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Profili generali sull’istituto dell’esecutore testamentario

SOMMARIO:

1. Inquadramento dogmatico dell’istituto

2. L’accettazione della nomina

3. Sui compiti dell’esecutore

4. La responsabilità dell’esecutore testamentario

5. Sulla cessazione dall’ufficio

1. Inquadramento dogmatico dell’istituto

L’esecutore testamentario è una persona di fiducia, al quale il de cuius affida l’incarico di curare che siano correttamente attuate le sue ultime volontà, così come risultanti dal testamento. Si tratta di un ufficio di natura privata, svolto in nome proprio dall’esecutore testamentario e senza alcun rapporto di rappresentanza[1], in attuazione di interessi interni alla successione.

In questo senso, l’ufficio non si costituisce in via unilaterale, solo sulla base della disposizione testamentaria di nomina: l’accettazione, infatti, deve essere intesa come elemento costitutivo della fattispecie. L’istituto può quindi essere assimilato ad una forma di mandato post mortem, nel quale si coordinano, pur rimanendo autonome e distinte, la nomina e la conseguente accettazione.

In base all’art. 700, primo comma, c.c., il testatore può nominare anche più esecutori così come può nominare dei sostituti, nell’ipotesi in cui uno o tutti non accettino.

Se sono nominati più esecutori testamentari, essi devono agire congiuntamente, salvo che il testatore abbia diviso tra loro le attribuzioni, o che si tratti di provvedimento urgente per la conservazione di un bene o di un diritto ereditario (art. 700, secondo comma, c.c.) Se gli esecutori che devono agire congiuntamente non sono d’accordo circa un atto del loro ufficio, provvede l’autorità giudiziaria, sentiti, se occorre, gli eredi (art. 708 c.c.)[2].

In base all’art. 701 c.c., può essere nominato esecutore testamentario anche un erede o un legatario, oltrechè ovviamente anche un semplice estraneo, purchè possieda la capacità d’agire.

In questo senso, quindi, è ammessa anche la nomina di una persona giuridica, la quale dovrà pur sempre avere la piena capacità di obbligarsi (ovvero, la piena capacità di agire) esattamente come è richiesto per le persone fisiche. Ne consegue che non possano perciò svolgere il compito di esecutore testamentario i soggetti minori, gli interdetti, gli inabilitati e gli emancipati.

Il legislatore prevede infine che, nella disposizione di nomina, il testatore possa anche non indicare i compiti specifici che l’esecutore sarà chiamato a svolgere, ed in questo caso l’incaricato si atterrà alle disposizioni generali in materia (artt. 700 e ss.) del codice civile. Il testatore può, inoltre, sottrarre espressamente all’esecutore alcuni incarichi specifici.

2. L’accettazione della nomina

L’accettazione dell’incarico da parte dell’esecutore testamentario costituisce un vero e proprio negozio giuridico, dato che la volontà dell’accettante pone a suo carico una serie di obblighi giuridici specifici. L’accettazione viene fatta con dichiarazione presso la Cancelleria del Tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione e deve essere annotata nel registro delle successioni (art. 702, primo comma, c.c.).

In particolare, secondo l’indirizzo delle Suprema Corte, “l’investitura dell’ufficio di esecutore è genericamente collegata ad una fattispecie complessa a formazione progressiva, rivestita da forme richieste "ad substantiam", sia per la nomina che per l’accettazione: ciò in armonia con il principio di solennità che informa le disposizioni in materia di successioni "mortis causa", per la necessità di assicurare un ambito di massima certezza per il grande rilievo economico attribuito dall’ordinamento al trasferimento dell’intero patrimonio dal "de cuius" ai suoi successori. Ne consegue che l’accettazione della nomina, ove non sia formalizzata a norma dell’art. 702 c.c., non comporta l’investitura dell’ufficio per il designato od esecutore testamentario” [3].

Sulla base del dettato normativo, inoltre, l’accettazione non può essere sottoposta a condizioni o a termini, anche se l’autorità giudiziaria, su istanza di qualsiasi interessato, può assegnare all’esecutore un eventuale termine per l’accettazione, decorso il quale l’esecutore si considera rinunziante (art.702, secondo e terzo comma, c.c.).

