Nadia Fubini: Di vita si muore

Atto terzo: Otello, l’amore, l’odioLa scena del tribunale

Non si deve dimenticare che nel recente passato di questo teatro ci sono i drammi che nelle Inns of Court scrivono e mettono in scena i giovani studiosi di quelle università. Spesso le loro tragedie e interludi sono finzioni di processi, processi celebrati per divertimento, per scherzo, in cui i futuri avvocati del regno, oltre ad esercitarsi nella loro pratica, danno consigli alla Regina sulle questioni politiche dell’attualità. Così come in un processo si esibiscono i precedenti legali, essi usano personaggi storici o inventati, ed esaltano dell’agone drammatico l’aspetto intellettuale, di disputa teorica, di esercizio nell’arte della retorica, di pratica sublime delle distinzioni sottili, sofistiche, che impegnano la mente nei grandi temi del potere. E soprattutto dovrebbero istruire l’intelletto a riconoscere le virtù e i vizi, a tale scopo esaltando le prime e fuggendo i secondi.

La virtù fondamentale delle loro tragedie politiche è la vis polemica con cui affrontano i problemi di Stato, stando bene attenti però a non mettere in scena fatti e persone in cui siano coinvolti i rappresentanti dello Stato e della politica. Troppo pericoloso sarebbe, e gli university wits, come venivano chiamati all’epoca, non hanno intenzione di "giocarsi" la testa. Anzi, poiché credono al teatro, al suo speciale potere di illusione e persuasione, fanno di necessità virtù, e si esercitano nell’ arte indiretta di una rappresentazione allegorica, che richiede grandissimo tatto. L’allusione è l’arma che prediligono, fa loro da scudo, li mette alla necessaria distanza protettiva dalla censura. Al tempo stesso per figure, per rimandi, richiamano alla mente personaggi e situazioni quel tanto che basta perché scatti il rapporto di intesa col pubblico - del resto bene informato - per cui si esibiscono. Sono evidentemente bravi, se è vero che Elisabetta non punì mai nessun attore né drammaturgo delle Inns of Court.

Al di là però dei temi scelti e di una certa rigidità formale in questi testi non di grande merito, una concezione del teatro si trasforma e, pur nell’ossequio alla forma antica, si rinnova. Tra le molte tradizioni teatrali che nella sua libertà geniale Shakespeare amalgama, c’è un’eco anche di questa, nel suo teatro, e non a caso l’aula del tribunale è uno spazio che i suoi personaggi frequentano, al modo serio di Porzia nel Mercante di Venezia, o nel modo grottesco di Lear.

O qui nell’Otello, dove il vocabolario giuridico della causa, del movente riaffiora, insieme soprattutto a una diversa immaginazione della colpa, che allontanandosi dal termine greco hamartia - che in inglese si traduce confault oppure confall, e immagina l’errore come un passo falso - acquisisce il termine guilt, dove la colpa tra- sporta direttamente al crimine, in norreno skuld, in tedesco Schuld. In questa seconda trama di riferimenti verbali emergono parole come offence, crime: termini, appunto, che evocano un lessico giuridico e trasformano la scena teatrale in un’ aula di tribunale.

[Da Di vita si muore, Nadia Fusini, Mondadori, 2010, pp.250-251]

Atto terzo: Otello, l’amore, l’odioLa scena del tribunale

Non si deve dimenticare che nel recente passato di questo teatro ci sono i drammi che nelle Inns of Court scrivono e mettono in scena i giovani studiosi di quelle università. Spesso le loro tragedie e interludi sono finzioni di processi, processi celebrati per divertimento, per scherzo, in cui i futuri avvocati del regno, oltre ad esercitarsi nella loro pratica, danno consigli alla Regina sulle questioni politiche dell’attualità. Così come in un processo si esibiscono i precedenti legali, essi usano personaggi storici o inventati, ed esaltano dell’agone drammatico l’aspetto intellettuale, di disputa teorica, di esercizio nell’arte della retorica, di pratica sublime delle distinzioni sottili, sofistiche, che impegnano la mente nei grandi temi del potere. E soprattutto dovrebbero istruire l’intelletto a riconoscere le virtù e i vizi, a tale scopo esaltando le prime e fuggendo i secondi.

La virtù fondamentale delle loro tragedie politiche è la vis polemica con cui affrontano i problemi di Stato, stando bene attenti però a non mettere in scena fatti e persone in cui siano coinvolti i rappresentanti dello Stato e della politica. Troppo pericoloso sarebbe, e gli university wits, come venivano chiamati all’epoca, non hanno intenzione di "giocarsi" la testa. Anzi, poiché credono al teatro, al suo speciale potere di illusione e persuasione, fanno di necessità virtù, e si esercitano nell’ arte indiretta di una rappresentazione allegorica, che richiede grandissimo tatto. L’allusione è l’arma che prediligono, fa loro da scudo, li mette alla necessaria distanza protettiva dalla censura. Al tempo stesso per figure, per rimandi, richiamano alla mente personaggi e situazioni quel tanto che basta perché scatti il rapporto di intesa col pubblico - del resto bene informato - per cui si esibiscono. Sono evidentemente bravi, se è vero che Elisabetta non punì mai nessun attore né drammaturgo delle Inns of Court.

Al di là però dei temi scelti e di una certa rigidità formale in questi testi non di grande merito, una concezione del teatro si trasforma e, pur nell’ossequio alla forma antica, si rinnova. Tra le molte tradizioni teatrali che nella sua libertà geniale Shakespeare amalgama, c’è un’eco anche di questa, nel suo teatro, e non a caso l’aula del tribunale è uno spazio che i suoi personaggi frequentano, al modo serio di Porzia nel Mercante di Venezia, o nel modo grottesco di Lear.

O qui nell’Otello, dove il vocabolario giuridico della causa, del movente riaffiora, insieme soprattutto a una diversa immaginazione della colpa, che allontanandosi dal termine greco hamartia - che in inglese si traduce confault oppure confall, e immagina l’errore come un passo falso - acquisisce il termine guilt, dove la colpa tra- sporta direttamente al crimine, in norreno skuld, in tedesco Schuld. In questa seconda trama di riferimenti verbali emergono parole come offence, crime: termini, appunto, che evocano un lessico giuridico e trasformano la scena teatrale in un’ aula di tribunale.

[Da Di vita si muore, Nadia Fusini, Mondadori, 2010, pp.250-251]