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Questioni in tema di condominio: natura e caratteri, rapporti con la comunione

Sommario:

1. Definizione e caratteri del condominio.

2. Il condominio minimo.

3. Natura giuridica del condominio.

4. Rapporti con la comunione.

1. Definizione e caratteri del condominio.

L’espressione "condominio" designa sia il diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell’edificio di uso comune sia l’organizzazione del gruppo dei condomini, finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi e composta essenzialmente dalle figure dell’assemblea (organo collegiale deliberativo) e dell’amministratore (organo esecutivo, considerato dalla giurisprudenza dominante come mandatario dei condomini).

La peculiarità del condominio negli edifici, che lo distingue dalla comunione di proprietà in generale (genus di cui lo stesso condominio è species) e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo, è costituita dalla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti dei quali i beni formano oggetto (rispettivamente la proprietà esclusiva e il condominio). La disciplina del condominio (articoli 1117-1139 codice civile) si applica all’edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a soggetti diversi e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla c.d. relazione di accessorietà.

L’articolo 1117 codice civile, elencati a titolo esemplificativo talune cose, impianti e servizi di uso comune, stabilisce che sono oggetto di proprietà comune in genere tutte le parti dell’edificio necessarie per l’uso comune, i locali destinati a servizi in comune, nonchè le opere, le istallazioni e i manufatti che servono all’uso o al godimento comune.

Secondo l’interpretazione consolidata ai fini della attribuzione del diritto di condominio la norma conferisce rilevanza al collegamento tra le parti comuni e le unità immobiliari in proprietà esclusiva.

Questo collegamento può essere materiale o funzionale. Il primo tipo di legame consiste nella incorporazione tra entità inscindibili o nella congiunzione stabile tra entità separabili, concretandosi perciò nella necessità delle cose, dei servizi e degli impianti per l’esistenza o per l’uso dei piani o delle porzioni di piano; il secondo consiste invece nella destinazione funzionale delle parti comuni all’uso o al servizio delle unità immobiliari.

Il collegamento così inteso tra beni propri e beni comuni viene definito appunto “relazione di accessorietà”.

Il regime del condominio negli edifici si instaura ipso iure nel fabbricato, nel quale esistono più piani o porzioni di piano, che appartengono in proprietà esclusiva a persone differenti, ai quali dalla suddetta relazione di accessorietà è legato un certo numero di cose, impianti e servizi comuni.

Il condominio si costituisce ex lege non appena, in seguito ad un qualunque fatto traslativo, i piani o le porzioni di piano del fabbricato vengono ad appartenere a soggetti diversi.

2. Il condominio minimo.

L’esistenza del condominio e l’applicabilità delle norme in materia non dipende pertanto dal numero delle persone che ad esso partecipano.

Come infatti hanno avuto modo di pronunciarsi le Sezioni Unite della Cassazione nel 2006 (Cassazione, Sezioni Unite, 31 gennaio 2006, n. 2046), si ha condominio e si applica la relativa disciplina anche nell’ipotesi in cui i partecipanti siano solo due (c.d. condominio minimo). Nessuna disposizione di legge infatti prevede l’inapplicabilità delle norme concernenti il condominio negli edifici al condominio minimo, dato che le sole norme in materia concernenti il numero dei condomini riguardano la nomina dell’amministratore e la formazione del regolamento condominiale (articoli 1129 e 1138 codice civile).

Inoltre l’impossibilità di impiegare il principio maggioritario in presenza di due soli partecipanti non rende inapplicabili ai condomini minimi le norme procedimentali sul funzionamento dell’assemblea (e non determina quindi automaticamente il ricorso alle norme sulla comunione in generale), ben potendo l’assemblea costituirsi validamente con la presenza di tutti e due i condomini e decidere validamente all’unanimità: peraltro, qualora non si raggiunga l’unanimità, sarà possibile ricorrere all’autorità giudiziaria, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1105 e 1139 codice civile.

3. Natura giuridica del condominio.

Discussa è la natura giuridica del condominio. Tre sono sul punto le principali tesi elaborate in dottrina.

Secondo la c.d. teoria della proprietà distinta si avrebbe coesistenza di proprietà esclusiva (svincolata) e di proprietà condominiale (vincolata) da parte dei singoli condomini.

In base alla c.d. teoria della proprietà collettiva, invece, sui beni condominiali non vi sarebbero diritti individuali di proprietà, bensì un diritto di proprietà collettiva del condominio.

Infine, secondo la c.d. teoria dell’ente di gestione, dal punto di vista dinamico il condominio si configura come una struttura organizzativa mirante ad assicurare il buon funzionamento della situazione di compenetrazione di diritti comuni e diritti individuali. In particolare i fautori di tale tesi fanno riferimento all’articolo 10 della Legge n. 392/1978, il quale attribuisce in taluni casi il diritto di voto nell’assemblea al conduttore e non al proprietario, per affermare una nuova immagine del condominio come comunità di abitanti nello stesso edificio che insieme gestiscono i servizi comuni.