Il legislatore quindi, pur non sono fissando espressamente dei termini legali entro i quali accettare l’incarico, mette a disposizione di qualsiasi interessato, tramite lo strumento di un’ actio interrogatoria, la possibilità di sollecitare un termine perentorio entro cui formalizzare l’accettazione.

Una volta effettuata l’accettazione, quindi, l’incaricato assume l’ufficio di esecutore testamentario, che è libero, personale e gratuito.

Il requisito della libertà permette all’esecutore di rinunziare all’incarico assunto in qualsiasi momento, anche dopo l’avvenuta accettazione. In tale ipotesi, tuttavia, per una parte della dottrina (CUFFARO[4], MESSINEO) la rinuncia potrebbe farsi solo per gravi motivi[5]. Il carattere della personalità è, invece, espressione del vincolo fiduciario tra il testatore ed il nominato[6] ed impedisce l’esercizio per delega dell’incarico.

Infine, vale la pena di sottolineare che la gratuità istituzionale dell’incarico, come elemento corollario del requisito della libertà, non vieta tuttavia al testatore di stabilire una retribuzione a favore dell’esecutore[7]. Infatti, in base all’art.711 c.c., il legislatore precisa che “l’ufficio dell’esecutore testamentario è gratuito. Tuttavia il testatore può stabilire una retribuzione a carico dell’eredità”.

Anche secondo la più recente giurisprudenza di legittimità “l’ufficio dell’esecutore testamentario è gratuito, come espressamente stabilito dall’art. 711 c.c. La gratuità, nonostante l’onerosità dell’incarico, si giustifica con il fatto che il soggetto può rifiutarsi di accettarlo oppure espletarlo sopportandone le incombenze che vi sono connesse senza reclamare alcun compenso a meno che questo non sia stato disposto dal testatore e salvo, comunque, il diritto di ripetere le spese sostenute per svolgere l’incarico”[8]. Qualora infatti nell’esercizio delle sue funzioni, l’esecutore testamentario affronti delle spese, queste sono poste certamente a carico dell’eredità (art. 712 c.c.).

Inoltre, sull’eventuale diritto retributivo dell’esecutore, oltre a quanto eventualmente previsto dal de cuius, la Corte di legittimità ha stabilito che “spetta al giudice di merito accertare e valutare se, oltre agli atti che rientrano nella normale competenza dell’esecutore testamentario, e come tali non retribuibili, questi abbia effettivamente compiuto atti diversi che debbano essere compensati ad altro titolo”[9].

3. Sui compiti dell’esecutore

I compiti dell’esecutore testamentario possono dividersi in due gruppi: il primo attiene all’amministrazione della massa ereditaria, il secondo alla gestione ed all’esatto adempimento delle disposizioni.

In primo luogo, l’esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto (art. 703, primo comma, c.c.) e, a tal fine, salvo contraria volontà del testatore, egli deve amministrare la massa ereditaria, con la diligenza del buon padre di famiglia, prendendo possesso[10] dei beni che ne fanno parte (art. 703, secondo comma, c.c.).

Ai sensi del quarto comma dell’art. 703 c.c., quando è necessario alienare beni dell’eredità, l’esecutore testamentario ne chiede l’autorizzazione all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 747 c.p.c., la quale provvede sentiti gli eredi. In particolare, l’autorizzazione a vendere beni ereditari deve essere richiesta con ricorso diretto al Tribunale del luogo ove si è aperta la successione. Nel caso in cui i beni appartengano a persone incapaci deve essere sentito il giudice tutelare. Infine, il giudice provvede sul ricorso con decreto, contro il quale è ammesso reclamo a norma dell’art. 739 c.p.c.

Quando tra i chiamati all’eredità vi sono minori, assenti, interdetti o persone giuridiche, l’esecutore testamentario fa apporre i sigilli all’eredità e fa redigere l’inventario del complesso dei beni ereditari in loro presenza, o comunque dopo averli opportunamente invitati (art. 705 c.c.).

