Reato ed ordinamenti extrapenali: i delitti di concussione e corruzione, anche alla luce della riforma della legge 241/90
Reato ed ordinamenti extrapenali: i delitti di concussione e corruzione, anche alla luce della riforma della legge 241/90
Essendo il diritto penale un diritto del fatto, va precisato da subito che tale fatto deve costituire un accadimento fenomenico (principio di materialità) ed essere retto dalle leggi di derivazione proprie del mondo fisico (principio di causalità), e allo stesso tempo non deve necessariamente esprimersi in categorie naturalistiche. Accade di frequente, infatti, che il precetto venga costruito sulla base di riferimenti extrapenali (norme in bianco) e, ancora più spesso, che il fatto tipico sia descritto attraverso concetti giuridici (elementi normativi).
In questo fenomeno l’uso di concetti mutuati dal diritto amministrativo o civilistico, l’atto come il negozio, è frequente, e ciò pone al giudice penale il problema del suo controllo nel momento in cui interpreta la norma che contiene un riferimento alla fattispecie civilistica o all’atto amministrativo, non ponendosi alcun particolare problema nel caso in cui il negozio sia valido o il provvedimento amministrativo sia legittimo, poiché il giudice penale non dovrà far altro che prenderne atto ai fini del giudizio penale, mentre problemi sorgeranno nel caso di negozio affetto da patologia o atto amministrativo illegittimo, per cui il giudice penale effettuerà un controllo sulla validità ed efficacia del negozio (contratto) e della legalità del provvedimento amministrativo, conoscendo della relativa questione ai sensi dell’art 2 cod. proc. pen., che gli consente, anzi gli impone di risolvere le questioni che si pongono come antecedente logico giuridico alla decisione su un reato. Di contro, la valutazione ex art 2 cod. proc. pen. assume rilievo solo ed esclusivamente nel processo penale, non svolgendo alcun efficacia al di fuori dello stesso.
Il fenomeno dell’influsso delle categorie normative extrapenali (civilistiche ed amministrative) dipende in primo luogo dalla sussidiarietà del diritto penale, che spesso sanziona fatti che già costituiscono illecito in altri ordinamenti; in secondo luogo, la costruzione del fatto tipico tramite l’utilizzo di concetti tecnici elaborati in altri rami dell’ordinamento consente di soddisfare al meglio il principio di precisione, per quanto residui incertezza derivante dal deficit di universalità fisiologico nelle leggi di copertura di estrazione giuridica.
Il sopra menzionato principio di precisione, che costituisce un’articolazione del più generale principio di determinatezza, impone il rispetto di determinati standard qualitativi nella descrizione del fatto tipico e, quindi, nella costruzione del contenuto della fattispecie penale, contenuto che può essere definito attraverso l’impiego di formule di tipo analitico (metodo di elencazione casistica) o di formule di tipo sintetico (metodo di elencazione dei termini utilizzati nella fattispecie astratta accompagnata dall’indicazione del loro significato).
Dopo aver svolto queste considerazioni di ordine generale, vanno ripercorse le tre teorie circa l’influenza degli ordinamenti extrapenali in quello penale: la sanzionatoria, l’autonomistica, e - più accreditata e spendibile attualmente - quella intermedia.
Secondo la teoria sanzionatoria, la funzione del diritto penale è quella di comminare una sanzione penale per fatti che presentano le caratteristiche di illecito nell’ordinamento civile o amministrativo. Corollario di tale orientamento è che i concetti di matrice extrapenale vengano desunti direttamente dall’ordinamento che li definisce e dal quale occorre mutuare la relativa disciplina.
Di contro, la teoria autonomistica rivendica l’autonomia del diritto penale nella costruzione del precetto, con la conseguenza che concetti di matrice extrapenale vanno elaborati all’interno dell’ordinamento senza alcun condizionamento da parte dell’ordinamento in cui sono definiti.
