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In principio fu il 6+5 .... dal calcio secondo Joseph Blatter ma .... non secondo l’Unione Europea

In occasione del recente 58° Congresso F.I.F.A. (Sidney -Australia-, 29 e 30 maggio 2008) è stata approvata, a larghissima maggioranza (155 voti favorevoli e solo 5 voti contrari), la risoluzione sull’ormai nota regola del 6+5, partorita dal vulcanico Presidente F.I.F.A., Joseph Blatter.

In base al richiamato precetto, si intenderebbe limitare a 5 il numero di calciatori stranieri impiegabili in gara da parte di ciascun club, mentre gli altri 6 dovrebbero essere annoverati tra quelli indigeni, per così dire, quindi aventi titolo, in ragione della nazionalità, ad essere convocati per le squadre rappresentative del Paese di appartenenza (eligible for the national team of the country in which the club is domiciled).

Invero, il progetto, volto alla realizzazione di un bilanciamento dell’impiego di calciatori di diversa nazionalità nel senso anzidetto, è emerso, per la prima volta, in via ufficiale, in occasione della riunione della F.I.F.A. Football Committee (4 febbraio 2008).

E’ stata sottolineata, in particolare, la necessità di arginare la progressiva perdita di identità nazionale da parte dei vari clubs, a livello locale, regionale e continentale, nonché quella di sostenere i profili motivazionali dei giovani calciatori, sempre meno consistenti, ad avviso della F.I.F.A., a causa delle limitate possibilità di accesso alla rosa di prima squadra, compresse proprio dalla presenza di numerosi atleti stranieri schierati in campo dale società sportive; senza considerare, in via ulteriore, l’esigenza di ridurre il divario tra i (pochi) top clubs in grado di acquisire le prestazioni sportive dei calciatori di più elevato livello e tutti gli altri destinati a operare e a competere in condizioni di assoluto svantaggio, sotto il profilo sportivo e finanziario.

E’ innegabile che il fondamento del giuoco del calcio (come, del resto, di altre discipline di squadra) debba essere individuato in un rapporto sinergico e bilanciato tra i vari clubs, al fine di evitare che il venir meno dell’identità nazionale di questi ultimi (determinata dalla presenza di un gran numero di calciatori stranieri), da un lato danneggi le squadre nazionali di ciascun Paese, dall’altro generi profonde diseguaglianze tra le medesime società sportive, con conseguente riduzione del livello competitivo e prevedibilità dei risultati sportivi.

In questo senso, è altrettanto ragionevole considerare come proprio la salvaguardia della formazione dei giovani calciatori e degli stessi clubs impegnati nel relativo addestramento tecnico-tattico, costituisca elemento fondamentale ai fini di una maggior tutela delle squadre nazionali e del ripristino di una competitività sportiva e finanziaria tra i diversi sodalizi.

Il tutto, funzionalmente preordinato a implementare il continuo processo evolutivo del fenomeno calcio che rischierebbe di essere inevitabilmente pregiudicato da una crescente diffusione delle diseguaglianze di cui si riferiva in precedenza.

Tuttavia, a fronte del grido d’allarme lanciato dalla F.I.F.A. per bocca del suo Presidente, l’UE ha manifestato il proprio chiaro e deciso dissenso nei riguardi della regola del 6+5, in quanto asseritamente in contrasto con i principi di diritto comunitario in tema di libertà di circolazione dei lavoratori.

E’ quanto è emerso all’esito della recente approvazione di una risoluzione da parte del Parlamento Europeo, per il quale la predetta é una regola in grado di determinare evidenti discriminazioni basate sulla nazionalità.

D’altro canto, però, il Parlamento Europeo ha anche riconosciuto che, in alcuni casi, eventuali restrizioni, limitate e proporzionate alla libera circolazione, potrebbero rivelarsi di una qualche utilità per favorire lo sport nell’ambito dei Paesi membri UE, ma non tali da assurgere a forme gravemente discriminatorie come quanto proposto dalla F.I.F.A..

A mio avviso, in tale apertura deve essere individuata la chiave di volta che potrebbe permettere di contemperare le esigenze della F.I.F.A. e quelle dell’UE.