Ai sensi dell’art. 706 c.c., il testatore può disporre che l’esecutore testamentario, quando non è un erede o un legatario, proceda alla divisione tra gli eredi dei beni dell’eredità. In questo caso si osserva il disposto dell’art. 733 c.c.. Ad ogni modo, prima di procedere alla divisione l’esecutore testamentario deve sentire gli eredi.

L’esecutore testamentario deve anche consegnare all’erede, che ne faccia richiesta, i beni dell’eredità che non sono necessari all’esercizio del suo ufficio (art. 707, primo comma, c.c.). Egli non può rifiutare tale consegna a causa di obbligazioni che debba adempiere nel rispetto della volontà del testatore o di legati condizionali o a termine, se l’erede dimostra di averli già soddisfatti, od comunque offre idonea garanzia per l’adempimento delle obbligazioni, dei legati o degli oneri (art. 707, secondo comma, c.c.).

4. La responsabilità dell’esecutore testamentario

Per quanto attiene al profilo della responsabilità dell’esecutore testamentario, il legislatore prevede che gli atti compiuti nell’esercizio del suo ufficio non possono mai pregiudicare il diritto dei chiamati alla successione a rinunziare all’eredità o ad accettarla col beneficio d’inventario (art. 703, quinto comma, c.c.).

Al termine dell’incarico[11], quindi, l’esecutore testamentario deve necessariamente rendere il conto della propria gestione, anche nell’ipotesi in cui il testatore lo avesse appositamente escluso da qualsiasi responsabilità (art. 709, primo e quarto comma, c.c.). Tale rendiconto consente il controllo dell’attività svolta dall’esecutore testamentario ed è preordinato all’accertamento delle sue eventuali responsabilità.

Qualora, nell’esercizio del suo ufficio, l’esecutore testamentario causi colposamente o dolosamente dei danni agli eredi o ai legatari, in violazione del dovere di diligenza del buon padre di famiglia, sarà tenuto all’eventuale risarcimento dei danni. Trattandosi di obblighi derivanti dalla legge, l’esecutore testamentario al fine di liberarsi dalla responsabilità, deve dimostrare di non essere stato in colpa, o che l’evento dannoso è derivato da causa estranea a lui non imputabile[12].

Inoltre, nel caso in cui il testatore abbia nominato più esecutori testamentari, il legislatore espressamente prevede che essi rispondano solidalmente per la gestione comune (art. 709, terzo comma, c.c.).

Infine, nel caso di gravi irregolarità nell’adempimento dei suoi obblighi, di inidoneità all’ufficio o per aver commesso azione che ne menomi la fiducia, oltre all’eventuale azione di risarcimento del danno, l’autorità giudiziaria può esonerare l’esecutore testamentario dal suo ufficio, dietro apposita istanza di ogni interessato (art. 710, primo comma, c.c.).

In tal caso, l’autorità giudiziaria, prima di provvedere, deve sentire l’esecutore e può disporre opportuni accertamenti (art. 710, secondo comma, c.c.).

5. Sulla cessazione dall’ufficio

L’ufficio di esecutore testamentario può cessare per varie cause: esaurimento dei compiti, morte o perdita della piena capacità di obbligarsi dell’esecutore senza che siano state disposte sostituzioni, rinuncia all’incarico, impossibilità oggettivamente non imputabile all’esecutore, esonero disposto dal giudice ai sensi dell’art. 710 c.c.[13].

In particolare, per quanto riguarda l’ipotesi di morte dell’esecutore, la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare appunto che “l’ufficio di diritto privato dell’esecutore testamentario - cui l’art. 704 c.c. attribuisce la veste di litisconsorte necessario con l’erede nelle azioni concernenti l’eredità - viene a cessare con la morte della persona nominata, senza che ciò comporti l’interruzione del processo e la riassunzione nei confronti degli eredi dell’ esecutore ovvero del custode dei beni ereditari successivamente nominato a tale incarico”[14].

Non è invece prevista dalla legge la cessazione dell’ufficio per decorso del tempo: è stabilito, però, dall’art. 703, terzo comma, c.c. che il possesso dei beni ereditari non possa durare per più di un anno, rinnovabile per un altro anno dal giudice per evidente necessità, dall’accettazione.