La teoria intermedia, prevalente nella giurisprudenza, postula un adattamento al diritto penale dei concetti propri degli ordinamenti extrapenali, valutando di volta in volta le fattispecie ed i singoli elementi, dei quali non si predica una recezione automatica, dovendo essi essere sottoposti preventivamente ad un’analisi di compatibilità. La determinatezza della fattispecie è infatti soddisfatta proprio dalla definizione degli elementi normativi a mezzo di ordinamenti convenzionali extrapenali.
Tale ultima teoria si presta maggiormente al fenomeno del rapporto tra ordinamenti ed acquista una particolare importanza con riferimento ai delitti contro la PA. reati caratterizzati dalla capacità di influenzare negativamente il corretto funzionamento della PA, determinando fenomeni di sviamento di potere ricollegabili alle fattispecie più estreme dell’eccesso di potere ovvero impedendo il raggiungimento degli obbiettivi di interesse generale e regolati da norme del secondo tipo.
In particolare la traccia richiede l’analisi di due reati specifici: la concussione e la corruzione. Qui la sussidiarietà del diritto penale e il richiamo a fonti extrapenali funge da strumento di adattamento dell’indole punitiva delle fattispecie penali agli illeciti commessi nella gestione della cosa pubblica. Fermi restando i principi penalistici di materialità, determinatezza e offensività, occorre verificare che ruolo ricoprono gli elementi normativi ed extrapenali di tali reati (tecnici e non naturalistici), nonché la causalità (per la legge di copertura), rapportando poi il tutto alla teoria generale della norma e del fatto.
Come si vedrà in seguito entrambi gli atti presuppongono o si concretizzano in un accordo (fatto) che ricade su un oggetto illecito. Nella corruzione pur non essendo l’atto illegittimo, ma legittimo strumento di mercimonio della funzione pubblica, l’atto rileva anche nel suo contenuto e il reato si perfezione al momento della consumazione, prospettandosi un concorso apparente di norme. Di fatto potrebbe descriversi come reato a causa illecita che soddisfa la materialità, come l’offensività e la determinatezza. Nella concussione, reato in atto, l’atto si sostanzia nell’abuso di ufficio. Ad esempio nel caso di corruzione per atto d’ufficio deve intendersi l’atto come legittimo, rientrante nella competenza del PU o dell’incaricato di pubblico servizio e che rappresenta l’esplicazione dei poteri inerenti all’ufficio o al servizio.
Il delitto di concussione, di cui risponde il PU o l’incaricato di pubblico servizio (soggetto attivo) che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri (metus publicae potestatis), costringe o induce taluno (soggetto passivo), a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra pubblica utilità (vantaggio economicamente apprezzabile), è un delitto monosoggettivo e plurioffensivo, la cui ratio incriminatrice è la tutela dell’interesse della PA alla correttezza e alla buona reputazione dei pubblici funzionari, impedendo che estranei subiscano sopraffazioni o abusi di potere da parte dei funzionari stessi. Nel reato di concussione il soggetto passivo è individuabile anche in persone investite di mansioni di interesse pubblico di qualsiasi specie, che, in virtù del metus publicae potestatis esercitato nei loro confronti, siano state costrette o indotte a compiere — in modo abnorme, illegittimo o strumentale — atti riferibili alle mansioni suddette; con la conseguenza ulteriore che quando il vizio di volontà della persona fisica viene a ripercuotere i suoi effetti sull’atto o sul comportamento riferibili alla pubblica amministrazione — dei quali determina la derivata invalidità per incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere — l’indubbio pregiudizio, che da ciò si verifica per il soggetto pubblico cui appartiene la persona fisica concussa, costituisce danno solo riflesso del delitto di concussione, non direttamente ed immediatamente protetto quale interesse specifico del soggetto offeso nella previsione di cui all’art. 317 c.p. e suscettibile, come tale, per l’attribuzione al predetto soggetto pubblico della diversa qualificazione di semplice danneggiato.