Invero, l’UE non tiene nella dovuta considerazione che la proposta di limitazione dell’impiego di calciatori di cui alla regola del 6+5, afferisce esclusivamente alla possibilità di schierare solo 5 stranieri all’inizio di una gara, senza alcun pregiudizio sia in ordine alla possibilità di contrattualizzarne più di 5 che di utilizzarli quali sostituti dei calciatori indigeni nel corso della partita; di talché, in definitiva, una squadra potrebbe portare a termine l’incontro schierando 8 calciatori stranieri (le sostituzioni ammesse sono tre) e 3 calciatori “nazionali”.

Formulata in questi termini, la proposta di Joseph Blatter si rivela connotata da un certo grado di flessibilità piuttosto che da un carattere discriminatorio (almeno non nei termini individuati dall’UE), integrando, pertanto, proprio gli estremi di quella “restrizione limitata e proporzionata alla libera circolazione dei lavoratori”, ritenuta di plausibile realizzazione dal Parlamento Europeo per la salvaguardia dello sport nell’ambito dei Paesi membri UE.

In nessuna altra disciplina, probabilmente, come nel mondo della “pedata”, si dovrebbe considerare che la necessità di garantire la più ampia mobilità dei lavoratori stranieri non può essere avulsa dal contesto di riferimento, in considerazione delle variabili che necessariamente influiscono sulla realizzazione del prodotto calcio e sulle modalità di relativa gestione che ciascun club ritiene opportuno adottare.

Vero è, d’altra parte, che l’UE, se da un lato osteggia la regola del 6+5, dall’altro ha manifestato un orientamento favorevole nei riguardi dell’introduzione dell’altra regola del 4+4 (c.d. home-grown players rule -lett.. regola dei calciatori formati in casa-) proposta, invece, dall’U.E.F.A..

In base a quest’ultima, a partire dalla stagione sportiva 2008/09, le squadre partecipanti alla Champions League e alla U.E.F.A. Cup dovranno predisporre liste che contemplino la presenza di 4 calciatori che, indipendentemente dalla nazionalità, siano stati formati nel proprio vivaio (l’U.E.F.A. considera cresciuto nel vivaio di un club -home-grown player- il calciatore che sia stato per esso tesserato, tra i 15 e i 21 anni, per un minimo di tre stagioni sportive) e di 4 calciatori formati in altro vivaio nazionale; in difetto, i posti vacanti non potranno essere rimpiazzati in altro modo, tanto che un club italiano, in vista della competizione internazionale di interesse, sarebbe in procinto di riacquisire le prestazioni sportive di calciatori cresciuti nel proprio vivaio ma, da tempo, tesserati in forza ad altre società sportive.

Al riguardo, dunque, l’UE ritiene che la regola del 4+4 costituisca una misura atta a favorire la promozione dei calciatori provenienti da programmi di formazione, mentre la F.I.F.A. assume che detta impostazione non agevoli la tutela dei calciatori potenzialmente convocabili per le squadre nazionali, ma, al contrario, i clubs in possesso di più cospicue risorse finanziarie per l’acquisizione di calciatori sempre più giovani rispetto a quanto si è verificato sino ad oggi..

Al momento, il progetto F.I.F.A., appoggiato non solo dall’U.E.F.A. ma anche dalle istituzioni calcistiche sudamericane e africane, è tema più vivo che mai e oggetto di costante confronto tra i rappresentanti del supremo organo calcistico internazionale (e continentale) e quelli dell’UE, tanto che proprio di recente (6 giugno 2008) Jopseph Blatter (Presidente F.I.F.A.) e Michel Platini (Presidente U.E.F.A.) hanno incontrato il Presidente del Parlamento Europeo, Hans-Gert Pottering, allo scopo di discutere sugli obiettivi e le finalità precipue della regola del 6+5.

A prescindere da quanto si verificherà in concreto, su un punto, però, è possibile convenire: sino a quando vedremo squadre nazionali, come nel Campionato Europeo in corso di svolgimento in Svizzera-Austria, che schierano così tanti calciatori di altra nazionalità (soprattutto brasiliana, Portogallo con Pepe e Deco -Brasile-, Spagna con Senna -Brasile-, Germania con Kuranyi -Brasile- e Podolski, Klose, Trochowski -Polonia-, Croazia con Eduardo da Silva -Brasile-, Polonia con Guerreiro -Brasile-), la predetta regola non rimarrà che allo stadio di una mera indicazione numerica.