Giova infine ricordare che l’eventuale restituzione del possesso da parte dell’esecutore testamentario non significa comunque necessariamente cessazione dell’ufficio (CRISCUOLI[15]; contra, CICU). Si tratta infatti di una conseguenza possibile ma non automatica, in quanto i poteri ed i compiti dell’esecutore non si esauriscono in quelli strettamente connessi al possesso della massa ereditaria.



[1] Non è quindi condivisibile l’opinione per la quale la costituzione dell’ufficio dell’esecutore è riconducibile ad un contratto: infatti, la nascita di questo ufficio è un “super - effetto’ che dipende dal combinarsi dell’effetto della disposizione testamentaria di nomina con quello tipico dell’accettazione del designato.

[2] Inoltre, il testatore può autorizzare l’esecutore testamentario a sostituire altri a se stesso, qualora egli non possa continuare nell’ufficio (art. 700, terzo comma, c.c.).

[3] Cass. civ. Sez. II, 27-04-1993, n. 4930; in Vita Notar., 1993, 1452, Riv. Notar., 1994, 183, Giur. It., 1994, I,1, 1070 e Nuova Giur. Civ., 1994, I, 289 nota di MAGNI.

[4] CUFFARO, Gli esecutori testamentari, in Trattato Rescigno 6, II, Utet, Torino 1982.

[5] La rinuncia soggiace alle stesse modalità formali previste per l’accettazione, ossia deve effettuarsi tramite dichiarazione alla Cancelleria del Tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione con conseguente annotazione nel registro delle successioni.

[6] TRIMARCHI V. M., "Esecutore testamentario", in Enc. Dir. XV, Giuffrè, Milano 1966.

[7] Sull’eventuale natura giuridica di tale retribuzione, in dottrina si ritiene che non si tratti comunque di un debito a carico dell’eredità.

[8] Cass. civ. Sez. II, 30-08-2004, n. 17382, in Notariato, 2004, 582.

[9] Cass. civ. Sez. II, 30-08-2004, n. 17382, in Guida al Diritto, 2004, 36, 36 nota di LEO.

[10] Tuttavia, stabilisce il legislatore che “il possesso non può durare più di un anno dalla dichiarazione di accettazione, salvo che l’autorità giudiziaria, per motivi di evidente necessità, sentiti gli eredi, ne prolunghi la durata, che non potrà mai superare un altro anno” (art. 703, terzo comma, c.c.). Sul rapporto tra il possesso dei beni ereditari e il termine dall’accettazione dell’incarico si è pronunciata anche la Suprema Corte, sottolineando che “l’esecutore testamentario non acquista il possesso dei beni ereditari ipso iure con l’accettazione dell’incarico, dovendo richiederlo all’erede. Ove, pertanto, egli non sia in grado di entrare nel possesso dei beni ereditari - avvenga ciò per rifiuto dell’erede di procedere alla consegna dei beni stessi o per altre contestazioni dallo stesso sollevate - non può porsi a carico dell’esecutore l’impossibilità, dovuta a fatto a lui non imputabile, di esercitare le sue funzioni ed in tal caso il termine di un anno dalla dichiarazione di accettazione, previsto dall’art. 703 c.c., non potrà cominciare a decorrere se non dal momento in cui sarà cessata la causa dell’impedimento” (Cass. civ. Sez. II, 27-01-1995, n. 995, in Mass. Giur. It., 1995).

[11] Sulla base della stessa disposizione normativa (art. 709 c.c.), il legislatore opportunamente specifica che l’esecutore testamentario sarà tenuto a presentare il proprio conto della gestione anche trascorso un anno dalla morte del testatore, se la gestione stessa si prolunga oltre tale periodo.

[12]MANCA, Degli esecutori testamentari, in Codice civile. Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni. Comm. dir. da M. D’Amelio, Firenze, 1941, p. 654.

[13] BONILINI, "Esecutore testamentario", in Digesto delle disciplina privatistiche Sez. Civ. IV, Utet, Torino 1989.

[14] Cass. civ. Sez. II, 05-07-1996, n. 6143, in Mass. Giur. It., 1996.

[15] CRISCUOLI, Il testamento, Cedam, Padova 1995.

