Publio Cornelio Tacito (55-117) - ANNALI

Libro Sedicesimo

XXIII. La condanna fu fatta a bella posta coincidere col momento in cui giungeva a Roma Tiridate per ricevere la corona d’Armenia, o perché essendo la pubblica attenzione tutta rivolta alla politica estera il delitto interno passasse inosservato, o perché Nerone volesse ostentare la propria imperiale potenza con l’uccisione di uomini illustri, azione veramente degna di un re.

XXIV. Pertanto, mentre l’intera Roma si riversava ad accogliere l’imperatore e a vedere il re, Trasea, invitato a non recarsi incontro a Nerone, non si abbatté, ma indirizzò al principe un memoriale, chiedendo che gli venissero notificati i capi d’accusa e affermando che avrebbe dimostrato la propria innocenza sol che avesse conosciuto le imputazioni e avuto la possibilità di confutarle. Nerone lesse quella lettera con viva premura, nella speranza che Trasea, sotto la morsa della paura, avesse scritto cose che potessero esaltare la grandezza del principe e compromettere la sua chiara reputazione. Poiché ciò non avvenne e fu lui anzi a dover temere piu ancora di prima il coraggio, la fierezza, l’indipendenza di quell’innocente, ordinò che si convocasse il senato.

XXV. Trasea si consultava frattanto con i piu fidi sull’opportunità di tentare una difesa o di sdegnarla. I pareri erano discordi. Quelli che sostenevano doversi egli presentare in curia si proclamavano sicuri della sua forza d’animo: nulla egli avrebbe detto che non portasse luce alla sua gloria. Solo gli uomini deboli e timorosi si cingono di mistero negli ultimi momenti: ora il popolo avrebbe visto un vero uomo affrontare la morte, e il senato avrebbe udito parole sovrumane, quasi dette da un dio. Lo stesso Nerone di fronte a un tale prodigio si sarebbe forse commosso. E ove avesse insistito nella sua crudeltà, il ricordo di una morte onorata sarebbe certo rifulso in avvenire, contro il supino abbandono di quanti morivano tacendo.

XXVI. Neppure quanti reputavano, al contrario, che Trasea dovesse attendere in casa la sentenza dubitavano del suo contegno, ma pensavano agli affronti e agli oltraggi che lo attendevano; era meglio risparmiare le orecchie da scherni e da insulti villani. Cossuziano ed Eprio non erano i soli a essere disposti al i delitto; molta gente era ancora capace di giungere brutalmente alla violenza e alle percosse; e anche i buoni, per paura, avrebbero potuto seguirli. Evitasse quindi al senato, cui aveva dato tanto lustro, la vergogna di un tale scandalo, e lasciasse nel mistero ciò che avrebbero deliberato i senatori se avessero avuto Trasea davanti agli occhi come imputato. Che Nerone potesse esser sopraffatto dalla vergogna dei propri delitti era una speranza vana; era assai piu da temere invece ch’egli sfogasse il suo odio contro la moglie, la figlia, le altre persone care a Trasea. Senza svilirsi e contaminarsi quindi, mirasse egli a una fine degna della gloria di coloro sulle cui orme e nel cui modello era vissuto. Alla discussione era presente Rustico Aruleno, giovane dall’animo fervido, che, bramoso di gloria, si offri di porre il veto, come tribuno della plebe, al decreto di condanna del senato. Ma Trasea ne placò gli spiriti, impedendogli di intraprendere un’azione vana e senza esito per l’imputato, che avrebbe tratto lui a sicura rovina. Egli aveva ormai vissuto abbastanza e non doveva abbandonare, ora, una linea di condotta fedelmente seguita per tanti anni; Rustico era invece all’inizio della carriera pubblica e il suo futuro restava ancora impregiudicato. Meditasse bene, piuttosto, sul cammino da intraprendere, iniziando in cosi difficili circostanze la vita politica. Quanto alla opportunità di recarsi o no in senato, si riservò di riflettervi.

[Traduzione di Annamaria Rindi, Milano, Edizioni per il Club del Libro, 1965, pp. 417-418].