L’abuso dell’ufficio può estrinsecarsi sia come abuso della qualità (indipendentemente dalla correlazione con atti di ufficio) che come abuso dei poteri (connessi all’ufficio adoperati per raggiungere un fine illecito difforme da quello attribuito per legge), il cui presupposto comune è la legittimità della qualifica e la condotta di costrizione (tramite violenza o minaccia o pressione) o induzione (ricorso ad argomentazioni plausibili e veritiere per convincere il soggetto passivo sia con inganni e raggiri che con semplici consigli, inerzia, silenzio ed ostruzionismo). Ove il reato di concussione venga commesso con abuso dei poteri, si pone un problema di relazione tra gli atti amministrativi adottati, rientranti nella competenza del funzionario, e la controprestazione del privato; pertanto, agli effetti della distinzione dal reato di corruzione, può individuarsi un rapporto sinallagmatico tra le prestazioni e si delinea una situazione di natura oggettiva che prevalentemente, anche se non esclusivamente, sul piano patrimoniale vale a qualificare il rapporto soggettivo come paritario (e quindi presumibilmente voluto dal privato) o squilibrato (e quindi presumibilmente imposto dal funzionario). Ove il reato di concussione venga commesso con abuso della qualità, non si pone il problema di relazione tra controprestazioni, e lo stato di disponibilità del privato alla promessa o alla dazione di danaro o altra utilità, derivando dalla sola qualifica soggettiva del PU, non può essere collegata che ad un illegittimo stato di soggezione, nel quale indistintamente possono comporsi aspettative di eventuali benevolenze nella gestione della cosa pubblica o timori di possibili danni, il tutto comunque affidato ad un’autonoma discrezionalità del pubblico funzionario, che vale ad escludere il rapporto paritario con il privato.
Perché si integri il reato di concussione occorre che la costrizione o l’induzione sia qualificata, ossia prodotta dal PU con l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri, sicché la successiva promessa o dazione indebita è conseguenza della suddetta costrizione o induzione. La successione di azioni deve essere causalmente concatenata: abuso qualità o poteri, costrizione o induzione, promessa o dazione, altrimenti si configurano altre ipotesi di reato come l’istigazione alla corruzione (art. 322, commi 3 e 4, cod. pen.) o corruzione consumata (artt. 318 e 319 cod. pen.).
L’ingiusto pregiudizio non deve necessariamente essere immediatamente realizzabile, può consistere anche in un danno futuro.
Il nesso di causalità in questo tipo di delitto è sempre necessario in quanto l’evento deve essere conseguenze diretta del comportamento dell’agente, che può anche non essere una sua iniziativa, ma una condotta passiva o tacita (concussione ambientale).
Dall’esame coordinato degli artt. 318-322 cod. pen. emerge la figura della corruzione, che consiste in un accordo tra un PU e un privato in forza del quale il primo accetta dal secondo un compenso che non gli è dovuto, per un atto relativo all’esercizio delle sue funzioni. Qui la ratio dell’incriminazione è il discredito che tale reato getta sulla categoria dei PU e quindi la norma mira a tutelare penalmente l’interesse della PA all’imparzialità, alla correttezza e probità dei suoi funzionari che non possono fare mercimonio degli atti d’ufficio.
Di tale reato rispondono quindi sia il corruttore che il corrotto, che non commettono due distinti reati, ma compartecipano allo stesso reato, configurabile pertanto solo se entrambe le condotte convergono.
La corruzione può essere propria (l’oggetto è un atto contrario ai doveri di ufficio, a norme giuridiche o ad istruzioni di servizio) o impropria (l’oggetto è un atto di ufficio inteso non come atto strettamente amministrativo in senso stretto come atto formale, bensì come qualsivoglia comportamento condotto nell’ambito delle proprie mansioni). Entrambe le figure possono poi essere antecedenti o susseguenti, a seconda se l’atto debba ancora compiersi o è stato già compiuto rispetto all’accordo o pactum sceleris.
In tema di delitti contro la PA infatti la nozione di “atto di ufficio” comprende una vasta gamma di comportamenti umani, effettivamente o potenzialmente riconducibili all’incarico del PU, e quindi non solo il compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l’emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato.
