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Questioni in tema di ricettazione

Elementi costitutivi e condizioni per l’applicabilità della circostanza attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 codice penale alle ipotesi di ricettazione previste dai commi 1 e 2 dell’articolo 648
Sommario degli argomenti:

Elementi costitutivi del delitto di ricettazione.

Compatibilità tra l’ipotesi ex articolo 648 comma 2 codice penale e l’attenuante ex articolo 62 n. 4.

Condizioni per l’applicabilità della circostanza ex articolo 62 n. 4 al delitto di ricettazione in generale.

Il delitto di ricettazione, previsto e punito dall’articolo 648 del codice penale e collocato nella sistematica del codice tra i delitti contro il patrimonio mediante frode, ha come peculiarità l’essere collegato non con il patrimonio della vittima bensì con la cosa acquisita attraverso il reato presupposto, caratteristica che ne rende difficoltosa l’individuazione dell’oggettività giuridica.

Controverso è dunque l’interesse tutelato da tale previsione normativa, registrandosi sul punto due orientamenti principali.

Il primo (sostenuto in dottrina, ad esempio, da Antolisei e Mantovani) ritiene si tratti di reato plurioffensivo, lesivo sia del patrimonio che degli interessi della giustizia, in quanto renderebbe più difficile l’accertamento del reato presupposto e la punizione dei colpevoli.

Il secondo orientamento (in particolare Pecorella e Fiandaca-Musco) individua invece l’oggetto della tutela penale in un interesse esclusivamente patrimoniale, rinvenendo l’interesse protetto nel patrimonio della vittima.

In sostanza comunque l’incriminazione in esame mira ad impedire che, verificatosi un delitto, persone diverse da coloro che lo hanno commesso si interessino delle cose provenienti dallo stesso.

La ricettazione è reato comune: soggetto attivo della ricettazione è chiunque acquisti, riceva od occulti le cose menzionate dall’articolo 648 o si intrometta comunque per farle acquistare, ricevere od occultare.

Dal novero dei soggetti attivi sono però esclusi l’autore del reato presupposto, i concorrenti nello stesso, per effetto della espressa clausola di riserva contenuta nell’articolo 648 comma 1 (“fuori dei casi di concorso nel reato”), nonché il danneggiato dal reato (per l’ovvia ragione che egli riacquista la cosa che gli appartiene) ed il proprietario della cosa che, esercitando il diritto al mantenimento della proprietà, conserva la disponibilità della cosa anche se da altri legittimamente posseduta. Pertanto il delitto in esame deve annoverarsi, secondo il prevalente orientamento, tra i reati a c.d. soggettività ristretta.

L’articolo 648 indica due tipologie di ricettazione, la ricettazione vera e propria e la c.d. intermediazione nella ricettazione: si tratta quindi di un reato c.d. a condotte equivalenti, cioè alternative.

Tale delitto rientra inoltre tra i reati a forma vincolata, in quanto la condotta incriminata è descritta in maniera dettagliata dalla norma, potendo consistere nell’acquisto, ricezione, occultamento delle cose di provenienza illecita ovvero nell’intromissione per farle acquistare, ricevere od occultare.

L’oggetto materiale della ricettazione è costituito da denaro o cose di provenienza illecita (“provenienti da un qualsiasi delitto”). Si ritiene per lo più che tale concetto ricomprenda tutto ciò che si ricollega al fatto criminoso, quindi il profitto, il prezzo, il prodotto del reato e ogni altra cosa che è servita a commettere il fatto.

La ricettazione presuppone sempre la commissione di un altro reato (cd. delitto presupposto); secondo l’opinione dominante può trattarsi di delitto doloso o colposo, anche non rientrante necessariamente tra i reati contro il patrimonio, consumato o tentato, ma non di contravvenzione, né di illecito amministrativo o civile.

Pur avendo la ricettazione acquistato, nel codice vigente, piena autonomia rispetto al reato presupposto, tra i due delitti rimane un rapporto di accessorietà.

Il delitto presupposto deve essere dunque effettivamente avvenuto e deve essere qualificabile oggettivamente in termini di illecito, non essendo punibile una ricettazione putativa.