Libro Sedicesimo

XXIII. La condanna fu fatta a bella posta coincidere col momento in cui giungeva a Roma Tiridate per ricevere la corona d’Armenia, o perché essendo la pubblica attenzione tutta rivolta alla politica estera il delitto interno passasse inosservato, o perché Nerone volesse ostentare la propria imperiale potenza con l’uccisione di uomini illustri, azione veramente degna di un re.

XXIV. Pertanto, mentre l’intera Roma si riversava ad accogliere l’imperatore e a vedere il re, Trasea, invitato a non recarsi incontro a Nerone, non si abbatté, ma indirizzò al principe un memoriale, chiedendo che gli venissero notificati i capi d’accusa e affermando che avrebbe dimostrato la propria innocenza sol che avesse conosciuto le imputazioni e avuto la possibilità di confutarle. Nerone lesse quella lettera con viva premura, nella speranza che Trasea, sotto la morsa della paura, avesse scritto cose che potessero esaltare la grandezza del principe e compromettere la sua chiara reputazione. Poiché ciò non avvenne e fu lui anzi a dover temere piu ancora di prima il coraggio, la fierezza, l’indipendenza di quell’innocente, ordinò che si convocasse il senato.

XXV. Trasea si consultava frattanto con i piu fidi sull’opportunità di tentare una difesa o di sdegnarla. I pareri erano discordi. Quelli che sostenevano doversi egli presentare in curia si proclamavano sicuri della sua forza d’animo: nulla egli avrebbe detto che non portasse luce alla sua gloria. Solo gli uomini deboli e timorosi si cingono di mistero negli ultimi momenti: ora il popolo avrebbe visto un vero uomo affrontare la morte, e il senato avrebbe udito parole sovrumane, quasi dette da un dio. Lo stesso Nerone di fronte a un tale prodigio si sarebbe forse commosso. E ove avesse insistito nella sua crudeltà, il ricordo di una morte onorata sarebbe certo rifulso in avvenire, contro il supino abbandono di quanti morivano tacendo.

XXVI. Neppure quanti reputavano, al contrario, che Trasea dovesse attendere in casa la sentenza dubitavano del suo contegno, ma pensavano agli affronti e agli oltraggi che lo attendevano; era meglio risparmiare le orecchie da scherni e da insulti villani. Cossuziano ed Eprio non erano i soli a essere disposti al i delitto; molta gente era ancora capace di giungere brutalmente alla violenza e alle percosse; e anche i buoni, per paura, avrebbero potuto seguirli. Evitasse quindi al senato, cui aveva dato tanto lustro, la vergogna di un tale scandalo, e lasciasse nel mistero ciò che avrebbero deliberato i senatori se avessero avuto Trasea davanti agli occhi come imputato. Che Nerone potesse esser sopraffatto dalla vergogna dei propri delitti era una speranza vana; era assai piu da temere invece ch’egli sfogasse il suo odio contro la moglie, la figlia, le altre persone care a Trasea. Senza svilirsi e contaminarsi quindi, mirasse egli a una fine degna della gloria di coloro sulle cui orme e nel cui modello era vissuto. Alla discussione era presente Rustico Aruleno, giovane dall’animo fervido, che, bramoso di gloria, si offri di porre il veto, come tribuno della plebe, al decreto di condanna del senato. Ma Trasea ne placò gli spiriti, impedendogli di intraprendere un’azione vana e senza esito per l’imputato, che avrebbe tratto lui a sicura rovina. Egli aveva ormai vissuto abbastanza e non doveva abbandonare, ora, una linea di condotta fedelmente seguita per tanti anni; Rustico era invece all’inizio della carriera pubblica e il suo futuro restava ancora impregiudicato. Meditasse bene, piuttosto, sul cammino da intraprendere, iniziando in cosi difficili circostanze la vita politica. Quanto alla opportunità di recarsi o no in senato, si riservò di riflettervi.

[Traduzione di Annamaria Rindi, Milano, Edizioni per il Club del Libro, 1965, pp. 417-418].