In tema di corruzione impropria anteriore all’atto prevista dall’art. 318, comma 1, cod. pen., l’atto in vista del quale l’accordo criminoso viene stipulato, deve essere conforme ai doveri del funzionario: l’interesse tutelato non è tanto quello dell’imparzialità della PA, dato che l’atto da compiere è conforme ai criteri di una sana e corretta amministrazione, bensì quello della correttezza e del buon funzionamento della pubblica amministrazione, nel senso che gli atti legittimi, corretti e dovuti non possono essere oggetto di un privato baratto tra il privato e la PA, ma debbono essere compiuti in una posizione di sostanziale e totale estraneità rispetto agli interessi privati, al di fuori di influenze diverse da quelle dettate dagli interessi generali dello Stato, cioè della collettività.
Si discute se costituisca concussione la prospettazione che il PU faccia dell’esercizio di un’attività che per lui è lecita e doverosa al fine di ottenere l’indebita promessa: parte della dottrina sostiene che sia concussione e altra parte propende per la corruzione. Una tesi intermedia distingue a seconda che tale prospettazione/intimidazione abbia o meno determinato nel privato uno stato di timore o paura tipico della concussione e la giurisprudenza ammette che l’abuso possa realizzarsi anche mediante comportamento omissivo.
La differenza tra i due delitti attiene alla diversa posizione che il privato e il PU assumono nel reciproco rapporto. Mentre nella concussione (reato monosoggettivo plurioffensivo) il dominus dell’illecito è il PU, nella corruzione (reato plurisoggettivo a concorso necessario) i soggetti trattano pariteticamente con manifestazioni di volontà che convengono nel pactum sceleris, non rilevando la superiorità o l’influenza del PU rispetto al privato che versa in soggezione. In entrambi i reati esiste un accordo e l’accordo prevede che il PU faccia qualcosa di cui un privato si avvantaggia: ma mentre nella concussione l’atto non è specificamente individuato e menzionato e rileva non solo nell’accordo ma anche prima, nella corruzione l’atto rileva solo nell’accordo. Nella fattispecie di cui all’art. 317 esso è predicato del consenso (mirando a persuadere il privato), nell’art. 318 esso è predicato di un’iniziativa unilaterale di uso del potere così come viene concordato. Vi è quindi una differenza anche relativa alla diversa rilevanza dell’atto amministrativo.
Sempre in tema di distinzione fra concussione e corruzione, la giurisprudenza premesso che la prima è caratterizzata dal metus publicae potestatis, per cui, il concusso certat de damno vitando mentre, nella seconda, il corruttore certat de lucro captando, deve ritenersi che sussista il reato di concussione ogni qual volta vi sia, da parte del soggetto investito di qualifica pubblicistica, la prospettazione di un danno ingiusto, evitabile soltanto con l’indebita dazione o promessa di danaro o altra utilità da parte del privato, a nulla rilevando che anche quest’ultimo possa, a sua volta, sperare di trarre da ciò un vantaggio o maturare un’aspettativa, Di contro, se il lucrum captandum da parte del privato non sia soltanto l’effetto naturale della mancata realizzazione del danno ingiusto, ma costituisca la finalità esclusiva o prevalente del favore offerto dal soggetto pubblico o a lui richiesto, ponendosi l’accordo fra le parti in termini di sinallagma e quindi con l’esclusione di ogni soggezione del privato nei confronti del soggetto pubblico, il reato configurabile risulterà quello di corruzione.
La Cassazione aveva chiarito, in epoca risalente, che in entrambi i delitti l’offerta o la richiesta di danaro o di altra utilità rappresentano non l’atto iniziale dell’iter criminis, ma il logico sbocco di una situazione che si crea gradatamente, per cui sono ipotizzabili sia una corruzione in cui il PU prende l’iniziativa che una concussione in cui è il privato a offrire la somma. Tuttavia la giurisprudenza più recente configura la sola corruzione e non anche la concussione quando il privato coscientemente si determina a dare o promettere allo scopo di trarne vantaggio dalla situazione di abuso “sistematico” del PU, a lui nota.
