“L’avvocato”. Rapporti coi giudici: sospetti reciproci

“L’avvocato”. Rapporti coi giudici: sospetti reciproci
“L’avvocato”. Rapporti coi giudici: sospetti reciproci

Sui rapporti in udienza tra giudici e avvocati, ecco quanto scritto da Guido Raffaelli, già primo Presidente della Corte d’Appello di Venezia, nel suo libro Il sacerdote di Temi: “Il massimo tatto – scrive il Raffaelli – deve aversi con gli avvocati. Deve evitarsi ad esempio di manifestare in udienza disappunto e rimostranze verso quegli avvocati che deviano nella discussione, o dicono cose infondate, o discutono tesi ormai sorpassate, o menano, come suol dirsi, il can per l’aia. Con ciò non si vuole affermare che il giudice non possa, perché anzi deve, intervenire in tali circostanze, ma anche qui è questione di garbo; certo non lo si deve fare con gesti accompagnati da sommessi commenti con il collega a latere, con un sorriso a fior di labbra e una scrollatina di spalle, il tutto cosparso, talora palesemente, di salace ironia e di aperto dissenso… Ci vuole, invero, tra magistrati che ascoltano e difensori che parlano, una reciproca comprensione; non si possono dimenticare né la difficoltà di esporre ordinatamente, né la preoccupazione di trascurare alcun elemento utile, né alcuni riguardi che l’avvocato deve pure al cliente…”.

[Egisto Corradi: L’avvocato, Vallecchi Editore, 1966, pp.260]

 

Cortese segnalazione dell’Avv. Barbara Urbini