Marco Cavina IL SANGUE DELL'ONORE

Negli anni della ribellione nobiliare - la Fronda - i duelli divennero una specie di emblema della dura resistenza opposta dalla nobiltà francese alla monarchia. La loro moltiplicazione provocò ovviamente anche reazioni: a metà ’600 la confraternita della Passione radunò gentiluomini attivamente antiduellisti. Per una deliberazione del parlamento di Parigi - 26 giugno 1599 -, confermata dagli editti del 1602 e del 1609, il duello era punito con la morte ed altre pene patrimoniali. Gli editti del 1643 e del 1651 prevedevano che, se fossero morti entrambi i duellanti, i loro cadaveri avrebbero dovuto esser condannati e restare insepolti, sanguigna preda di cani ed uccelli. La stessa pena era erogata per i secondi e per tutti quanti avessero in qualche misura collaborato. Con l’editto del 1679 il duello diventava crimine imprescrittibile, un reato anzitutto lesivo delle prerogative regie. Ed ancora in pieno ’700 ]oseph Pothier, nel suo trattato di procedura criminale, teorizzò compiutamente il duello come crimine di lesa maestà, manifesta usurpazione dei poteri del sovrano, a cui apparteneva il diritto di far la guerra e render ragione.

Luigi XIII, Luigi XIV, Luigi XV giurarono solennemente - chi sul Dio vivente, chi sui Vangeli - di non concedere mai una grazia per un duello: promesse da marinaio. L’editto del 1611 considerava duello qualsiasi scontro d’armi - con armi eguali e fra due o più uomini, purché in pari numero -, principio ribadito dagli editti del 1626 e del 1643. E pure, nonostante le reiterate e pompose dichiarazioni di principio, il duello restava un crimine ampiamente tollerato. Lo stesso Luigi XIV - considerato a torto o a ragione il grande e vittorioso nemico del furore francese per i duelli - nella prima fase del suo regno non si era diversificato molto dai suoi predecessori, graziando mediamente un duellante al giorno. Ma il suo editto del 1679 fu salutato come il più splendido e perentorio manifesto normativo contro gli scontri d’onore, e in Italia Giuseppe Maria Grimaldi, nel 1693, gli dedicava la sua Nuova asta d’Achille a soppressione del duello e della vendetta, per ad ridurre a pace, ed aggiustamento ogni querela, in via cavalleresca.

L’immagine oleografica di un Luigi XIV quale glorioso estirpatore della piaga dei duelli fu forse un prodotto della sua accorta propaganda politica più che una realtà effettiva, ed è stata ridimensionata dalla recente storiografia francese. Indubbiamente sotto il Re Sole i duellanti dovettero essere più accorti che mai, ma sotto la cenere dell’ipocrisia e della dissimulazione cortigiane il duello continuò ad ardere.

V’era pure una dimensione prosasticamente inquietante e ambigua. Ottenere la grazia era dispendioso per i nobili e redditizio per i sovrani. L’anonimo autore de Le remede des duels au roy, al pubblicato nel 1624, espresse un accorato appello per una più rigorosa repressione, allegando anche la considerazione che, se i duelli fossero stati estirpati, la nobiltà non sarebbe più stata costretta a dilapidare i suoi patrimoni per pagarsi le grazie -«ainsi votre noblesse ne sera plus destruite, car la despense excessive qui se fait pour l’enterinement des graces ne se fera plus, qu’est l’une ci des principales ruines de ce corps là».

[Editori Laterza, Bari, 2005, pp. 185-186]