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L’azione sociale di responsabilità del socio nei confronti degli amministratori

SOMMARIO:

1. Sui profili procedurali dell’azione ex art. 2393 bis c.c.;

2. Sulle condizioni di esercibilità: la responsabilità degli amministratori nelle s.p.a. e il criterio della diligenza;

3. Sui limiti alla responsabilità ed il rischio della cd. businnes judgment rule

1. Sui profili procedurali dell’azione ex art. 2393 bis c.c.

In base all’art. 2393 bis c.c. di recente introduzione, l’azione sociale di responsabilità può essere fatta valere anche dai soci che rappresentano almeno un quinto (20%) del capitale sociale o almeno un ventesimo se si tratta di società “aperte”, che fanno cioè ricorso al mercato del capitale di rischio (salvo diversa misura – ma mai superiore al terzo – indicata nello statuto) [1].

La società è parte necessaria del giudizio, che viene gestito dai soci mediante la nomina, a maggioranza del capitale posseduto, di uno o più rappresentanti comuni che esercitano l’azione e compiono gli atti conseguenti (art. 2393 bis comma 4).

In caso di successo, la società rimborsa ai soci integralmente le spese di lite e beneficia del risarcimento (art. 2393 bis comma 5).

Sempre a favore della società vanno i proventi di una eventuale transazione della lite con gli amministratori.

Anche in questo caso, la rinuncia e la transazione possono essere oggetto di opposizione in sede assembleare da parte di una minoranza qualificata di soci, esattamente come avviene nel caso dell’azione promossa dalla società (art. 2393 bis comma 6) [2].

2. Sulle condizioni di esercibilità: la responsabilità degli amministratori nelle s.p.a. e il criterio della diligenza

In base all’art. 2392 c.c., gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Tale responsabilità trae fondamento quindi dal rapporto contrattuale che si instaura, all’atto della nomina dell’amministratore, tra quest’ultimo e la società e si ricollega quindi alla violazione di specifici obblighi di natura legale o pattizia [3].

In particolare, l’oggetto della responsabilità degli amministratori verso la società attiene essenzialmente alla violazione di obblighi posti dalla legge o dallo statuto per colpa in committendo o in vigilando in ordine all’andamento della gestione.

Tuttavia, non sono espressamente previsti dal legislatore, neanche in via esemplificativa, le tipologie di violazioni idonee a fondare la responsabilità degli amministratori e, del resto, la nozione legislativa rimanda, come visto, genericamente ai precetti previsti dalla legge o dallo statuto [4].

Solo in via giurisprudenziale, dunque, è possibile delineare alcune fattispecie ritenute tipiche di responsabilità amministrativa come, ad esempio, nell’ipotesi di irregolarità contabili, cioè nel caso di tenuta irregolare e sommaria dei libri e delle scritture contabili [5].

Altro esempio emblematico è costituito inoltre dall’inadempimento di obbligazioni fiscali e previdenziali, nonché dall’ipotesi di sottrazione di valori sociali. Parte rilevante della Giurisprudenza, ha tuttavia avuto modo di esprimere alcuni dubbi sulla configurabilità di quest’ultima ipotesi come forma di responsabilità degli amministratori (v. Cass. civ., 9 luglio 1987, n. 5989).

La responsabilità dell’amministratore può anche derivare infine, e comunque solo a titolo esemplificativo, dell’eventuale omissione di tutte quelle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste per la scelta di una certa operazione economica, operata in certe circostanze e con determinate modalità [6].

Inoltre, il legislatore indica espressamente come preciso e fondamentale parametro di valutazione del comportamento degli amministratori il criterio della diligenza “specifica”.

Infatti, anche la Suprema Corte ritiene che “gli amministratori delle società per azioni sono gravati dagli obblighi a contenuto specifico stabiliti dalla legge e dall’atto costitutivo, rispetto ai quali la diligenza rappresenta la misura dell’impegno richiesto, e dal dovere generale di amministrare la società con diligenza. Di conseguenza, l’agire diligente ex artt. 2392 e 1176 del codice civile vale certamente ad escludere la responsabilità per violazione del generale dovere di buona amministrazione, atteso che proprio la diligenza costituisce l’oggetto di quest’ultimo, ma non è sufficiente, di per sé, ad escludere l’inadempimento degli obblighi specificamente imposti dalla legge o dall’atto costitutivo” [7].