SOMMARIO:

1. Inquadramento dogmatico dell’istituto

2. L’accettazione della nomina

3. Sui compiti dell’esecutore

4. La responsabilità dell’esecutore testamentario

5. Sulla cessazione dall’ufficio

1. Inquadramento dogmatico dell’istituto

L’esecutore testamentario è una persona di fiducia, al quale il de cuius affida l’incarico di curare che siano correttamente attuate le sue ultime volontà, così come risultanti dal testamento. Si tratta di un ufficio di natura privata, svolto in nome proprio dall’esecutore testamentario e senza alcun rapporto di rappresentanza[1], in attuazione di interessi interni alla successione.

In questo senso, l’ufficio non si costituisce in via unilaterale, solo sulla base della disposizione testamentaria di nomina: l’accettazione, infatti, deve essere intesa come elemento costitutivo della fattispecie. L’istituto può quindi essere assimilato ad una forma di mandato post mortem, nel quale si coordinano, pur rimanendo autonome e distinte, la nomina e la conseguente accettazione.

In base all’art. 700, primo comma, c.c., il testatore può nominare anche più esecutori così come può nominare dei sostituti, nell’ipotesi in cui uno o tutti non accettino.

Se sono nominati più esecutori testamentari, essi devono agire congiuntamente, salvo che il testatore abbia diviso tra loro le attribuzioni, o che si tratti di provvedimento urgente per la conservazione di un bene o di un diritto ereditario (art. 700, secondo comma, c.c.) Se gli esecutori che devono agire congiuntamente non sono d’accordo circa un atto del loro ufficio, provvede l’autorità giudiziaria, sentiti, se occorre, gli eredi (art. 708 c.c.)[2].

In base all’art. 701 c.c., può essere nominato esecutore testamentario anche un erede o un legatario, oltrechè ovviamente anche un semplice estraneo, purchè possieda la capacità d’agire.

In questo senso, quindi, è ammessa anche la nomina di una persona giuridica, la quale dovrà pur sempre avere la piena capacità di obbligarsi (ovvero, la piena capacità di agire) esattamente come è richiesto per le persone fisiche. Ne consegue che non possano perciò svolgere il compito di esecutore testamentario i soggetti minori, gli interdetti, gli inabilitati e gli emancipati.

Il legislatore prevede infine che, nella disposizione di nomina, il testatore possa anche non indicare i compiti specifici che l’esecutore sarà chiamato a svolgere, ed in questo caso l’incaricato si atterrà alle disposizioni generali in materia (artt. 700 e ss.) del codice civile. Il testatore può, inoltre, sottrarre espressamente all’esecutore alcuni incarichi specifici.

2. L’accettazione della nomina

L’accettazione dell’incarico da parte dell’esecutore testamentario costituisce un vero e proprio negozio giuridico, dato che la volontà dell’accettante pone a suo carico una serie di obblighi giuridici specifici. L’accettazione viene fatta con dichiarazione presso la Cancelleria del Tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione e deve essere annotata nel registro delle successioni (art. 702, primo comma, c.c.).

In particolare, secondo l’indirizzo delle Suprema Corte, “l’investitura dell’ufficio di esecutore è genericamente collegata ad una fattispecie complessa a formazione progressiva, rivestita da forme richieste "ad substantiam", sia per la nomina che per l’accettazione: ciò in armonia con il principio di solennità che informa le disposizioni in materia di successioni "mortis causa", per la necessità di assicurare un ambito di massima certezza per il grande rilievo economico attribuito dall’ordinamento al trasferimento dell’intero patrimonio dal "de cuius" ai suoi successori. Ne consegue che l’accettazione della nomina, ove non sia formalizzata a norma dell’art. 702 c.c., non comporta l’investitura dell’ufficio per il designato od esecutore testamentario” [3].

Sulla base del dettato normativo, inoltre, l’accettazione non può essere sottoposta a condizioni o a termini, anche se l’autorità giudiziaria, su istanza di qualsiasi interessato, può assegnare all’esecutore un eventuale termine per l’accettazione, decorso il quale l’esecutore si considera rinunziante (art.702, secondo e terzo comma, c.c.).