Non si richiede che il delitto presupposto sia stato accertato giudizialmente con sentenza passata in giudicato, essendo sufficiente che l’esistenza di esso risulti con certezza dagli atti del processo. L’elemento soggettivo della ricettazione consiste sia nella volontarietà del fatto di acquistare, ricevere, occultare o intromettersi, che nella generica consapevolezza della provenienza illecita del denaro o delle cose (dolo generico).

L’elemento soggettivo della ricettazione è inoltre arricchito dal dolo specifico, essendo necessaria la sussistenza di un fine ulteriore rispetto al fatto, cioè il fine di procurare a sé o ad altri un profitto, termine col quale si deve intendere qualsiasi utilità o vantaggio, non solo di natura patrimoniale od economica.

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno recentemente affermato (Sentenza 26 novembre 2009/30 marzo 2010) che la ricettazione può essere sorretta anche da un dolo eventuale, precisando che esso non può desumersi da semplici motivi di sospetto e non può consistere in un mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto (per commenti sul punto si rinvia a www.reatisocietari.it).

La ricettazione è considerata per lo più reato istantaneo ad effetti permanenti.

Il reato si consuma quando una delle condotte indicate nella norma può dirsi realizzata; relativamente all’acquisto è ritenuto per lo più momento consumativo il momento dell’accordo tra cedente ed acquirente, secondo le regole civilistiche; nell’ipotesi di intromissione invece il reato è perfetto con il compimento del primo atto di mediazione, non essendo necessario il perfezionamento dell’accordo.

Al comma 2 dell’articolo 648 è prevista la circostanza attenuante speciale della particolare tenuità del fatto, introdotta dall’articolo 15 della legge 152/1975.

Secondo l’opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza tale attenuante si riferisce ad una nozione più ampia di quella di danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’articolo 62 n. 4 : pertanto per la sua applicazione non è sufficiente riferirsi solo all’effettivo danno patrimoniale subito dalla persona offesa dal reato, ma occorre valutare complessivamente l’episodio criminoso in tutte le sue componenti oggettive e soggettive.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale per l’applicazione dell’ipotesi attenuata di ricettazione occorre dunque aver riguardo al fatto nella sua globalità storico-giuridica, apprezzandone l’incidenza antigiuridica sulla base di tutti gli elementi che entrano nella componente dell’azione delittuosa, compresa la personalità dell’agente. Occorre prendere in considerazione cioè tutti i criteri di cui all’articolo 133, non essendo l’aspetto patrimoniale né esclusivo né decisivo, dato che la nozione legale del “fatto di particolare tenuità” investe tutti gli elementi integrativi del fatto reato.

In merito ai rapporti tra tale attenuante speciale e quella comune di cui all’articolo 62 n. 4, è opinione pressoché pacifica (Cassazione, Sezioni Unite, n. 13330/1989, Beggio) quella che ammette la possibilità di coesistenza e compatibilità tra le due attenuanti, a condizione che la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto, altrimenti l’attenuante comune verrebbe assorbita nell’ipotesi attenuata di cui all’articolo 648 comma 2.

Secondo l’orientamento dominante, dunque, non può operarsi il concorso tra le due circostanze qualora per l’attenuante speciale sia stato pure considerato il danno patrimoniale effettivamente arrecato, non potendosi dare rilievo per due volte al medesimo elemento: in tale ipotesi prevarrà allora l’attenuante speciale.

Poiché è opinione prevalente che il termine “fatto” usato dal legislatore al primo capoverso dell’articolo 648 non possa essere identificato con l’espressione “danno patrimoniale” di cui all’articolo 62 n. 4, avendo un significato ed un contenuto più ampi, si ritiene sia possibile che venga negata la particolare tenuità del fatto anche quando sia stata applicata l’attenuante comune dell’articolo 62 n. 4.

Quanto invece alle condizioni necessarie ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 con riferimento, in generale, al delitto di ricettazione, occorre rilevare che di tale questione si è occupata la giurisprudenza soprattutto relativamente all’ipotesi di ricettazione di assegni bancari.