4. Rapporti con la comunione.

Il condominio, anche se racchiude in sé una situazione di comproprietà su alcuni beni, si differenzia dalla comunione (della quale, come già ricordato, è species e alla cui disciplina rinvia l’articolo 1139 codice civile per quanto non espressamente previsto dalle disposizioni in materia di condominio) per alcune peculiarità evidenziate sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.

Una prima differenza consiste nel fatto che, mentre la comunione si caratterizza per la sua temporaneità e divisibilità, per cui ciascun comunista può in ogni momento chiedere lo scioglimento ai sensi dell’articolo 1111 codice civile, al contrario il condominio, che rappresenta un’ipotesi di comunione necessaria, è caratterizzato dall’indivisibilità.

Ai sensi dell’articolo 1119 codice civile, infatti, le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che quest’ultima possa essere effettuata senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.

Il maggior rigore della disciplina in tema di condominio negli edifici rispetto alla comunione dipende dalla diversa utilità dei beni che formano oggetto dei differenti diritti: l’utilità strumentale per i beni in condominio e l’utilità finale per quelli in comunione.

Il condominio si caratterizza infatti per l’esistenza all’interno dell’edificio di proprietà singole e di parti comuni, queste ultime strumentali al miglior godimento delle prime; la comunione invece consiste nella comune titolarità di più soggetti su di un bene che per gli stessi ha un’utilità finale diretta.

La indivisibilità dei beni in condominio dipende dall’ utilità strumentale, essendo strettamente legata al godimento delle unità immobiliari. Dalla virtuale perpetuità del condominio deriva poi l’opportunità che i condomini non interferiscano, se non in casi di urgenza, nella amministrazione delle parti comuni dell’edificio.

Dalla normale divisibilità nella comunione consegue invece che il comunista insoddisfatto dell’altrui inattività, se non vuole chiedere lo scioglimento, può decidere di provvedere personalmente.

Un’altra differenza è costituita dal fatto che, mentre nella comunione le eventuali innovazioni possono essere dirette all’impiego che si ritiene più proficuo, nel condominio le innovazioni devono essere indirizzate al miglioramento, all’uso più comodo o al maggiore rendimento delle cose comuni (articolo 1120, comma 1).

La sussistenza di tale vincolo di destinazione dell’edificio incide sul godimento delle parti di proprietà esclusiva. Al riguardo la regola generale è posta dall’articolo 1122, secondo cui il condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni: tale regola è interpretata dalla giurisprudenza in senso estensivo, facendovi rientrare tutte le ipotesi in cui l’opera del condomino possa pregiudicare la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico dell’edificio.

Inoltre, mentre la comunione dispone di un modello embrionale di organizzazione, il condominio si caratterizza per un’articolata e complessa organizzazione di gestione delle cose e dei servizi comuni: se infatti i condomini sono più di quattro deve nominarsi necessariamente un amministratore e se sono più di dieci è obbligatorio formare un regolamento di condominio.

Differente tra i due istituti è poi la disciplina delle spese.

Mentre ai sensi dell’articolo 1110 il comunista che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell’amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune ha diritto al rimborso, ai sensi invece dell’articolo 1134 il condomino che ha sostenuto spese per le cose comuni senza l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, a meno che si tratti di spese urgenti.

Tale diverso regime del rimborso delle spese anticipate dal comproprietario e dal condomino, a seguito della inerzia degli altri partecipanti o dell’amministratore, si fonda pertanto sul diverso presupposto oggettivo, rispettivamente, della mera trascuranza (intesa come negligenza, trascuratezza, semplice inattività) e dell’urgenza.

Quest’ultima rappresenta una condizione più rigorosa: spese urgenti (non quindi meramente necessarie per la conservazione della cosa comune) sono infatti, come ha sostenuto la Cassazione, le spese impellenti, quelle che devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, secondo il criterio del buon padre di famiglia.

Infine, mentre nella comunione è ammesso l’abbandono liberatorio della propria quota da parte del comunista per sottrarsi ai contributi per la conservazione della cosa, nel condominio invece l’abbandono liberatorio non è ammesso: ai sensi infatti dell’articolo 1118, comma 2, il condomino non può, rinunziando al proprio diritto sulle cose comuni, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione.

Sommario:

1. Definizione e caratteri del condominio.

2. Il condominio minimo.

3. Natura giuridica del condominio.

4. Rapporti con la comunione.

1. Definizione e caratteri del condominio.

L’espressione "condominio" designa sia il diritto soggettivo di natura reale (la proprietà comune) concernente le parti dell’edificio di uso comune sia l’organizzazione del gruppo dei condomini, finalizzata alla gestione delle cose, degli impianti e dei servizi e composta essenzialmente dalle figure dell’assemblea (organo collegiale deliberativo) e dell’amministratore (organo esecutivo, considerato dalla giurisprudenza dominante come mandatario dei condomini).

