Mario Vargas Llosa (1936) LA ZIA JULIA E LO SCRIBACCHINO
Un limpido mattino d’estate, attillato e puntuale com’era sua abitudine, entrò il dottor don Pedro Barreda y Zaldivar nel suo ufficio di giudice istruttore della Corte d’Appello (sezione Penale) del Tribunale Superiore di Lima. Era un uomo giunto nel fiore dell’età, la cinquantina, e nella sua persona - fronte spaziosa, naso aquilino, sguardo penetrante, rettitudine e bontà nello spirito - la correttezza etica traspariva da una gagliardia che gli valeva sin dal primo momento il rispetto della gente. Vestiva con la modestia che si confà a un magistrato dal magro stipendio, costituzionalmente impermeabile alla corruzione, ma con una correttezza tale che produceva un’impressione di eleganza. Il Palazzo di Giustizia cominciava a sgranchirsi dal suo riposo lucifugo e la sua mole andava inondandosi di un’affannosa ressa di avvocati, legutei, portieri, querelanti, notai, esecutori testamentari, baccellieri e curiosi. Nel cuore di quest’alveare, il dottor don Barreda y Zaldivar aprì la sua valigetta, ne estrasse alcuni incartamenti, si sedette alla scrivania e si accinse a iniziare la giornata. Qualche secondo dopo si materializzò nel suo ufficio, rapido e silenzioso come un meteorite nello spazio, il segretario, il dottor Zelaya, ometto occhialuto, con baffetti a spazzolino che mentre parlava si muovevano ritmicamente.- Buongiorno, caro dottore, - salutò il magistrato, facendogli una riverenza a cerniera.
- Anche a lei, Zelaya, - gli sorrise affabilmente il dottor don Barreda y Zaldivar. - Cosa ci appresta la mattinata?
- Stupro di minorenne con l’aggravante di violenza men tale, - posò sulla scrivania un pingue incartamento il segretario. - Il responsabile, un abitante della Victoria di aspetto lombrosiano, nega i fatti. I principali testimoni sono in corridoio.
- Prima di ascoltarli, devo rileggere il rapporto della polizia e la denuncia della parte civile, - gli ricordò il magistrato.
- Aspetteranno tutto il tempo che ci vorrà, - rispose il segretario. E uscì dall’ufficio.
Il dottor don Barreda y Zaldivar aveva, sotto la sua solida corazza giuridica, un animo da poeta. Una lettura dei gelidi documenti giudiziari gli bastava per, scostando la crosta retorica di clausole e latinate, giungere con l’immaginazione ai fatti. Così, leggendo il rapporto redatto alla Victoria, ricostruì con vivezza di dettagli la denuncia. Vide entrare il lunedì precedente, nel commissariato del composito e variopinto distretto, la bimba di tredici anni, alunna della scuola Mercedes Cabello de Carbonera, chiamata Sarita Huanca Salaverria. Veniva piangente e con lividi sul viso, sulle braccia e sulle gambe, fra i suoi genitori don Casimiro Huanca Padron e donna Catilina Salavercia Melgar. La minorenne era stata oltraggiata il giorno prima, nella casa popolare di avenida Luna Pizarro n. 12, camera H, dal soggetto Gumercindo Tello, inquilino della stessa casa popolare (camera J). Sarita, dominando la sua confusione e il suo strazio, aveva rivelato ai custodi dell’ordine che lo stupro non era altro che la tragica conclusione di un lungo e segreto assedio cui si era vista sottomessa dal violentatore. Questi, infatti, già da otto mesi - ossia dal giorno in cui era venuto a installarsi, qual stravagante uccello di malaugurio, nella casa popolare n. 12 - molestava Sarita Huanca, senza che i genitori di costei o gli altri inquilini avessero potuto notarlo, con complimenti di cattivo gusto e insinuazioni audaci (sul genere di: "Mi piacerebbe spremere i limoni del tuo giardino" o "Un giorno di questi ti mungerò"). Dalle profezie, Gumercindo Tello era passato agli atti, concretizzando diversi tentativi di palpamenti e baci del- la pubere, nel cortile della casa popolare n. 12 o in vie adiacenti, quando la giovane tornava dalla scuola o quando usciva a far commissioni. Per naturale pudore, la vittima non aveva informato i genitori dell’assedio.
La sera della domenica, dieci minuti dopo che i suoi genitori erano usciti diretti al cinema Metropolitan, Sarita Huanca, che stava facendo i compiti, udì alcuni colpetti all’uscio. Andò ad aprire e si trovò davanti Gumercindo Tello. - Desidera? - gli domandò cortesemente. Lo stupratore, simulando l’aria più innocente del mondo, addusse il pretesto che il suo fornello era rimasto senza combustibile: ormai era tardi per andare a comprarlo e veniva a farsi prestare un po’ di cherosene per prepararsi la cena (prometteva di restituirlo l’indomani) Generosa e ingenua, la piccola Huanca Salaverria fece entrare l’individuo e gli indicò la latta del cherosene che si trovava fra il fornello e il secchio che fungeva da gabinetto.
[Einaudi Editore S.p.a., Torino, 1994, p.88 (capitolo VI)]