Gli oneri posti a carico degli amministratori sembrano dunque essere particolarmente stringenti; non basta la diligenza dell’uomo medio, occorre la diligenza del buon amministratore determinata non in astratto, ma in funzione della natura dell’incarico e delle specifiche competenza dell’amministratore.

In altre parole, per determinare la diligenza dovuta si dovranno considerare la dimensione della società, la tipologia di quest’ultima e le qualità individuali dell’amministratore che hanno costituito la base per la sua nomina [8].

Il livello di diligenza dovuto sarà tanto più elevato al crescere della dimensione e della complessità dell’impresa gestita, tenendo conto anche delle capacità individuali degli amministratori.

A titolo di esempio, l’erronea valutazione degli effetti di un contratto potrà produrre conseguenze diverse a seconda della maggiore o minore esperienza dell’amministratore in quella specifica materia contrattuale [9].

3. Sui limiti alla responsabilità ed il rischio della cd. businnes judgment rule

Esistono comunque dei limiti alla responsabilità degli amministratori. In particolare, le violazioni degli amministratori devono tradursi pur sempre in una infrazione agli obblighi giuridici gravanti sui gestori del patrimonio sociale, ai quali non potrebbe invece mai essere imputato, a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte infelici dal punto di vista economico.

Infatti, la valutazione sulle scelte economiche – gestionali degli amministratori attiene unicamente alla sfera dell’opportunità e dunque alla discrezionalità amministrativa [10].

Ne consegue che la responsabilità dell’amministratore non può essere semplicemente desunta dai risultati di gestione e che, perciò, al giudice investito della questione non è nemmeno consentito di sindacare i criteri di opportunità e di convenienza seguiti dall’amministratore nell’espletamento dei suoi compiti [11].

Sostanzialmente conforme è, in proposito, anche l’opinione dominante della dottrina, la quale nondimeno paventa spesso il rischio di uno sconfinamento giurisprudenziale nel terreno della cd. businnes judgment rule, ossia di un giudizio di responsabilità che possa di fatto investire il merito e l’opportunità delle scelte compiute dagli amministratori.

Sotto il profilo poi del danno, l’opinione ormai dominante in Giurisprudenza ritiene che “la società che agisce contro il proprio amministratore con l’azione di responsabilità ex art. 2392 del codice civile deve allegare l’inadempimento lamentato e provare che da quell’inadempimento sia derivato alla società un danno patrimoniale. Non di tutti i danni, infatti, rispondono gli amministratori, ma soltanto di quelli che siano conseguenza immediata e diretta della loro attività” [12].

Quindi, a carico, del socio grava l’onere probatorio non solo dell’inadempimento, ma anche del conseguente danno patrimoniale arrecato alla società stessa, con l’importante precisazione della rilevanza solo dei danni che siano conseguenza immediata e diretta della violazione amministrativa.

Nello stesso senso, anche nella Giurisprudenza di merito, si ritiene che “in tema di responsabilità degli amministratori di società per azioni ex art. 2392 c.c. prev., l’eventuale esistenza di una denunciata violazione di legge (nella fattispecie della violazione delle prescrizioni stabilite in materia di regolare tenuta della contabilità e di fedele rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del suo andamento economico) non costituiscono presupposto sufficiente all’accertamento di una responsabilità risarcitoria degli amministratori, se non si accompagna alla prova che da tali e siffatte violazioni siano direttamente derivati pregiudizi al patrimonio sociale.” [13].



[1] In realtà, una previsione simile a quella in commento era già stata introdotta, nel nostro sistema normativo, dall’art. 129 del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (cd. Testo Unico della Finanza), che ha introdotto l’azione sociale di minoranza nelle società quotate, consentendo che, in tali società, l’azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali potesse essere promossa anche da una minoranza qualificata di soci. Nella riforma organica del diritto societario attuata con il recente d.lgs. n. 6 del 2003, tale azione di responsabilità ha trovato ingresso anche nel codice civile, nell’art. 2393 bis c.c., sebbene con alcune differenze di minimo rilievo. In particolare, mentre nell’art. 129 del Testo Unico erano previste alcune limitazioni, per la proponibilità dell’azione, nei confronti di quei soci che non fossero iscritti nei libri sociali da almeno sei mesi. Con la nuova disposizioni, tali limitazioni sono invece tete espunte, residuando unicamente la previsione di una quota di partecipazione minima. V. RUPERTO, La giurisprudenza sul codice civile, art. 2393 bis c.c., Milano, 2005, p. 2533.