Nel caso in cui oggetto del reato di ricettazione sia un assegno già compilato con l’indicazione dell’importo la giurisprudenza afferma pacificamente che, ai fini della concessione dell’attenuante in esame, per valutare l’entità del danno cagionato dal reato di ricettazione si deve tener conto dell’importo risultante dal titolo. Giurisprudenza consolidata sottolinea che la natura di titolo di credito e le obbligazioni in esso consacrate fanno assumere all’assegno i connotati di un bene dal valore economicamente apprezzabile, e ciò, con riferimento al quantum portato dallo stesso, anche agli effetti del danno patrimoniale causato dalla commissione del reato. In tal caso è da escludersi che il danno conseguente alla utilizzazione del titolo possa essere dissociato dalla condotta del colpevole e riferito invece ad una diversa e successiva attività criminosa.

Controversa, invece, è l’individuazione dei criteri di applicabilità dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 nel caso in cui oggetto della ricettazione siano moduli di assegni bancari in bianco.

Su tale dibattuta questione si sono in passato pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 10446/1984, Del Pozzo): esse hanno affermato che la questione relativa all’applicabilità dell’attenuante va risolta nel senso che la speciale tenuità del danno deve essere valutata con riferimento al valore economico che la cosa oggetto del reato ha nelle normali contrattazioni commerciali, in un determinato momento storico, senza che possa darsi rilievo ad elementi contingenti, di natura oggettiva o soggettiva, che possano influenzare la valutazione economica della cosa come tale.

Sulla base di tale principio la sopraccitata pronuncia ha affermato che, nell’ipotesi di ricettazione di assegni in bianco, ai fini della concessione o del diniego dell’attenuante in esame, la valutazione del danno patrimoniale derivante dal reato di ricettazione va effettuata in base al valore materiale dei moduli di assegni e non in base al diritto di credito incorporabile nei titoli.

Conseguenza pratica dell’accoglimento di tale scelta interpretativa consiste nell’amplissima possibilità di ricorrere all’attenuante in oggetto, dato che il valore economico intrinseco di un assegno non compilato o di un documento è assai limitato.

Si sono tuttavia registrate anche interpretazioni in contrasto con quella espressa dalle Sezioni Unite sopra richiamate.

Secondo un primo orientamento difforme, infatti, (ad esempio Cassazione Sezione II n. 4988/1991, Petrelli la sussistenza dell’attenuante in questione nella ricettazione di assegni in bianco dovrebbe essere esclusa, in ragione della potenziale utilizzazione dei titoli che conferirebbe agli stessi un valore che trascende quello della loro materialità cartacea.

Tale orientamento sostiene che occorre avere riguardo anche all’interesse generale della banca emittente al cd. valore formale del documento, per la peculiare funzione garantistica nel commercio giuridico dei titoli di credito, interesse la cui lesione è concomitante alla ricettazione, indipendentemente dall’utilizzazione concreta del titolo e dalla conseguente eventuale realizzazione di ulteriori reati.

Una seconda soluzione intepretativa difforme da quella delle Sezioni Unite sopraccitate è quella sostenuta da quelle sentenze (ad esempio Cassazione Sezione II n. 31169/2006 Pomettini) che considerano il modulo di assegno in bianco cosa priva di rilevanza economica, non potendo formare oggetto di transazioni commerciali, con la conseguenza che l’attenuante ex articolo 62 n. 4 non potrebbe trovare applicazione perché, difettando la patrimonialità della cosa, la sua acquisizione non potrebbe integrare un danno patrimoniale di speciale tenuità.

Sulla materia in esame si sono nel 2007 nuovamente pronunciate le Sezioni Unite (sentenza 35535/2007).

Tale pronuncia ha innanzitutto preso posizione rispetto alle sopraccitate soluzioni interpretative, sottolineando come esse, il più delle volte, diano luogo con argomentazioni apodittiche a soluzioni troppo radicali (o la generale applicabilità dell’attenuante in ogni caso di ricettazione di assegni in bianco, in considerazione dell’intrinseco tenue valore della cosa ricettata, o la sua totale inapplicabilità, tenuto conto della insuscettibilità di valutazione economica della cosa stessa oppure della sua potenzialità criminosa), non consentendo al giudice valutazioni discrezionali in merito alla graduazione della pena nelle fattispecie concrete.