Il legislatore quindi, pur non sono fissando espressamente dei termini legali entro i quali accettare l’incarico, mette a disposizione di qualsiasi interessato, tramite lo strumento di un’ actio interrogatoria, la possibilità di sollecitare un termine perentorio entro cui formalizzare l’accettazione.

Una volta effettuata l’accettazione, quindi, l’incaricato assume l’ufficio di esecutore testamentario, che è libero, personale e gratuito.

Il requisito della libertà permette all’esecutore di rinunziare all’incarico assunto in qualsiasi momento, anche dopo l’avvenuta accettazione. In tale ipotesi, tuttavia, per una parte della dottrina (CUFFARO[4], MESSINEO) la rinuncia potrebbe farsi solo per gravi motivi[5]. Il carattere della personalità è, invece, espressione del vincolo fiduciario tra il testatore ed il nominato[6] ed impedisce l’esercizio per delega dell’incarico.

Infine, vale la pena di sottolineare che la gratuità istituzionale dell’incarico, come elemento corollario del requisito della libertà, non vieta tuttavia al testatore di stabilire una retribuzione a favore dell’esecutore[7]. Infatti, in base all’art.711 c.c., il legislatore precisa che “l’ufficio dell’esecutore testamentario è gratuito. Tuttavia il testatore può stabilire una retribuzione a carico dell’eredità”.

Anche secondo la più recente giurisprudenza di legittimità “l’ufficio dell’esecutore testamentario è gratuito, come espressamente stabilito dall’art. 711 c.c. La gratuità, nonostante l’onerosità dell’incarico, si giustifica con il fatto che il soggetto può rifiutarsi di accettarlo oppure espletarlo sopportandone le incombenze che vi sono connesse senza reclamare alcun compenso a meno che questo non sia stato disposto dal testatore e salvo, comunque, il diritto di ripetere le spese sostenute per svolgere l’incarico”[8]. Qualora infatti nell’esercizio delle sue funzioni, l’esecutore testamentario affronti delle spese, queste sono poste certamente a carico dell’eredità (art. 712 c.c.).

Inoltre, sull’eventuale diritto retributivo dell’esecutore, oltre a quanto eventualmente previsto dal de cuius, la Corte di legittimità ha stabilito che “spetta al giudice di merito accertare e valutare se, oltre agli atti che rientrano nella normale competenza dell’esecutore testamentario, e come tali non retribuibili, questi abbia effettivamente compiuto atti diversi che debbano essere compensati ad altro titolo”[9].

3. Sui compiti dell’esecutore

I compiti dell’esecutore testamentario possono dividersi in due gruppi: il primo attiene all’amministrazione della massa ereditaria, il secondo alla gestione ed all’esatto adempimento delle disposizioni.

In primo luogo, l’esecutore testamentario deve curare che siano esattamente eseguite le disposizioni di ultima volontà del defunto (art. 703, primo comma, c.c.) e, a tal fine, salvo contraria volontà del testatore, egli deve amministrare la massa ereditaria, con la diligenza del buon padre di famiglia, prendendo possesso[10] dei beni che ne fanno parte (art. 703, secondo comma, c.c.).

Ai sensi del quarto comma dell’art. 703 c.c., quando è necessario alienare beni dell’eredità, l’esecutore testamentario ne chiede l’autorizzazione all’autorità giudiziaria ai sensi dell’art. 747 c.p.c., la quale provvede sentiti gli eredi. In particolare, l’autorizzazione a vendere beni ereditari deve essere richiesta con ricorso diretto al Tribunale del luogo ove si è aperta la successione. Nel caso in cui i beni appartengano a persone incapaci deve essere sentito il giudice tutelare. Infine, il giudice provvede sul ricorso con decreto, contro il quale è ammesso reclamo a norma dell’art. 739 c.p.c.

Quando tra i chiamati all’eredità vi sono minori, assenti, interdetti o persone giuridiche, l’esecutore testamentario fa apporre i sigilli all’eredità e fa redigere l’inventario del complesso dei beni ereditari in loro presenza, o comunque dopo averli opportunamente invitati (art. 705 c.c.).

Ai sensi dell’art. 706 c.c., il testatore può disporre che l’esecutore testamentario, quando non è un erede o un legatario, proceda alla divisione tra gli eredi dei beni dell’eredità. In questo caso si osserva il disposto dell’art. 733 c.c.. Ad ogni modo, prima di procedere alla divisione l’esecutore testamentario deve sentire gli eredi.

