Jean-Baptiste Poquelin "Molière" (1622-1673) L’AVARO

(Atto V, Scena I)

(Arpagone, un Commissario e il suo scrivano)

Il Commissario: Lasci fare a me: conosco il mio mestiere, per fortuna. Non è il primo giorno che m’occupo di scoprire furti: vorrei avere tante migliaia di lire quanta gente ho mandato sulla forca.

Arpagone: Tutta la magistratura ha interesse ad occuparsi di quest’affare: se non mi fanno ritrovare i miei denari chiederò giustizia contro la giustizia.

Il Commissario: Bisogna fare le indagini del caso. Dice che in questa cassetta c’erano ...

Arpagone: Diecimila scudi precisi.

Il Commissario: Diecimila scudi?

Arpagone (piangendo): Diecimila scudi.

Il Commissario: Il furto è considerevole.

Arpagone: Non ci sono supplizi abbastanza grandi per l’enormità di questo delitto. Se rimane impunito, le cose più sacre non potranno dirsi sicure.

Il Commissario: In che monete era la somma?

Arpagone: Dei bei luigi d’oro e delle doppie di peso perfetto.

Il Commissario: Chi sospetta lei del furto?

Arpagone: Tutti. Voglio che portiate in prigione la città e i sobborghi.

Il Commissario: Invece, dia retta a me; non bisogna dar l’allarme a nessuno e tentare sotto sotto di afferrare qualche indizio, per provvedere poi, con rigore, al recupero della somma che le è stata rubata.

[Molière, Tutto il teatro, Fratelli Melita Editori; 1982, p.161]