Luigi Cibrario (1802 - 1870) LA MORTE DEL CONTE CARMAGNOLA

Processo e sentenza del Carmagnola, capitano di ventura (1382? - 1432), accusato di tradimento, ad opera del Consiglio dei X della Serenissima.

Addì undici d’aprile si vinse il partito di fare, come si chiamava, un collegio d’esamina affine d’istrurre, come si direbbe con vocabolo legale, la causa del Conte. I giudici a ciò deputati furono Luca Mocenigo, consigliere, Antonio Barbarigo, Bartolomeo Mauroceno, Marino Landi, capi de’ X; Marco Barbadico, Ludovico Venco, inquisitori; Francesco Viaro e Francesco Loredano, avvogadori del comune. Furono poi deputati per supplire il Barbarigo ed il Loredano, Daniele Vettori e Paolo Correr.

Ebbero questi giudici amplissima facoltà d’esaminare anche co’ tormenti il Conte, e Giovanni de Moris suo cancelliere; come pure di carcerare, esaminare e tormentare qualunque altro, che paresse colpevole d’aver fatto pratiche e trattati contrari all’onore, alla fama ed allo stato della repubblica veneta. Condotta la causa a maturità doveano riferirne al consiglio per la provvisione definitiva.

Durarono assai tempo questi esami; facendo, secondo il solito, i capi de’ X l’ufficio d’interrogatori, e scrivendosi dal cancelliere le risposte de’ rei. Sopravvenuta la settimana santa furono interrotti; ripresi poi con nuovo vigore e continuati dì e notte in seguito a nuova parte del consiglio del 23 d’aprile.

Infine la mattina del 5 di maggio parve la causa matura, e uditane la relazione si passò senz’ altro alla sentenza; imperciocchè ne’giudicii di stato e in tutti quelli che si definivano da quel tremendo collegio, nè s’ammetteano avvocati a difendere il reo, nè si lasciava al reo la cura di difender se stesso; poichè senza di lui si riferiva la causa, e si rendea la sentenza.

Ventisei voti bianchi con tra un verde, e nove rossi dichiararono il Carmagnola colpevole di tradimento; messo si poi, secondo l’uso, di nuo- vo il partito rispetto alla qualità della pena, fu data con soli 19 voti contra 17 la seguente sentenza.

Il cinque di maggio.

"(Va parte) Che codesto conte Francesco Carmignola, pubblico traditore del nostro dominio, foggi, dopo nona all’ora consueta, sia condotto con una spranga in bocca e colle mani legate dopo il tergo, secondo il solito, in mezzo delle due colonne sulla piazza di S. Marco al luogo della giustizia, e colà gli sia mozzato il capo dalle spalle, sicchè muoja. E presa la presente parte tosto tre del collegio, vale a dire un capo, un inquisitore ed un avvogador del comune, vadano a notificare allo stesso Conte ciò che si sarà deliberato.

La moglie poi di cotesto Conte abbia vita natura! durante il frutto di ducati dieci mila alla camera degli imprestiti, col patto che abiti nella nostra città di Trevigi, e partendone perda quell’utile.

Le due figlie del Conte, che non son maritate, abbiano de’ beni paterni pel loro maritaggio cinque mila ducati di buoni danari ciascuna, i quali si porranno fin d’ora alla camera nostra de’ prestiti, ed il frutto di essi loro si dia a tempo a tempo per vivere finché trovin marito, e purchè vivano nel nostro dominio. Morendo senza marito potranno testare fino a mille ducati. Se saranno maritate potranno disporre dell’intera somma. Nè potran maritarsi senza la licenza della maggior parte del Consiglio de’ X. Tutto il rimanente poi delle sostanze del Conte s’intenda confiscato al nostro comune.

L’altra figliuola del Conte fidanzata ai Malatesta, se il matrimonio non avesse luogo, sia in pari condizione delle sorelle."

Questa sentenza fu data, giova ripeterlo, con 19 voti contro 17. Di questi 17, nove furono non sinceri, cioè di quelli che non giudicavano abbastanza chiara la cosa; otto e fra questi era il doge Francesco Foscari con tre consiglieri, giudicavano che fosse sufficiente pena agli errori del conte il carcere perpetuo.