La sentenza in oggetto afferma che la base di partenza per una corretta interpretazione dell’attenuante non può che essere la lettera dell’articolo 62 n. 4: essa fa riferimento al “danno patrimoniale di speciale tenuità” cagionato alla persona offesa dal reato e non al semplice valore della cosa ricettata. Anzi, il richiamo alla “tenuità” del danno e non alla sua semplice “entità” rende ancora più evidente che il punto di riferimento per la valutazione in merito all’applicabilità dell’attenuante non può essere il mero valore oggettivo della cosa ricettata, occorrendo invece un apprezzamento il più possibile completo del danno.

Le Sezioni Unite affermano che, agli effetti dell’attenuante in questione ciò che rileva è il danno cagionato dal reato, il quale, nel suo significato più proprio, è quello giuridicamente considerabile, cioè quello per cui è data l’azione di risarcimento.

La sentenza sottolinea inoltre come la chiave di lettura dell’articolo 62 n. 4 sia data dall’articolo 185, il quale fa riferimento al danno cagionato dal reato, esprimendo il concetto che tra l’azione (o l’omissione) e il danno deve sussistere un rapporto di causa-effetto: ciò che rileva è che il danno sia conseguenza diretta del fatto illecito a prescindere dalla riferibilità al momento consumativo dello stesso.

Le Sezioni Unite ritengono dunque che, ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 nel caso di ricettazione, debba valere il principio di diritto secondo cui la valutazione del danno patrimoniale cagionato dal reato non deve avere esclusivo riguardo al valore economico della cosa ricettata, ma deve fare riferimento a tutti i danni patrimoniali oggettivamente prodotti alla persona offesa dal reato quale conseguenza diretta del fatto illecito e perciò ad esso riconducibili, danni la cui tenuità o gravità deve essere apprezzata in termini oggettivi e nella globalità degli effetti. Il relativo apprezzamento del giudice di merito (il quale, perché possa trovare applicazione l’attenuante, dovrà ritenere sussistente la prova certa del peculiare fatto invocato a fondamento della circostanza) è incensurabile in cassazione, purchè sia sorretto da logica ed adeguata motivazione.

Sommario degli argomenti:

Elementi costitutivi del delitto di ricettazione.

Compatibilità tra l’ipotesi ex articolo 648 comma 2 codice penale e l’attenuante ex articolo 62 n. 4.

Condizioni per l’applicabilità della circostanza ex articolo 62 n. 4 al delitto di ricettazione in generale.

Il delitto di ricettazione, previsto e punito dall’articolo 648 del codice penale e collocato nella sistematica del codice tra i delitti contro il patrimonio mediante frode, ha come peculiarità l’essere collegato non con il patrimonio della vittima bensì con la cosa acquisita attraverso il reato presupposto, caratteristica che ne rende difficoltosa l’individuazione dell’oggettività giuridica.

Controverso è dunque l’interesse tutelato da tale previsione normativa, registrandosi sul punto due orientamenti principali.

Il primo (sostenuto in dottrina, ad esempio, da Antolisei e Mantovani) ritiene si tratti di reato plurioffensivo, lesivo sia del patrimonio che degli interessi della giustizia, in quanto renderebbe più difficile l’accertamento del reato presupposto e la punizione dei colpevoli.

Il secondo orientamento (in particolare Pecorella e Fiandaca-Musco) individua invece l’oggetto della tutela penale in un interesse esclusivamente patrimoniale, rinvenendo l’interesse protetto nel patrimonio della vittima.

In sostanza comunque l’incriminazione in esame mira ad impedire che, verificatosi un delitto, persone diverse da coloro che lo hanno commesso si interessino delle cose provenienti dallo stesso.

La ricettazione è reato comune: soggetto attivo della ricettazione è chiunque acquisti, riceva od occulti le cose menzionate dall’articolo 648 o si intrometta comunque per farle acquistare, ricevere od occultare.

Dal novero dei soggetti attivi sono però esclusi l’autore del reato presupposto, i concorrenti nello stesso, per effetto della espressa clausola di riserva contenuta nell’articolo 648 comma 1 (“fuori dei casi di concorso nel reato”), nonché il danneggiato dal reato (per l’ovvia ragione che egli riacquista la cosa che gli appartiene) ed il proprietario della cosa che, esercitando il diritto al mantenimento della proprietà, conserva la disponibilità della cosa anche se da altri legittimamente posseduta. Pertanto il delitto in esame deve annoverarsi, secondo il prevalente orientamento, tra i reati a c.d. soggettività ristretta.

