Novello Papafava PROPRIETARI DI SÈ E DELLA NATURA

Quando il governo possiede qualcosa o conduce un’attività produttiva, si dice che questa è "posseduta pubblicamente". Quando delle risorse naturali vengono vendute o assegnate all’impresa privata, ci viene detto che il demanio pubblico è stato ceduto ai "ristretti interessi privati". Quello che se ne deduce è che quando il governo possiede una risorsa, "noi", tutti membri della cosa pubblica, possediamo una uguale quota di tale proprietà. Ma questo è solo un mito. Proprietà pubblica significa semplicemente che è la classe politica a possedere il bene. L’aspetto rilevante della proprietà, infatti, non è la sua forma legale, bensì il reale potere di decidere su di essa. Sono gli ufficiali governativi coloro che dirigono l’uso della risorsa pubblica e che quindi la possiedono.

Ogni cittadino che dubitasse di questo può provare a recintare la sua quota di un parco nazionale per un uso personale o, ancora più significativamente, può provare a venderla a terzi e argomentare poi le sue ragioni in tribunale. Chi è soggetto a un governo non può contrattarne un’uscita "vendendo le proprie azioni", come può fare quando è socio di un’azienda. Come anche Floyd Harper ha succintamente affermato, «il corollario del diritto di proprietà è il diritto di non essere proprietari, se non posso vendere una cosa è evidente che non la possiedo veramente». La realtà è che, qualunque sia la forma di governo, i governanti sono i veri decisori ultimi sulla proprietà pubblica. Il "pubblico" non ne possiede alcuna parte. Lo Stato concede ai cittadini solo permessi a utilizzare i beni pubblici, permessi che può definire e revocare come e quando vuole.

Tuttavia, in una democrazia, o nel lungo periodo sotto ogni forma di governo, i governanti sono solo transitori. Da qui il fatto che nessun uomo politico si considera più che un proprietario temporaneo. Come risultato, mentre un proprietario privato, sicuro della sua proprietà nel tempo, al fine di mantenerne alto il valore capitale pianifica l’uso della risorsa per un lungo periodo, l’uomo politico o l’impiegato statale tende a "spremerla" (politicamente parlando) il più velocemente possibile durante il periodo della sua carica, poiché non ha la sicurezza della proprietà. In breve, gli ufficiali governativi possiedono solamente l’uso delle risorse, ma non il loro valore capitale che rimane non posseduto da nessuno. E quando solo l’uso immediato può essere posseduto, ma non la risorsa in sé, non è più vantaggioso conservarla, ma, al contrario, è vantaggioso utilizzarla il prima possibile.

È curioso il fatto, osserva Rothbard, che quasi tutti gli scrittori ripetono meccanicamente la nozione secondo cui i proprietari privati, possedendo delle preferenze di tempo, devono avere una "visione di breve periodo", mentre solo la classe politica può assumere una "visione di lungo periodo" e allo care la proprietà in modo da promuovere il "benessere generale". La verità è esattamente l’opposto. L’individuo privato, consapevole che la propria risorsa rimarrà sua nel tempo, è motivato a non farla deperire per mantenerne alto il valore monetario, anche nell’ipotesi di una vendita. Al contrario, l’uomo politico gestisce la risorsa con l’orizzonte breve del suo mandato perché consapevole che, alla fine, essa passerà di mano senza ricavarne nulla. Preoccupati per la rielezione, i governanti amministrano i beni in modo da favorire quei gruppi capaci di ricambiare con voti e appoggi, senza valutare i danni futuri delle loro azioni.

[Liberilibri, Macerata, 2004, pp. 60-61]

Quando il governo possiede qualcosa o conduce un’attività produttiva, si dice che questa è "posseduta pubblicamente". Quando delle risorse naturali vengono vendute o assegnate all’impresa privata, ci viene detto che il demanio pubblico è stato ceduto ai "ristretti interessi privati". Quello che se ne deduce è che quando il governo possiede una risorsa, "noi", tutti membri della cosa pubblica, possediamo una uguale quota di tale proprietà. Ma questo è solo un mito. Proprietà pubblica significa semplicemente che è la classe politica a possedere il bene. L’aspetto rilevante della proprietà, infatti, non è la sua forma legale, bensì il reale potere di decidere su di essa. Sono gli ufficiali governativi coloro che dirigono l’uso della risorsa pubblica e che quindi la possiedono.

Ogni cittadino che dubitasse di questo può provare a recintare la sua quota di un parco nazionale per un uso personale o, ancora più significativamente, può provare a venderla a terzi e argomentare poi le sue ragioni in tribunale. Chi è soggetto a un governo non può contrattarne un’uscita "vendendo le proprie azioni", come può fare quando è socio di un’azienda. Come anche Floyd Harper ha succintamente affermato, «il corollario del diritto di proprietà è il diritto di non essere proprietari, se non posso vendere una cosa è evidente che non la possiedo veramente». La realtà è che, qualunque sia la forma di governo, i governanti sono i veri decisori ultimi sulla proprietà pubblica. Il "pubblico" non ne possiede alcuna parte. Lo Stato concede ai cittadini solo permessi a utilizzare i beni pubblici, permessi che può definire e revocare come e quando vuole.

Tuttavia, in una democrazia, o nel lungo periodo sotto ogni forma di governo, i governanti sono solo transitori. Da qui il fatto che nessun uomo politico si considera più che un proprietario temporaneo. Come risultato, mentre un proprietario privato, sicuro della sua proprietà nel tempo, al fine di mantenerne alto il valore capitale pianifica l’uso della risorsa per un lungo periodo, l’uomo politico o l’impiegato statale tende a "spremerla" (politicamente parlando) il più velocemente possibile durante il periodo della sua carica, poiché non ha la sicurezza della proprietà. In breve, gli ufficiali governativi possiedono solamente l’uso delle risorse, ma non il loro valore capitale che rimane non posseduto da nessuno. E quando solo l’uso immediato può essere posseduto, ma non la risorsa in sé, non è più vantaggioso conservarla, ma, al contrario, è vantaggioso utilizzarla il prima possibile.

È curioso il fatto, osserva Rothbard, che quasi tutti gli scrittori ripetono meccanicamente la nozione secondo cui i proprietari privati, possedendo delle preferenze di tempo, devono avere una "visione di breve periodo", mentre solo la classe politica può assumere una "visione di lungo periodo" e allo care la proprietà in modo da promuovere il "benessere generale". La verità è esattamente l’opposto. L’individuo privato, consapevole che la propria risorsa rimarrà sua nel tempo, è motivato a non farla deperire per mantenerne alto il valore monetario, anche nell’ipotesi di una vendita. Al contrario, l’uomo politico gestisce la risorsa con l’orizzonte breve del suo mandato perché consapevole che, alla fine, essa passerà di mano senza ricavarne nulla. Preoccupati per la rielezione, i governanti amministrano i beni in modo da favorire quei gruppi capaci di ricambiare con voti e appoggi, senza valutare i danni futuri delle loro azioni.

[Liberilibri, Macerata, 2004, pp. 60-61]