[2] AA.VV., Diritto delle società, Milano, 2004, p.228.

[3] Cass. civ., 9 luglio 1987, n. 5989 con nota di SCOGNAMIGLIO, Osservazioni in tema di illecito dell’amministratore e azione sociale di responsabilità .

[4] RUPERTO, La giurisprudenza sul codice civile, art. 2393 bis c.c., Milano, 2005, p. 2533.

[5] Cass. civ., 9 luglio 1979, n. 3925; Cass. civ., 23 aprile 2003, n. 6471.

[6] Cass.civ., 28 aprile 1997, n. 3652 con nota adesiva di FIGONE, Foro It., 1998, I, p. 3247 e Trib. Milano 20 marzo 2003, Società, 2003, p. 1268.

[7] Cass. civ. Sez. I, 23-03-2004, n. 5718, Impresa, 2004, 1612 nota di BOLOGNESI.

[8] AA.VV., Diritto delle società, Milano, 2004, p.228.

[9] AA.VV., Diritto delle società, Milano, 2004, p.228.

[10] Eventualmente potrebbe rilevare unicamente come giusta causa di revoca dell’amministratore dalla carica, ma mai come fonte di una responsabilità contrattuale dell’amministratore nei confronti della società. RUPERTO, La giurisprudenza sul codice civile, art. 2393 bis c.c., Milano, 2005, p. 2533

[11] Cass. civ., 27 luglio 1978, n. 3768, Giur Comm, 1980, II, p. 904.

[12] Cass. civ. Sez. I, 23-02-2005, n. 3774, in Impresa, 2005, 1591.

[13] App. Milano, 13-02-2004, in Società, 2004, 1530 nota di SPALTRO.

SOMMARIO:

1. Sui profili procedurali dell’azione ex art. 2393 bis c.c.;

2. Sulle condizioni di esercibilità: la responsabilità degli amministratori nelle s.p.a. e il criterio della diligenza;

3. Sui limiti alla responsabilità ed il rischio della cd. businnes judgment rule

1. Sui profili procedurali dell’azione ex art. 2393 bis c.c.

In base all’art. 2393 bis c.c. di recente introduzione, l’azione sociale di responsabilità può essere fatta valere anche dai soci che rappresentano almeno un quinto (20%) del capitale sociale o almeno un ventesimo se si tratta di società “aperte”, che fanno cioè ricorso al mercato del capitale di rischio (salvo diversa misura – ma mai superiore al terzo – indicata nello statuto) [1].

La società è parte necessaria del giudizio, che viene gestito dai soci mediante la nomina, a maggioranza del capitale posseduto, di uno o più rappresentanti comuni che esercitano l’azione e compiono gli atti conseguenti (art. 2393 bis comma 4).

In caso di successo, la società rimborsa ai soci integralmente le spese di lite e beneficia del risarcimento (art. 2393 bis comma 5).

Sempre a favore della società vanno i proventi di una eventuale transazione della lite con gli amministratori.

Anche in questo caso, la rinuncia e la transazione possono essere oggetto di opposizione in sede assembleare da parte di una minoranza qualificata di soci, esattamente come avviene nel caso dell’azione promossa dalla società (art. 2393 bis comma 6) [2].

2. Sulle condizioni di esercibilità: la responsabilità degli amministratori nelle s.p.a. e il criterio della diligenza

In base all’art. 2392 c.c., gli amministratori devono adempiere i doveri ad essi imposti dalla legge e dallo statuto con la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico e dalle loro specifiche competenze.

Tale responsabilità trae fondamento quindi dal rapporto contrattuale che si instaura, all’atto della nomina dell’amministratore, tra quest’ultimo e la società e si ricollega quindi alla violazione di specifici obblighi di natura legale o pattizia [3].

In particolare, l’oggetto della responsabilità degli amministratori verso la società attiene essenzialmente alla violazione di obblighi posti dalla legge o dallo statuto per colpa in committendo o in vigilando in ordine all’andamento della gestione.