In occasione del recente 58° Congresso F.I.F.A. (Sidney -Australia-, 29 e 30 maggio 2008) è stata approvata, a larghissima maggioranza (155 voti favorevoli e solo 5 voti contrari), la risoluzione sull’ormai nota regola del 6+5, partorita dal vulcanico Presidente F.I.F.A., Joseph Blatter.

In base al richiamato precetto, si intenderebbe limitare a 5 il numero di calciatori stranieri impiegabili in gara da parte di ciascun club, mentre gli altri 6 dovrebbero essere annoverati tra quelli indigeni, per così dire, quindi aventi titolo, in ragione della nazionalità, ad essere convocati per le squadre rappresentative del Paese di appartenenza (eligible for the national team of the country in which the club is domiciled).

Invero, il progetto, volto alla realizzazione di un bilanciamento dell’impiego di calciatori di diversa nazionalità nel senso anzidetto, è emerso, per la prima volta, in via ufficiale, in occasione della riunione della F.I.F.A. Football Committee (4 febbraio 2008).

E’ stata sottolineata, in particolare, la necessità di arginare la progressiva perdita di identità nazionale da parte dei vari clubs, a livello locale, regionale e continentale, nonché quella di sostenere i profili motivazionali dei giovani calciatori, sempre meno consistenti, ad avviso della F.I.F.A., a causa delle limitate possibilità di accesso alla rosa di prima squadra, compresse proprio dalla presenza di numerosi atleti stranieri schierati in campo dale società sportive; senza considerare, in via ulteriore, l’esigenza di ridurre il divario tra i (pochi) top clubs in grado di acquisire le prestazioni sportive dei calciatori di più elevato livello e tutti gli altri destinati a operare e a competere in condizioni di assoluto svantaggio, sotto il profilo sportivo e finanziario.

E’ innegabile che il fondamento del giuoco del calcio (come, del resto, di altre discipline di squadra) debba essere individuato in un rapporto sinergico e bilanciato tra i vari clubs, al fine di evitare che il venir meno dell’identità nazionale di questi ultimi (determinata dalla presenza di un gran numero di calciatori stranieri), da un lato danneggi le squadre nazionali di ciascun Paese, dall’altro generi profonde diseguaglianze tra le medesime società sportive, con conseguente riduzione del livello competitivo e prevedibilità dei risultati sportivi.

In questo senso, è altrettanto ragionevole considerare come proprio la salvaguardia della formazione dei giovani calciatori e degli stessi clubs impegnati nel relativo addestramento tecnico-tattico, costituisca elemento fondamentale ai fini di una maggior tutela delle squadre nazionali e del ripristino di una competitività sportiva e finanziaria tra i diversi sodalizi.

Il tutto, funzionalmente preordinato a implementare il continuo processo evolutivo del fenomeno calcio che rischierebbe di essere inevitabilmente pregiudicato da una crescente diffusione delle diseguaglianze di cui si riferiva in precedenza.

Tuttavia, a fronte del grido d’allarme lanciato dalla F.I.F.A. per bocca del suo Presidente, l’UE ha manifestato il proprio chiaro e deciso dissenso nei riguardi della regola del 6+5, in quanto asseritamente in contrasto con i principi di diritto comunitario in tema di libertà di circolazione dei lavoratori.

E’ quanto è emerso all’esito della recente approvazione di una risoluzione da parte del Parlamento Europeo, per il quale la predetta é una regola in grado di determinare evidenti discriminazioni basate sulla nazionalità.

D’altro canto, però, il Parlamento Europeo ha anche riconosciuto che, in alcuni casi, eventuali restrizioni, limitate e proporzionate alla libera circolazione, potrebbero rivelarsi di una qualche utilità per favorire lo sport nell’ambito dei Paesi membri UE, ma non tali da assurgere a forme gravemente discriminatorie come quanto proposto dalla F.I.F.A..

A mio avviso, in tale apertura deve essere individuata la chiave di volta che potrebbe permettere di contemperare le esigenze della F.I.F.A. e quelle dell’UE.