La peculiarità del condominio negli edifici, che lo distingue dalla comunione di proprietà in generale (genus di cui lo stesso condominio è species) e dalle altre formazioni sociali di tipo associativo, è costituita dalla relazione che, nel fabbricato, lega i beni propri e comuni, riflettendosi sui diritti dei quali i beni formano oggetto (rispettivamente la proprietà esclusiva e il condominio). La disciplina del condominio (articoli 1117-1139 codice civile) si applica all’edificio, nel quale più piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a soggetti diversi e un certo numero di cose, impianti e servizi di uso comune sono legati alle unità abitative dalla c.d. relazione di accessorietà.

L’articolo 1117 codice civile, elencati a titolo esemplificativo talune cose, impianti e servizi di uso comune, stabilisce che sono oggetto di proprietà comune in genere tutte le parti dell’edificio necessarie per l’uso comune, i locali destinati a servizi in comune, nonchè le opere, le istallazioni e i manufatti che servono all’uso o al godimento comune.

Secondo l’interpretazione consolidata ai fini della attribuzione del diritto di condominio la norma conferisce rilevanza al collegamento tra le parti comuni e le unità immobiliari in proprietà esclusiva.

Questo collegamento può essere materiale o funzionale. Il primo tipo di legame consiste nella incorporazione tra entità inscindibili o nella congiunzione stabile tra entità separabili, concretandosi perciò nella necessità delle cose, dei servizi e degli impianti per l’esistenza o per l’uso dei piani o delle porzioni di piano; il secondo consiste invece nella destinazione funzionale delle parti comuni all’uso o al servizio delle unità immobiliari.

Il collegamento così inteso tra beni propri e beni comuni viene definito appunto “relazione di accessorietà”.

Il regime del condominio negli edifici si instaura ipso iure nel fabbricato, nel quale esistono più piani o porzioni di piano, che appartengono in proprietà esclusiva a persone differenti, ai quali dalla suddetta relazione di accessorietà è legato un certo numero di cose, impianti e servizi comuni.

Il condominio si costituisce ex lege non appena, in seguito ad un qualunque fatto traslativo, i piani o le porzioni di piano del fabbricato vengono ad appartenere a soggetti diversi.

2. Il condominio minimo.

L’esistenza del condominio e l’applicabilità delle norme in materia non dipende pertanto dal numero delle persone che ad esso partecipano.

Come infatti hanno avuto modo di pronunciarsi le Sezioni Unite della Cassazione nel 2006 (Cassazione, Sezioni Unite, 31 gennaio 2006, n. 2046), si ha condominio e si applica la relativa disciplina anche nell’ipotesi in cui i partecipanti siano solo due (c.d. condominio minimo). Nessuna disposizione di legge infatti prevede l’inapplicabilità delle norme concernenti il condominio negli edifici al condominio minimo, dato che le sole norme in materia concernenti il numero dei condomini riguardano la nomina dell’amministratore e la formazione del regolamento condominiale (articoli 1129 e 1138 codice civile).

Inoltre l’impossibilità di impiegare il principio maggioritario in presenza di due soli partecipanti non rende inapplicabili ai condomini minimi le norme procedimentali sul funzionamento dell’assemblea (e non determina quindi automaticamente il ricorso alle norme sulla comunione in generale), ben potendo l’assemblea costituirsi validamente con la presenza di tutti e due i condomini e decidere validamente all’unanimità: peraltro, qualora non si raggiunga l’unanimità, sarà possibile ricorrere all’autorità giudiziaria, ai sensi del combinato disposto degli articoli 1105 e 1139 codice civile.

3. Natura giuridica del condominio.

Discussa è la natura giuridica del condominio. Tre sono sul punto le principali tesi elaborate in dottrina.

Secondo la c.d. teoria della proprietà distinta si avrebbe coesistenza di proprietà esclusiva (svincolata) e di proprietà condominiale (vincolata) da parte dei singoli condomini.

In base alla c.d. teoria della proprietà collettiva, invece, sui beni condominiali non vi sarebbero diritti individuali di proprietà, bensì un diritto di proprietà collettiva del condominio.

Infine, secondo la c.d. teoria dell’ente di gestione, dal punto di vista dinamico il condominio si configura come una struttura organizzativa mirante ad assicurare il buon funzionamento della situazione di compenetrazione di diritti comuni e diritti individuali. In particolare i fautori di tale tesi fanno riferimento all’articolo 10 della Legge n. 392/1978, il quale attribuisce in taluni casi il diritto di voto nell’assemblea al conduttore e non al proprietario, per affermare una nuova immagine del condominio come comunità di abitanti nello stesso edificio che insieme gestiscono i servizi comuni.