Tuttavia, non sono espressamente previsti dal legislatore, neanche in via esemplificativa, le tipologie di violazioni idonee a fondare la responsabilità degli amministratori e, del resto, la nozione legislativa rimanda, come visto, genericamente ai precetti previsti dalla legge o dallo statuto [4].

Solo in via giurisprudenziale, dunque, è possibile delineare alcune fattispecie ritenute tipiche di responsabilità amministrativa come, ad esempio, nell’ipotesi di irregolarità contabili, cioè nel caso di tenuta irregolare e sommaria dei libri e delle scritture contabili [5].

Altro esempio emblematico è costituito inoltre dall’inadempimento di obbligazioni fiscali e previdenziali, nonché dall’ipotesi di sottrazione di valori sociali. Parte rilevante della Giurisprudenza, ha tuttavia avuto modo di esprimere alcuni dubbi sulla configurabilità di quest’ultima ipotesi come forma di responsabilità degli amministratori (v. Cass. civ., 9 luglio 1987, n. 5989).

La responsabilità dell’amministratore può anche derivare infine, e comunque solo a titolo esemplificativo, dell’eventuale omissione di tutte quelle cautele, verifiche ed informazioni preventive normalmente richieste per la scelta di una certa operazione economica, operata in certe circostanze e con determinate modalità [6].

Inoltre, il legislatore indica espressamente come preciso e fondamentale parametro di valutazione del comportamento degli amministratori il criterio della diligenza “specifica”.

Infatti, anche la Suprema Corte ritiene che “gli amministratori delle società per azioni sono gravati dagli obblighi a contenuto specifico stabiliti dalla legge e dall’atto costitutivo, rispetto ai quali la diligenza rappresenta la misura dell’impegno richiesto, e dal dovere generale di amministrare la società con diligenza. Di conseguenza, l’agire diligente ex artt. 2392 e 1176 del codice civile vale certamente ad escludere la responsabilità per violazione del generale dovere di buona amministrazione, atteso che proprio la diligenza costituisce l’oggetto di quest’ultimo, ma non è sufficiente, di per sé, ad escludere l’inadempimento degli obblighi specificamente imposti dalla legge o dall’atto costitutivo” [7].

Gli oneri posti a carico degli amministratori sembrano dunque essere particolarmente stringenti; non basta la diligenza dell’uomo medio, occorre la diligenza del buon amministratore determinata non in astratto, ma in funzione della natura dell’incarico e delle specifiche competenza dell’amministratore.

In altre parole, per determinare la diligenza dovuta si dovranno considerare la dimensione della società, la tipologia di quest’ultima e le qualità individuali dell’amministratore che hanno costituito la base per la sua nomina [8].

Il livello di diligenza dovuto sarà tanto più elevato al crescere della dimensione e della complessità dell’impresa gestita, tenendo conto anche delle capacità individuali degli amministratori.

A titolo di esempio, l’erronea valutazione degli effetti di un contratto potrà produrre conseguenze diverse a seconda della maggiore o minore esperienza dell’amministratore in quella specifica materia contrattuale [9].

3. Sui limiti alla responsabilità ed il rischio della cd. businnes judgment rule

Esistono comunque dei limiti alla responsabilità degli amministratori. In particolare, le violazioni degli amministratori devono tradursi pur sempre in una infrazione agli obblighi giuridici gravanti sui gestori del patrimonio sociale, ai quali non potrebbe invece mai essere imputato, a titolo di responsabilità ex art. 2392 c.c. di aver compiuto scelte infelici dal punto di vista economico.

Infatti, la valutazione sulle scelte economiche – gestionali degli amministratori attiene unicamente alla sfera dell’opportunità e dunque alla discrezionalità amministrativa [10].

Ne consegue che la responsabilità dell’amministratore non può essere semplicemente desunta dai risultati di gestione e che, perciò, al giudice investito della questione non è nemmeno consentito di sindacare i criteri di opportunità e di convenienza seguiti dall’amministratore nell’espletamento dei suoi compiti [11].

Sostanzialmente conforme è, in proposito, anche l’opinione dominante della dottrina, la quale nondimeno paventa spesso il rischio di uno sconfinamento giurisprudenziale nel terreno della cd. businnes judgment rule, ossia di un giudizio di responsabilità che possa di fatto investire il merito e l’opportunità delle scelte compiute dagli amministratori.