L’articolo 648 indica due tipologie di ricettazione, la ricettazione vera e propria e la c.d. intermediazione nella ricettazione: si tratta quindi di un reato c.d. a condotte equivalenti, cioè alternative.

Tale delitto rientra inoltre tra i reati a forma vincolata, in quanto la condotta incriminata è descritta in maniera dettagliata dalla norma, potendo consistere nell’acquisto, ricezione, occultamento delle cose di provenienza illecita ovvero nell’intromissione per farle acquistare, ricevere od occultare.

L’oggetto materiale della ricettazione è costituito da denaro o cose di provenienza illecita (“provenienti da un qualsiasi delitto”). Si ritiene per lo più che tale concetto ricomprenda tutto ciò che si ricollega al fatto criminoso, quindi il profitto, il prezzo, il prodotto del reato e ogni altra cosa che è servita a commettere il fatto.

La ricettazione presuppone sempre la commissione di un altro reato (cd. delitto presupposto); secondo l’opinione dominante può trattarsi di delitto doloso o colposo, anche non rientrante necessariamente tra i reati contro il patrimonio, consumato o tentato, ma non di contravvenzione, né di illecito amministrativo o civile.

Pur avendo la ricettazione acquistato, nel codice vigente, piena autonomia rispetto al reato presupposto, tra i due delitti rimane un rapporto di accessorietà.

Il delitto presupposto deve essere dunque effettivamente avvenuto e deve essere qualificabile oggettivamente in termini di illecito, non essendo punibile una ricettazione putativa.

Non si richiede che il delitto presupposto sia stato accertato giudizialmente con sentenza passata in giudicato, essendo sufficiente che l’esistenza di esso risulti con certezza dagli atti del processo. L’elemento soggettivo della ricettazione consiste sia nella volontarietà del fatto di acquistare, ricevere, occultare o intromettersi, che nella generica consapevolezza della provenienza illecita del denaro o delle cose (dolo generico).

L’elemento soggettivo della ricettazione è inoltre arricchito dal dolo specifico, essendo necessaria la sussistenza di un fine ulteriore rispetto al fatto, cioè il fine di procurare a sé o ad altri un profitto, termine col quale si deve intendere qualsiasi utilità o vantaggio, non solo di natura patrimoniale od economica.

Le Sezioni Unite della Cassazione hanno recentemente affermato (Sentenza 26 novembre 2009/30 marzo 2010) che la ricettazione può essere sorretta anche da un dolo eventuale, precisando che esso non può desumersi da semplici motivi di sospetto e non può consistere in un mero sospetto, configurandosi in termini di rappresentazione da parte dell’agente della concreta possibilità della provenienza della cosa da delitto (per commenti sul punto si rinvia a www.reatisocietari.it).

La ricettazione è considerata per lo più reato istantaneo ad effetti permanenti.

Il reato si consuma quando una delle condotte indicate nella norma può dirsi realizzata; relativamente all’acquisto è ritenuto per lo più momento consumativo il momento dell’accordo tra cedente ed acquirente, secondo le regole civilistiche; nell’ipotesi di intromissione invece il reato è perfetto con il compimento del primo atto di mediazione, non essendo necessario il perfezionamento dell’accordo.

Al comma 2 dell’articolo 648 è prevista la circostanza attenuante speciale della particolare tenuità del fatto, introdotta dall’articolo 15 della legge 152/1975.

Secondo l’opinione prevalente in dottrina e in giurisprudenza tale attenuante si riferisce ad una nozione più ampia di quella di danno patrimoniale di speciale tenuità di cui all’articolo 62 n. 4 : pertanto per la sua applicazione non è sufficiente riferirsi solo all’effettivo danno patrimoniale subito dalla persona offesa dal reato, ma occorre valutare complessivamente l’episodio criminoso in tutte le sue componenti oggettive e soggettive.

Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale per l’applicazione dell’ipotesi attenuata di ricettazione occorre dunque aver riguardo al fatto nella sua globalità storico-giuridica, apprezzandone l’incidenza antigiuridica sulla base di tutti gli elementi che entrano nella componente dell’azione delittuosa, compresa la personalità dell’agente. Occorre prendere in considerazione cioè tutti i criteri di cui all’articolo 133, non essendo l’aspetto patrimoniale né esclusivo né decisivo, dato che la nozione legale del “fatto di particolare tenuità” investe tutti gli elementi integrativi del fatto reato.

In merito ai rapporti tra tale attenuante speciale e quella comune di cui all’articolo 62 n. 4, è opinione pressoché pacifica (Cassazione, Sezioni Unite, n. 13330/1989, Beggio) quella che ammette la possibilità di coesistenza e compatibilità tra le due attenuanti, a condizione che la valutazione del danno patrimoniale sia rimasta estranea al giudizio sulla particolare tenuità del fatto, altrimenti l’attenuante comune verrebbe assorbita nell’ipotesi attenuata di cui all’articolo 648 comma 2.

Secondo l’orientamento dominante, dunque, non può operarsi il concorso tra le due circostanze qualora per l’attenuante speciale sia stato pure considerato il danno patrimoniale effettivamente arrecato, non potendosi dare rilievo per due volte al medesimo elemento: in tale ipotesi prevarrà allora l’attenuante speciale.

Poiché è opinione prevalente che il termine “fatto” usato dal legislatore al primo capoverso dell’articolo 648 non possa essere identificato con l’espressione “danno patrimoniale” di cui all’articolo 62 n. 4, avendo un significato ed un contenuto più ampi, si ritiene sia possibile che venga negata la particolare tenuità del fatto anche quando sia stata applicata l’attenuante comune dell’articolo 62 n. 4.

Quanto invece alle condizioni necessarie ai fini della sussistenza dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 con riferimento, in generale, al delitto di ricettazione, occorre rilevare che di tale questione si è occupata la giurisprudenza soprattutto relativamente all’ipotesi di ricettazione di assegni bancari.

Nel caso in cui oggetto del reato di ricettazione sia un assegno già compilato con l’indicazione dell’importo la giurisprudenza afferma pacificamente che, ai fini della concessione dell’attenuante in esame, per valutare l’entità del danno cagionato dal reato di ricettazione si deve tener conto dell’importo risultante dal titolo. Giurisprudenza consolidata sottolinea che la natura di titolo di credito e le obbligazioni in esso consacrate fanno assumere all’assegno i connotati di un bene dal valore economicamente apprezzabile, e ciò, con riferimento al quantum portato dallo stesso, anche agli effetti del danno patrimoniale causato dalla commissione del reato. In tal caso è da escludersi che il danno conseguente alla utilizzazione del titolo possa essere dissociato dalla condotta del colpevole e riferito invece ad una diversa e successiva attività criminosa.

Controversa, invece, è l’individuazione dei criteri di applicabilità dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 nel caso in cui oggetto della ricettazione siano moduli di assegni bancari in bianco.

Su tale dibattuta questione si sono in passato pronunciate le Sezioni Unite della Cassazione (sentenza n. 10446/1984, Del Pozzo): esse hanno affermato che la questione relativa all’applicabilità dell’attenuante va risolta nel senso che la speciale tenuità del danno deve essere valutata con riferimento al valore economico che la cosa oggetto del reato ha nelle normali contrattazioni commerciali, in un determinato momento storico, senza che possa darsi rilievo ad elementi contingenti, di natura oggettiva o soggettiva, che possano influenzare la valutazione economica della cosa come tale.

Sulla base di tale principio la sopraccitata pronuncia ha affermato che, nell’ipotesi di ricettazione di assegni in bianco, ai fini della concessione o del diniego dell’attenuante in esame, la valutazione del danno patrimoniale derivante dal reato di ricettazione va effettuata in base al valore materiale dei moduli di assegni e non in base al diritto di credito incorporabile nei titoli.

Conseguenza pratica dell’accoglimento di tale scelta interpretativa consiste nell’amplissima possibilità di ricorrere all’attenuante in oggetto, dato che il valore economico intrinseco di un assegno non compilato o di un documento è assai limitato.

Si sono tuttavia registrate anche interpretazioni in contrasto con quella espressa dalle Sezioni Unite sopra richiamate.