4. Rapporti con la comunione.

Il condominio, anche se racchiude in sé una situazione di comproprietà su alcuni beni, si differenzia dalla comunione (della quale, come già ricordato, è species e alla cui disciplina rinvia l’articolo 1139 codice civile per quanto non espressamente previsto dalle disposizioni in materia di condominio) per alcune peculiarità evidenziate sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza.

Una prima differenza consiste nel fatto che, mentre la comunione si caratterizza per la sua temporaneità e divisibilità, per cui ciascun comunista può in ogni momento chiedere lo scioglimento ai sensi dell’articolo 1111 codice civile, al contrario il condominio, che rappresenta un’ipotesi di comunione necessaria, è caratterizzato dall’indivisibilità.

Ai sensi dell’articolo 1119 codice civile, infatti, le parti comuni dell’edificio non sono soggette a divisione, a meno che quest’ultima possa essere effettuata senza rendere più incomodo l’uso della cosa a ciascun condomino.

Il maggior rigore della disciplina in tema di condominio negli edifici rispetto alla comunione dipende dalla diversa utilità dei beni che formano oggetto dei differenti diritti: l’utilità strumentale per i beni in condominio e l’utilità finale per quelli in comunione.

Il condominio si caratterizza infatti per l’esistenza all’interno dell’edificio di proprietà singole e di parti comuni, queste ultime strumentali al miglior godimento delle prime; la comunione invece consiste nella comune titolarità di più soggetti su di un bene che per gli stessi ha un’utilità finale diretta.

La indivisibilità dei beni in condominio dipende dall’ utilità strumentale, essendo strettamente legata al godimento delle unità immobiliari. Dalla virtuale perpetuità del condominio deriva poi l’opportunità che i condomini non interferiscano, se non in casi di urgenza, nella amministrazione delle parti comuni dell’edificio.

Dalla normale divisibilità nella comunione consegue invece che il comunista insoddisfatto dell’altrui inattività, se non vuole chiedere lo scioglimento, può decidere di provvedere personalmente.

Un’altra differenza è costituita dal fatto che, mentre nella comunione le eventuali innovazioni possono essere dirette all’impiego che si ritiene più proficuo, nel condominio le innovazioni devono essere indirizzate al miglioramento, all’uso più comodo o al maggiore rendimento delle cose comuni (articolo 1120, comma 1).

La sussistenza di tale vincolo di destinazione dell’edificio incide sul godimento delle parti di proprietà esclusiva. Al riguardo la regola generale è posta dall’articolo 1122, secondo cui il condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni: tale regola è interpretata dalla giurisprudenza in senso estensivo, facendovi rientrare tutte le ipotesi in cui l’opera del condomino possa pregiudicare la stabilità, la sicurezza o il decoro architettonico dell’edificio.

Inoltre, mentre la comunione dispone di un modello embrionale di organizzazione, il condominio si caratterizza per un’articolata e complessa organizzazione di gestione delle cose e dei servizi comuni: se infatti i condomini sono più di quattro deve nominarsi necessariamente un amministratore e se sono più di dieci è obbligatorio formare un regolamento di condominio.

Differente tra i due istituti è poi la disciplina delle spese.

Mentre ai sensi dell’articolo 1110 il comunista che, in caso di trascuranza degli altri partecipanti o dell’amministratore, ha sostenuto spese necessarie per la conservazione della cosa comune ha diritto al rimborso, ai sensi invece dell’articolo 1134 il condomino che ha sostenuto spese per le cose comuni senza l’autorizzazione dell’amministratore o dell’assemblea non ha diritto al rimborso, a meno che si tratti di spese urgenti.

Tale diverso regime del rimborso delle spese anticipate dal comproprietario e dal condomino, a seguito della inerzia degli altri partecipanti o dell’amministratore, si fonda pertanto sul diverso presupposto oggettivo, rispettivamente, della mera trascuranza (intesa come negligenza, trascuratezza, semplice inattività) e dell’urgenza.

Quest’ultima rappresenta una condizione più rigorosa: spese urgenti (non quindi meramente necessarie per la conservazione della cosa comune) sono infatti, come ha sostenuto la Cassazione, le spese impellenti, quelle che devono essere eseguite senza ritardo e la cui erogazione non può essere differita senza danno o pericolo, secondo il criterio del buon padre di famiglia.

Infine, mentre nella comunione è ammesso l’abbandono liberatorio della propria quota da parte del comunista per sottrarsi ai contributi per la conservazione della cosa, nel condominio invece l’abbandono liberatorio non è ammesso: ai sensi infatti dell’articolo 1118, comma 2, il condomino non può, rinunziando al proprio diritto sulle cose comuni, sottrarsi al contributo nelle spese per la loro conservazione.