L’esecutore testamentario deve anche consegnare all’erede, che ne faccia richiesta, i beni dell’eredità che non sono necessari all’esercizio del suo ufficio (art. 707, primo comma, c.c.). Egli non può rifiutare tale consegna a causa di obbligazioni che debba adempiere nel rispetto della volontà del testatore o di legati condizionali o a termine, se l’erede dimostra di averli già soddisfatti, od comunque offre idonea garanzia per l’adempimento delle obbligazioni, dei legati o degli oneri (art. 707, secondo comma, c.c.).

4. La responsabilità dell’esecutore testamentario

Per quanto attiene al profilo della responsabilità dell’esecutore testamentario, il legislatore prevede che gli atti compiuti nell’esercizio del suo ufficio non possono mai pregiudicare il diritto dei chiamati alla successione a rinunziare all’eredità o ad accettarla col beneficio d’inventario (art. 703, quinto comma, c.c.).

Al termine dell’incarico[11], quindi, l’esecutore testamentario deve necessariamente rendere il conto della propria gestione, anche nell’ipotesi in cui il testatore lo avesse appositamente escluso da qualsiasi responsabilità (art. 709, primo e quarto comma, c.c.). Tale rendiconto consente il controllo dell’attività svolta dall’esecutore testamentario ed è preordinato all’accertamento delle sue eventuali responsabilità.

Qualora, nell’esercizio del suo ufficio, l’esecutore testamentario causi colposamente o dolosamente dei danni agli eredi o ai legatari, in violazione del dovere di diligenza del buon padre di famiglia, sarà tenuto all’eventuale risarcimento dei danni. Trattandosi di obblighi derivanti dalla legge, l’esecutore testamentario al fine di liberarsi dalla responsabilità, deve dimostrare di non essere stato in colpa, o che l’evento dannoso è derivato da causa estranea a lui non imputabile[12].

Inoltre, nel caso in cui il testatore abbia nominato più esecutori testamentari, il legislatore espressamente prevede che essi rispondano solidalmente per la gestione comune (art. 709, terzo comma, c.c.).

Infine, nel caso di gravi irregolarità nell’adempimento dei suoi obblighi, di inidoneità all’ufficio o per aver commesso azione che ne menomi la fiducia, oltre all’eventuale azione di risarcimento del danno, l’autorità giudiziaria può esonerare l’esecutore testamentario dal suo ufficio, dietro apposita istanza di ogni interessato (art. 710, primo comma, c.c.).

In tal caso, l’autorità giudiziaria, prima di provvedere, deve sentire l’esecutore e può disporre opportuni accertamenti (art. 710, secondo comma, c.c.).

5. Sulla cessazione dall’ufficio

L’ufficio di esecutore testamentario può cessare per varie cause: esaurimento dei compiti, morte o perdita della piena capacità di obbligarsi dell’esecutore senza che siano state disposte sostituzioni, rinuncia all’incarico, impossibilità oggettivamente non imputabile all’esecutore, esonero disposto dal giudice ai sensi dell’art. 710 c.c.[13].

In particolare, per quanto riguarda l’ipotesi di morte dell’esecutore, la Corte di Cassazione ha avuto modo di specificare appunto che “l’ufficio di diritto privato dell’esecutore testamentario - cui l’art. 704 c.c. attribuisce la veste di litisconsorte necessario con l’erede nelle azioni concernenti l’eredità - viene a cessare con la morte della persona nominata, senza che ciò comporti l’interruzione del processo e la riassunzione nei confronti degli eredi dell’ esecutore ovvero del custode dei beni ereditari successivamente nominato a tale incarico”[14].

Non è invece prevista dalla legge la cessazione dell’ufficio per decorso del tempo: è stabilito, però, dall’art. 703, terzo comma, c.c. che il possesso dei beni ereditari non possa durare per più di un anno, rinnovabile per un altro anno dal giudice per evidente necessità, dall’accettazione.

