragione!

Quel suo brutto ceffo, splendido di menzogne,

Atterra il buon diritto e burla la giustizia!

Con l’arresto corona la sua mascalzonata!

E non contento ancora del torto che mi ha fatto;

Un libro abominevole ora sta circolando,

Del quale la lettura stessa è condannabile,

Un libro che si merita gli estremi rigori,

E il furbo va dicendo che ne sono l’autore.

Oltre a questo c’è Oronte, lo senti mormorare,

E tenta di appoggiare la maligna impostura!

Lui, che uomo onesto è ritenuto a Corte,

Col quale sono stato solo sincero e franco,

Che viene, mio malgrado, spinto da grande ardore,

Sui versi ch’egli ha fatto a chiedermi il parere,

E siccome io rispondo con grande onestà,

Non volendo tradire né lui né il vero,

Concorre ad accusarmi di colpe immaginarie!

Ed anzi mi diventa il più grande avversario!

Mai del suo cuore avrò il sincero perdono

Di non aver trovato il suo sonetto buono!

E gli uomini, perdio! son tutti di una sorta,

Ed è a tali azioni che la gloria li porta!

Ecco la buona fede, lo zelo, la virtù,

La giustizia e l’onore che essi hanno in loro!

Suvvia, troppo ho sofferto il dolore che foggiano:

Fuggiamone le selve e tutti i luoghi infidi.

E poiché voi, fra gli uomini, vivete come lupi,

Vili, non mi avrete, per la vita, con voi

FILINTE

Trovo precipitoso quanto voi progettate

E il male è grande quanto lo figurate:

Quel che la parte avversa osa a voi imputare

Non ebbe tanto credito da farvi arrestare;

La sua falsa denuncia si distrugge da sé,

È azione che potrebbe nuocere molto a lui.

ALCESTE

Lui? di simili tiri non teme mai lo scandalo,

Ha il permesso di essere un franco scellerato,

E ben lungi dal nuocere, a lui, quest’avventura

Lo spingerà domani in un posto migliore.

FILINTE

Ma infine, è sicuro, non si dà troppo credito

All’inganno che lui, con malizia, ha ordito:

Da questo lato ormai non dovete temere.

Quanto al processo, poi, se la lagnanza è giusta,

Non vi è molto difficile ritornare in giudizio

E contro la sentenza...

ALCESTE

No: voglio rispettarla.

Per grande che sia il torto che la sentenza arreca,

Sempre mi guarderò dal volerla cassare:

Troppo è il buon diritto in pieno maltrattato

E voglio che rimanga per la posterità

Come un’impronta insigne, famoso testimone,

Della viltà degli uomini di questa nostra età.

Son ventimila franchi che mi potrà costare;

Per ventimila franchi potrò quindi imprecare

Contro l’iniquità della natura umana,

E nutrire per lei un immortale odio.

[Molière, Tutto il teatro, Fratelli Melita Editori; 1982, p.131-132] ATTO QUINTO

SCENA PRIMA

Alceste, Filinte

ALCESTE:

Vi dico e vi ripeto, ho già bell’e deciso.

FILINTE:

Ma per quanto sia dura, bisogna che vi obblighi...?

ALCESTE:

No, avete un bel da fare, avete un bel parlare,

Nulla da quel che dico mi potrà mai stornare:

Troppa perversità regna nel nostro secolo

E desidero rompere ogni rapporto umano.

Come, vedi riuniti, contro il mio avversario,

Onore e probità, il pudore e le leggi,

Ovunque si decanta la mia giusta causa;

Io riposo tranquillo sopra il mio buon diritto:

E tuttavia mi vedo, alla fine, ingannato,

Ho per me la giustizia e perdo il processo!

L’imbroglione di cui si sa la vile storia,

Se n’è uscito trionfante di nera falsità,

Ed ogni buona fede cedette al tradimento!

Prendendomi alla gola sua è la ragione!

Quel suo brutto ceffo, splendido di menzogne,

Atterra il buon diritto e burla la giustizia!

Con l’arresto corona la sua mascalzonata!

E non contento ancora del torto che mi ha fatto;

Un libro abominevole ora sta circolando,

Del quale la lettura stessa è condannabile,

Un libro che si merita gli estremi rigori,

E il furbo va dicendo che ne sono l’autore.

Oltre a questo c’è Oronte, lo senti mormorare,

E tenta di appoggiare la maligna impostura!

Lui, che uomo onesto è ritenuto a Corte,

Col quale sono stato solo sincero e franco,

Che viene, mio malgrado, spinto da grande ardore,

Sui versi ch’egli ha fatto a chiedermi il parere,

E siccome io rispondo con grande onestà,

Non volendo tradire né lui né il vero,

Concorre ad accusarmi di colpe immaginarie!

Ed anzi mi diventa il più grande avversario!

Mai del suo cuore avrò il sincero perdono

Di non aver trovato il suo sonetto buono!

E gli uomini, perdio! son tutti di una sorta,

Ed è a tali azioni che la gloria li porta!

Ecco la buona fede, lo zelo, la virtù,

La giustizia e l’onore che essi hanno in loro!

Suvvia, troppo ho sofferto il dolore che foggiano:

Fuggiamone le selve e tutti i luoghi infidi.

E poiché voi, fra gli uomini, vivete come lupi,

Vili, non mi avrete, per la vita, con voi

FILINTE

Trovo precipitoso quanto voi progettate

E il male è grande quanto lo figurate:

Quel che la parte avversa osa a voi imputare

Non ebbe tanto credito da farvi arrestare;

La sua falsa denuncia si distrugge da sé,

È azione che potrebbe nuocere molto a lui.

ALCESTE

Lui? di simili tiri non teme mai lo scandalo,

Ha il permesso di essere un franco scellerato,

E ben lungi dal nuocere, a lui, quest’avventura

Lo spingerà domani in un posto migliore.

FILINTE

Ma infine, è sicuro, non si dà troppo credito

All’inganno che lui, con malizia, ha ordito:

Da questo lato ormai non dovete temere.

Quanto al processo, poi, se la lagnanza è giusta,

Non vi è molto difficile ritornare in giudizio

E contro la sentenza...

ALCESTE

No: voglio rispettarla.

Per grande che sia il torto che la sentenza arreca,

Sempre mi guarderò dal volerla cassare:

Troppo è il buon diritto in pieno maltrattato

E voglio che rimanga per la posterità

Come un’impronta insigne, famoso testimone,

Della viltà degli uomini di questa nostra età.

Son ventimila franchi che mi potrà costare;

Per ventimila franchi potrò quindi imprecare

Contro l’iniquità della natura umana,

E nutrire per lei un immortale odio.

[Molière, Tutto il teatro, Fratelli Melita Editori; 1982, p.131-132]