La crudel sentenza ebbe sollecita esecuzione. Processo e sentenza del Carmagnola, capitano di ventura (1382? - 1432), accusato di tradimento, ad opera del Consiglio dei X della Serenissima.

Addì undici d’aprile si vinse il partito di fare, come si chiamava, un collegio d’esamina affine d’istrurre, come si direbbe con vocabolo legale, la causa del Conte. I giudici a ciò deputati furono Luca Mocenigo, consigliere, Antonio Barbarigo, Bartolomeo Mauroceno, Marino Landi, capi de’ X; Marco Barbadico, Ludovico Venco, inquisitori; Francesco Viaro e Francesco Loredano, avvogadori del comune. Furono poi deputati per supplire il Barbarigo ed il Loredano, Daniele Vettori e Paolo Correr.

Ebbero questi giudici amplissima facoltà d’esaminare anche co’ tormenti il Conte, e Giovanni de Moris suo cancelliere; come pure di carcerare, esaminare e tormentare qualunque altro, che paresse colpevole d’aver fatto pratiche e trattati contrari all’onore, alla fama ed allo stato della repubblica veneta. Condotta la causa a maturità doveano riferirne al consiglio per la provvisione definitiva.

Durarono assai tempo questi esami; facendo, secondo il solito, i capi de’ X l’ufficio d’interrogatori, e scrivendosi dal cancelliere le risposte de’ rei. Sopravvenuta la settimana santa furono interrotti; ripresi poi con nuovo vigore e continuati dì e notte in seguito a nuova parte del consiglio del 23 d’aprile.

Infine la mattina del 5 di maggio parve la causa matura, e uditane la relazione si passò senz’ altro alla sentenza; imperciocchè ne’giudicii di stato e in tutti quelli che si definivano da quel tremendo collegio, nè s’ammetteano avvocati a difendere il reo, nè si lasciava al reo la cura di difender se stesso; poichè senza di lui si riferiva la causa, e si rendea la sentenza.

Ventisei voti bianchi con tra un verde, e nove rossi dichiararono il Carmagnola colpevole di tradimento; messo si poi, secondo l’uso, di nuo- vo il partito rispetto alla qualità della pena, fu data con soli 19 voti contra 17 la seguente sentenza.

Il cinque di maggio.

"(Va parte) Che codesto conte Francesco Carmignola, pubblico traditore del nostro dominio, foggi, dopo nona all’ora consueta, sia condotto con una spranga in bocca e colle mani legate dopo il tergo, secondo il solito, in mezzo delle due colonne sulla piazza di S. Marco al luogo della giustizia, e colà gli sia mozzato il capo dalle spalle, sicchè muoja. E presa la presente parte tosto tre del collegio, vale a dire un capo, un inquisitore ed un avvogador del comune, vadano a notificare allo stesso Conte ciò che si sarà deliberato.

La moglie poi di cotesto Conte abbia vita natura! durante il frutto di ducati dieci mila alla camera degli imprestiti, col patto che abiti nella nostra città di Trevigi, e partendone perda quell’utile.

Le due figlie del Conte, che non son maritate, abbiano de’ beni paterni pel loro maritaggio cinque mila ducati di buoni danari ciascuna, i quali si porranno fin d’ora alla camera nostra de’ prestiti, ed il frutto di essi loro si dia a tempo a tempo per vivere finché trovin marito, e purchè vivano nel nostro dominio. Morendo senza marito potranno testare fino a mille ducati. Se saranno maritate potranno disporre dell’intera somma. Nè potran maritarsi senza la licenza della maggior parte del Consiglio de’ X. Tutto il rimanente poi delle sostanze del Conte s’intenda confiscato al nostro comune.

L’altra figliuola del Conte fidanzata ai Malatesta, se il matrimonio non avesse luogo, sia in pari condizione delle sorelle."

Questa sentenza fu data, giova ripeterlo, con 19 voti contro 17. Di questi 17, nove furono non sinceri, cioè di quelli che non giudicavano abbastanza chiara la cosa; otto e fra questi era il doge Francesco Foscari con tre consiglieri, giudicavano che fosse sufficiente pena agli errori del conte il carcere perpetuo.

La crudel sentenza ebbe sollecita esecuzione.