Giova infine ricordare che l’eventuale restituzione del possesso da parte dell’esecutore testamentario non significa comunque necessariamente cessazione dell’ufficio (CRISCUOLI[15]; contra, CICU). Si tratta infatti di una conseguenza possibile ma non automatica, in quanto i poteri ed i compiti dell’esecutore non si esauriscono in quelli strettamente connessi al possesso della massa ereditaria.



[1] Non è quindi condivisibile l’opinione per la quale la costituzione dell’ufficio dell’esecutore è riconducibile ad un contratto: infatti, la nascita di questo ufficio è un “super - effetto’ che dipende dal combinarsi dell’effetto della disposizione testamentaria di nomina con quello tipico dell’accettazione del designato.

[2] Inoltre, il testatore può autorizzare l’esecutore testamentario a sostituire altri a se stesso, qualora egli non possa continuare nell’ufficio (art. 700, terzo comma, c.c.).

[3] Cass. civ. Sez. II, 27-04-1993, n. 4930; in Vita Notar., 1993, 1452, Riv. Notar., 1994, 183, Giur. It., 1994, I,1, 1070 e Nuova Giur. Civ., 1994, I, 289 nota di MAGNI.

[4] CUFFARO, Gli esecutori testamentari, in Trattato Rescigno 6, II, Utet, Torino 1982.

[5] La rinuncia soggiace alle stesse modalità formali previste per l’accettazione, ossia deve effettuarsi tramite dichiarazione alla Cancelleria del Tribunale nella cui giurisdizione si è aperta la successione con conseguente annotazione nel registro delle successioni.

[6] TRIMARCHI V. M., "Esecutore testamentario", in Enc. Dir. XV, Giuffrè, Milano 1966.

[7] Sull’eventuale natura giuridica di tale retribuzione, in dottrina si ritiene che non si tratti comunque di un debito a carico dell’eredità.

[8] Cass. civ. Sez. II, 30-08-2004, n. 17382, in Notariato, 2004, 582.

[9] Cass. civ. Sez. II, 30-08-2004, n. 17382, in Guida al Diritto, 2004, 36, 36 nota di LEO.

[10] Tuttavia, stabilisce il legislatore che “il possesso non può durare più di un anno dalla dichiarazione di accettazione, salvo che l’autorità giudiziaria, per motivi di evidente necessità, sentiti gli eredi, ne prolunghi la durata, che non potrà mai superare un altro anno” (art. 703, terzo comma, c.c.). Sul rapporto tra il possesso dei beni ereditari e il termine dall’accettazione dell’incarico si è pronunciata anche la Suprema Corte, sottolineando che “l’esecutore testamentario non acquista il possesso dei beni ereditari ipso iure con l’accettazione dell’incarico, dovendo richiederlo all’erede. Ove, pertanto, egli non sia in grado di entrare nel possesso dei beni ereditari - avvenga ciò per rifiuto dell’erede di procedere alla consegna dei beni stessi o per altre contestazioni dallo stesso sollevate - non può porsi a carico dell’esecutore l’impossibilità, dovuta a fatto a lui non imputabile, di esercitare le sue funzioni ed in tal caso il termine di un anno dalla dichiarazione di accettazione, previsto dall’art. 703 c.c., non potrà cominciare a decorrere se non dal momento in cui sarà cessata la causa dell’impedimento” (Cass. civ. Sez. II, 27-01-1995, n. 995, in Mass. Giur. It., 1995).

[11] Sulla base della stessa disposizione normativa (art. 709 c.c.), il legislatore opportunamente specifica che l’esecutore testamentario sarà tenuto a presentare il proprio conto della gestione anche trascorso un anno dalla morte del testatore, se la gestione stessa si prolunga oltre tale periodo.

[12]MANCA, Degli esecutori testamentari, in Codice civile. Libro delle successioni per causa di morte e delle donazioni. Comm. dir. da M. D’Amelio, Firenze, 1941, p. 654.

[13] BONILINI, "Esecutore testamentario", in Digesto delle disciplina privatistiche Sez. Civ. IV, Utet, Torino 1989.

[14] Cass. civ. Sez. II, 05-07-1996, n. 6143, in Mass. Giur. It., 1996.

[15] CRISCUOLI, Il testamento, Cedam, Padova 1995.