Marie-Henry Beyle (Stendhal) (1783-1842) IL ROSSO E IL NERO

- Signori giurati.

L’orrore del disprezzo che, al momento di morire, credevo di poter sfidare, mi fa prendere la parola. Signori, non ho l’onore di appartenere alla vostra classe: voi vedete in me un contadino che si è ribellato contro la bassezza della propria fortuna.

Non vi chiedo nessuna grazia - continuò Giuliano con voce più ferma. - Non mi faccio alcuna illusione: la morte mi attende; essa sarà giusta. Ho potuto attentare ai giorni della donna più degna di ogni rispetto, di ogni omaggio. La signora era stata per me come una madre. Il mio delitto è atroce; esso è premeditato. Ho perciò meritato la morte, signori giurati. Ma quand’anche fossi meno colpevole, vedrei degli uomini che, senza essere trattenuti da quel che la mia giovinezza può meritare di pietà, vorranno punire in me e scoraggiare quella classe di giovani che, nati in una condizione inferiore e oppressi in qualche modo dalla povertà, hanno avuto la fortuna di procurarsi una buona educazione e l’audacia di mescolarsi a quella che l’orgoglio dei ricchi chiama società.

Ecco il mio delitto, signori; ed esso sarà punito con tanta più severità, in quanto io non sono affatto giudicato dai miei pari. Non scorgo tra i banchi dei giurati qualche contadino arricchito, ma soltanto borghesi indignati ...

Per venti minuti Giuliano parlò su questo tono; disse tutto ciò che si sentiva d’avere nel cuore. Il Pubblico Ministero, che aspirava ai favori dell’aristocrazia, si agitava sulla sua poltrona; ma nonostante il tenore un poco astratto che Giuliano aveva dato al suo discorso, tutte le donne piangevano.

[Traduzione di Alfredo Fabietti, Istituto Geografico de Agostini, Novara, 1982, pp. 384-385]

- Signori giurati.

L’orrore del disprezzo che, al momento di morire, credevo di poter sfidare, mi fa prendere la parola. Signori, non ho l’onore di appartenere alla vostra classe: voi vedete in me un contadino che si è ribellato contro la bassezza della propria fortuna.

Non vi chiedo nessuna grazia - continuò Giuliano con voce più ferma. - Non mi faccio alcuna illusione: la morte mi attende; essa sarà giusta. Ho potuto attentare ai giorni della donna più degna di ogni rispetto, di ogni omaggio. La signora era stata per me come una madre. Il mio delitto è atroce; esso è premeditato. Ho perciò meritato la morte, signori giurati. Ma quand’anche fossi meno colpevole, vedrei degli uomini che, senza essere trattenuti da quel che la mia giovinezza può meritare di pietà, vorranno punire in me e scoraggiare quella classe di giovani che, nati in una condizione inferiore e oppressi in qualche modo dalla povertà, hanno avuto la fortuna di procurarsi una buona educazione e l’audacia di mescolarsi a quella che l’orgoglio dei ricchi chiama società.

Ecco il mio delitto, signori; ed esso sarà punito con tanta più severità, in quanto io non sono affatto giudicato dai miei pari. Non scorgo tra i banchi dei giurati qualche contadino arricchito, ma soltanto borghesi indignati ...

Per venti minuti Giuliano parlò su questo tono; disse tutto ciò che si sentiva d’avere nel cuore. Il Pubblico Ministero, che aspirava ai favori dell’aristocrazia, si agitava sulla sua poltrona; ma nonostante il tenore un poco astratto che Giuliano aveva dato al suo discorso, tutte le donne piangevano.

[Traduzione di Alfredo Fabietti, Istituto Geografico de Agostini, Novara, 1982, pp. 384-385]