Secondo un primo orientamento difforme, infatti, (ad esempio Cassazione Sezione II n. 4988/1991, Petrelli la sussistenza dell’attenuante in questione nella ricettazione di assegni in bianco dovrebbe essere esclusa, in ragione della potenziale utilizzazione dei titoli che conferirebbe agli stessi un valore che trascende quello della loro materialità cartacea.

Tale orientamento sostiene che occorre avere riguardo anche all’interesse generale della banca emittente al cd. valore formale del documento, per la peculiare funzione garantistica nel commercio giuridico dei titoli di credito, interesse la cui lesione è concomitante alla ricettazione, indipendentemente dall’utilizzazione concreta del titolo e dalla conseguente eventuale realizzazione di ulteriori reati.

Una seconda soluzione intepretativa difforme da quella delle Sezioni Unite sopraccitate è quella sostenuta da quelle sentenze (ad esempio Cassazione Sezione II n. 31169/2006 Pomettini) che considerano il modulo di assegno in bianco cosa priva di rilevanza economica, non potendo formare oggetto di transazioni commerciali, con la conseguenza che l’attenuante ex articolo 62 n. 4 non potrebbe trovare applicazione perché, difettando la patrimonialità della cosa, la sua acquisizione non potrebbe integrare un danno patrimoniale di speciale tenuità.

Sulla materia in esame si sono nel 2007 nuovamente pronunciate le Sezioni Unite (sentenza 35535/2007).

Tale pronuncia ha innanzitutto preso posizione rispetto alle sopraccitate soluzioni interpretative, sottolineando come esse, il più delle volte, diano luogo con argomentazioni apodittiche a soluzioni troppo radicali (o la generale applicabilità dell’attenuante in ogni caso di ricettazione di assegni in bianco, in considerazione dell’intrinseco tenue valore della cosa ricettata, o la sua totale inapplicabilità, tenuto conto della insuscettibilità di valutazione economica della cosa stessa oppure della sua potenzialità criminosa), non consentendo al giudice valutazioni discrezionali in merito alla graduazione della pena nelle fattispecie concrete.

La sentenza in oggetto afferma che la base di partenza per una corretta interpretazione dell’attenuante non può che essere la lettera dell’articolo 62 n. 4: essa fa riferimento al “danno patrimoniale di speciale tenuità” cagionato alla persona offesa dal reato e non al semplice valore della cosa ricettata. Anzi, il richiamo alla “tenuità” del danno e non alla sua semplice “entità” rende ancora più evidente che il punto di riferimento per la valutazione in merito all’applicabilità dell’attenuante non può essere il mero valore oggettivo della cosa ricettata, occorrendo invece un apprezzamento il più possibile completo del danno.

Le Sezioni Unite affermano che, agli effetti dell’attenuante in questione ciò che rileva è il danno cagionato dal reato, il quale, nel suo significato più proprio, è quello giuridicamente considerabile, cioè quello per cui è data l’azione di risarcimento.

La sentenza sottolinea inoltre come la chiave di lettura dell’articolo 62 n. 4 sia data dall’articolo 185, il quale fa riferimento al danno cagionato dal reato, esprimendo il concetto che tra l’azione (o l’omissione) e il danno deve sussistere un rapporto di causa-effetto: ciò che rileva è che il danno sia conseguenza diretta del fatto illecito a prescindere dalla riferibilità al momento consumativo dello stesso.

Le Sezioni Unite ritengono dunque che, ai fini della concessione dell’attenuante di cui all’articolo 62 n. 4 nel caso di ricettazione, debba valere il principio di diritto secondo cui la valutazione del danno patrimoniale cagionato dal reato non deve avere esclusivo riguardo al valore economico della cosa ricettata, ma deve fare riferimento a tutti i danni patrimoniali oggettivamente prodotti alla persona offesa dal reato quale conseguenza diretta del fatto illecito e perciò ad esso riconducibili, danni la cui tenuità o gravità deve essere apprezzata in termini oggettivi e nella globalità degli effetti. Il relativo apprezzamento del giudice di merito (il quale, perché possa trovare applicazione l’attenuante, dovrà ritenere sussistente la prova certa del peculiare fatto invocato a fondamento della circostanza) è incensurabile in cassazione, purchè sia sorretto da logica ed adeguata motivazione.