Sotto il profilo poi del danno, l’opinione ormai dominante in Giurisprudenza ritiene che “la società che agisce contro il proprio amministratore con l’azione di responsabilità ex art. 2392 del codice civile deve allegare l’inadempimento lamentato e provare che da quell’inadempimento sia derivato alla società un danno patrimoniale. Non di tutti i danni, infatti, rispondono gli amministratori, ma soltanto di quelli che siano conseguenza immediata e diretta della loro attività” [12].

Quindi, a carico, del socio grava l’onere probatorio non solo dell’inadempimento, ma anche del conseguente danno patrimoniale arrecato alla società stessa, con l’importante precisazione della rilevanza solo dei danni che siano conseguenza immediata e diretta della violazione amministrativa.

Nello stesso senso, anche nella Giurisprudenza di merito, si ritiene che “in tema di responsabilità degli amministratori di società per azioni ex art. 2392 c.c. prev., l’eventuale esistenza di una denunciata violazione di legge (nella fattispecie della violazione delle prescrizioni stabilite in materia di regolare tenuta della contabilità e di fedele rappresentazione della situazione patrimoniale e finanziaria della società e del suo andamento economico) non costituiscono presupposto sufficiente all’accertamento di una responsabilità risarcitoria degli amministratori, se non si accompagna alla prova che da tali e siffatte violazioni siano direttamente derivati pregiudizi al patrimonio sociale.” [13].



[1] In realtà, una previsione simile a quella in commento era già stata introdotta, nel nostro sistema normativo, dall’art. 129 del d.lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 (cd. Testo Unico della Finanza), che ha introdotto l’azione sociale di minoranza nelle società quotate, consentendo che, in tali società, l’azione di responsabilità nei confronti degli organi sociali potesse essere promossa anche da una minoranza qualificata di soci. Nella riforma organica del diritto societario attuata con il recente d.lgs. n. 6 del 2003, tale azione di responsabilità ha trovato ingresso anche nel codice civile, nell’art. 2393 bis c.c., sebbene con alcune differenze di minimo rilievo. In particolare, mentre nell’art. 129 del Testo Unico erano previste alcune limitazioni, per la proponibilità dell’azione, nei confronti di quei soci che non fossero iscritti nei libri sociali da almeno sei mesi. Con la nuova disposizioni, tali limitazioni sono invece tete espunte, residuando unicamente la previsione di una quota di partecipazione minima. V. RUPERTO, La giurisprudenza sul codice civile, art. 2393 bis c.c., Milano, 2005, p. 2533.

[2] AA.VV., Diritto delle società, Milano, 2004, p.228.

[3] Cass. civ., 9 luglio 1987, n. 5989 con nota di SCOGNAMIGLIO, Osservazioni in tema di illecito dell’amministratore e azione sociale di responsabilità .

[4] RUPERTO, La giurisprudenza sul codice civile, art. 2393 bis c.c., Milano, 2005, p. 2533.

[5] Cass. civ., 9 luglio 1979, n. 3925; Cass. civ., 23 aprile 2003, n. 6471.

[6] Cass.civ., 28 aprile 1997, n. 3652 con nota adesiva di FIGONE, Foro It., 1998, I, p. 3247 e Trib. Milano 20 marzo 2003, Società, 2003, p. 1268.

[7] Cass. civ. Sez. I, 23-03-2004, n. 5718, Impresa, 2004, 1612 nota di BOLOGNESI.

[8] AA.VV., Diritto delle società, Milano, 2004, p.228.

[9] AA.VV., Diritto delle società, Milano, 2004, p.228.

[10] Eventualmente potrebbe rilevare unicamente come giusta causa di revoca dell’amministratore dalla carica, ma mai come fonte di una responsabilità contrattuale dell’amministratore nei confronti della società. RUPERTO, La giurisprudenza sul codice civile, art. 2393 bis c.c., Milano, 2005, p. 2533

[11] Cass. civ., 27 luglio 1978, n. 3768, Giur Comm, 1980, II, p. 904.

[12] Cass. civ. Sez. I, 23-02-2005, n. 3774, in Impresa, 2005, 1591.

[13] App. Milano, 13-02-2004, in Società, 2004, 1530 nota di SPALTRO.