Pierluigi Battista LA FINE DELL’INNOCENZA
Il reo deve morire "convinto" di "meritare" la condanna. Riconoscendo pubblicamente di aver meritato la pena capitale al termine di un supplemento di processo in cui la piazza "disputa"chiassosamente con l’imputato intorno alle colpe commesse, il condannato dichiara così di essere pronto a portare sin dentro la tomba il fardello di un sincero pentimento per aver commesso un imperdonabile delitto e conferisce così la definitiva legittimazione al macabro rito di espiazione attraverso cui la comunità si purifica e rinsalda i suoi legami. Deve trattarsi di un atto di genuina contrizione. Tanto più che il reo confesso e pubblicamente pentito è perfettamente consapevole che la sua dichiarazione non avrà nessuna influenza effettiva sugli eventi e di certo non provocherà nessuna attenuazione del verdetto. La pubblica confessione infatti non commuoverà più di tanto i suoi carnefici giacché, e lo scrive una vittima di atroci e prolungate torture come Campanella, "senza misericordia si esequisce" la sentenza.
Sembra di scorgere la prefigurazione degli orrori contenuti nella pratica della confessione così maniacalmente ricercata nei sistemi totalitari del nostro secolo e registrata con veristica precisione da Arthur Koestler in Buio a mezzogiorno. Un sovrappiù di crudeltà apparentemente incomprensibile ma in realtà motivato dalla convinzione che il successo dell’esperimento utopistico si giochi sul presupposto dell’intangibilità della coesione morale comunitaria.
[Marsilio Editori, I grilli Marsilio, 2000, p.80]
Il reo deve morire "convinto" di "meritare" la condanna. Riconoscendo pubblicamente di aver meritato la pena capitale al termine di un supplemento di processo in cui la piazza "disputa"chiassosamente con l’imputato intorno alle colpe commesse, il condannato dichiara così di essere pronto a portare sin dentro la tomba il fardello di un sincero pentimento per aver commesso un imperdonabile delitto e conferisce così la definitiva legittimazione al macabro rito di espiazione attraverso cui la comunità si purifica e rinsalda i suoi legami. Deve trattarsi di un atto di genuina contrizione. Tanto più che il reo confesso e pubblicamente pentito è perfettamente consapevole che la sua dichiarazione non avrà nessuna influenza effettiva sugli eventi e di certo non provocherà nessuna attenuazione del verdetto. La pubblica confessione infatti non commuoverà più di tanto i suoi carnefici giacché, e lo scrive una vittima di atroci e prolungate torture come Campanella, "senza misericordia si esequisce" la sentenza.
Sembra di scorgere la prefigurazione degli orrori contenuti nella pratica della confessione così maniacalmente ricercata nei sistemi totalitari del nostro secolo e registrata con veristica precisione da Arthur Koestler in Buio a mezzogiorno. Un sovrappiù di crudeltà apparentemente incomprensibile ma in realtà motivato dalla convinzione che il successo dell’esperimento utopistico si giochi sul presupposto dell’intangibilità della coesione morale comunitaria.
[Marsilio Editori, I grilli Marsilio, 2000, p.80]