“L’avvocato”. Rapporti coi giudici: sospetti reciproci

L’avvocato Giuseppe Pezzotta difendeva qualche tempo fa alla Corte d’Assise di Bergamo. Siccome c’erano molti testimoni a carico e a discarico, Pezzotta fece istanza alla Corte affinché i testimoni fossero sentiti separatamente in un primo tempo e poi tutti insieme in un secondo tempo. La Corte accettò l’istanza. Fu chiamato il primo teste, poi un secondo, poi un terzo. Alla fine della terza deposizione, il giudice a latere chiese un confronto. Pezzotta ribattè: “Solo la Corte può chiedere un confronto. Lei non è la Corte. Lei è un elemento della Corte”. Il giudice a latere tacque, meditò per qualche secondo; poi, forse ritenendo offensiva la frase di Pezzotta, disse: “Io sarò forse un elemento della Corte; ma non sono un individuo della difesa”. Allora Pezzotta proruppe: “Lei è invece per certo un individuo della Corte”. A questo punto il giudice a latere chiese l’immediato arresto in aula, per oltraggio, dell’avvocato Giuseppe Pezzotta.
“Mi alzai – racconta adesso Giuseppe Pezzotta – e lentamente dissi al giudice a latere che, a mio parere, egli aveva commesso tre errori”. “Primo – obiettai – lei ha chiesto il mio arresto e quindi, ora, non può più pronunciarsi sul mio arresto nell’ambito della Corte. La richiesta d’arresto doveva essere fatta dal pubblico ministero, non da lei. Secondo, lei ha chiesto un immediato processo, senza tenere conto dell’articolo 96. In casi come questi il processo deve avvenire davanti a un’autorità designata dalla Cassazione. Terzo, non si tratta di oltraggio, avendo lei offeso per primo. Offendendo, lei si è svestito della toga ed è diventato un privato cittadino”. La diatriba, come avviene abbastanza spesso, fu composta per fortuna senza conseguenze nell’aula stessa.
[Egisto Corradi: L’avvocato, Vallecchi Editore, 1966, pp.256-257]
Cortese segnalazione dell’Avv. Barbara Urbini