Invero, l’UE non tiene nella dovuta considerazione che la proposta di limitazione dell’impiego di calciatori di cui alla regola del 6+5, afferisce esclusivamente alla possibilità di schierare solo 5 stranieri all’inizio di una gara, senza alcun pregiudizio sia in ordine alla possibilità di contrattualizzarne più di 5 che di utilizzarli quali sostituti dei calciatori indigeni nel corso della partita; di talché, in definitiva, una squadra potrebbe portare a termine l’incontro schierando 8 calciatori stranieri (le sostituzioni ammesse sono tre) e 3 calciatori “nazionali”.

Formulata in questi termini, la proposta di Joseph Blatter si rivela connotata da un certo grado di flessibilità piuttosto che da un carattere discriminatorio (almeno non nei termini individuati dall’UE), integrando, pertanto, proprio gli estremi di quella “restrizione limitata e proporzionata alla libera circolazione dei lavoratori”, ritenuta di plausibile realizzazione dal Parlamento Europeo per la salvaguardia dello sport nell’ambito dei Paesi membri UE.

In nessuna altra disciplina, probabilmente, come nel mondo della “pedata”, si dovrebbe considerare che la necessità di garantire la più ampia mobilità dei lavoratori stranieri non può essere avulsa dal contesto di riferimento, in considerazione delle variabili che necessariamente influiscono sulla realizzazione del prodotto calcio e sulle modalità di relativa gestione che ciascun club ritiene opportuno adottare.

Vero è, d’altra parte, che l’UE, se da un lato osteggia la regola del 6+5, dall’altro ha manifestato un orientamento favorevole nei riguardi dell’introduzione dell’altra regola del 4+4 (c.d. home-grown players rule -lett.. regola dei calciatori formati in casa-) proposta, invece, dall’U.E.F.A..

In base a quest’ultima, a partire dalla stagione sportiva 2008/09, le squadre partecipanti alla Champions League e alla U.E.F.A. Cup dovranno predisporre liste che contemplino la presenza di 4 calciatori che, indipendentemente dalla nazionalità, siano stati formati nel proprio vivaio (l’U.E.F.A. considera cresciuto nel vivaio di un club -home-grown player- il calciatore che sia stato per esso tesserato, tra i 15 e i 21 anni, per un minimo di tre stagioni sportive) e di 4 calciatori formati in altro vivaio nazionale; in difetto, i posti vacanti non potranno essere rimpiazzati in altro modo, tanto che un club italiano, in vista della competizione internazionale di interesse, sarebbe in procinto di riacquisire le prestazioni sportive di calciatori cresciuti nel proprio vivaio ma, da tempo, tesserati in forza ad altre società sportive.

Al riguardo, dunque, l’UE ritiene che la regola del 4+4 costituisca una misura atta a favorire la promozione dei calciatori provenienti da programmi di formazione, mentre la F.I.F.A. assume che detta impostazione non agevoli la tutela dei calciatori potenzialmente convocabili per le squadre nazionali, ma, al contrario, i clubs in possesso di più cospicue risorse finanziarie per l’acquisizione di calciatori sempre più giovani rispetto a quanto si è verificato sino ad oggi..

Al momento, il progetto F.I.F.A., appoggiato non solo dall’U.E.F.A. ma anche dalle istituzioni calcistiche sudamericane e africane, è tema più vivo che mai e oggetto di costante confronto tra i rappresentanti del supremo organo calcistico internazionale (e continentale) e quelli dell’UE, tanto che proprio di recente (6 giugno 2008) Jopseph Blatter (Presidente F.I.F.A.) e Michel Platini (Presidente U.E.F.A.) hanno incontrato il Presidente del Parlamento Europeo, Hans-Gert Pottering, allo scopo di discutere sugli obiettivi e le finalità precipue della regola del 6+5.

A prescindere da quanto si verificherà in concreto, su un punto, però, è possibile convenire: sino a quando vedremo squadre nazionali, come nel Campionato Europeo in corso di svolgimento in Svizzera-Austria, che schierano così tanti calciatori di altra nazionalità (soprattutto brasiliana, Portogallo con Pepe e Deco -Brasile-, Spagna con Senna -Brasile-, Germania con Kuranyi -Brasile- e Podolski, Klose, Trochowski -Polonia-, Croazia con Eduardo da Silva -Brasile-, Polonia con Guerreiro -Brasile-), la predetta regola non rimarrà che allo stadio di una mera indicazione numerica.