Con la riforma dell’attività amministrativa in generale ad opera della L. 241/1990, diventa opportuno fare due considerazioni. Una sulla natura degli atti affinché si possa analizzare e verificare la loro rilevanza ed interferenza con i due reati de quo.
Esistono atti a rilevanza esterna e diretta ed atti a rilevanza interna e indiretta: i primi incidono all’esterno della fattispecie penale, i secondi dall’interno di essa; i primi non trovano alcuna preclusione di sorta ad una cognizione diretta da parte del giudice penale che può conoscerli in via diretta e principale, e disapplicarli, se nel caso o decidere come se non esistessero (tamquam non esset). Quel che interessa le fattispecie di reato della concussione e corruzione sono gli atti che hanno rilevanza interna e indiretta.
L’atto può inoltre costituire: a) presupposto della condotta (di tipo negativo -caso in cui l’atto amministrativo costituisce presupposto in assenza del quale la condotta assume rilevanza penale o di tipo positivo - caso in cui è presupposto necessario per la configurabilità della fattispecie come penalmente rilevante; b) mezzo attraverso il quale si esegue il reato, rappresentandone una modalità di condotta; c) oggetto materiale della condotta; d) scriminante; e) aggravante.
Nei delitti de quo l’atto amministrativo appartiene alla seconda categoria e costituisce il mezzo attraverso il quale si esegue il reato, rappresentandone una modalità di condotta, ovvero il fulcro su cui il reato poggia, per cui il sindacato del giudice penale non può mancare, in quanto se così non facesse si troverebbe nell’impossibilità di accertare il fatto tipico del reato stesso, anzi si giungerebbe al risultato di escludere la condotta criminosa perché verrebbe meno uno dei suoi presupposti. Invece, la presenza e l’applicazione del provvedimento accertano l’illiceità penale della condotta.
La seconda considerazione può essere fatta circa la ratio della legge e i principi generali di imparzialità, correttezza e buon andamento dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost. che, la legge richiama nel suo primo articolo e che, nella ricostruzione che si sta operando, costituiscono lo sfondo e il tessuto di connessione tra l’ordinamento amministrativo e quello penale, rafforzando le fattispecie incriminatrici e fornendo strumenti più incisivi e penetranti di verifica del rispetto di tali principi. All’art. 2 della suddetta legge va fatto invece riferimento per qualificare l’omissione o il ritardo di un atto dell’ufficio e, in particolare, a tutta l’elaborazione teorica e giurisprudenziale volta a individuare le ipotesi di cosiddetto silenzio inadempimento (omissione).
Ad esempio, i beni protetti dall’art. 317 cod. pen. (concussione) sono identificabili nell’imparzialità e nel buon andamento della Pubblica Amministrazione, vulnerati allorquando i pubblici PU, o gli incaricati di un pubblico servizio, si avvalgono della loro qualità o delle loro funzioni per costringere o indurre i privati a dare o promettere loro denaro o altre utilità non dovute. Solo in via subordinata la predetta norma tutela anche il diritto del cittadino a disporre del proprio patrimonio in piena libertà e senza alcuna forma di coazione dei pubblici poteri.
Il reato di corruzione per atto di ufficio di cui all’art. 318 cod. pen. (corruzione) presuppone un atto amministrativo emanato nell’esclusivo interesse della PA, alla tempestiva emanazione del quale anche il privato aggiunge la sua aspettativa, mentre il bene giuridico tutelato dall’art. 319 cod. pen. (corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio) e dall’art. 319ter cod. pen. (corruzione in atti giudiziari, ora titolo autonomo di reato) è costituito dai principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione. La contrarietà ai doveri d’ufficio può riguardare la condotta complessiva del funzionario, che tramite l’emanazione di atti formalmente regolari può venir meno ai suoi compiti istituzionali a causa delle finalità diverse da quella di pubblica utilità. Anche in tale ipotesi, infatti, ricorre una condotta antidoverosa del soggetto pubblico, in quanto in violazione di quelle regole di legalità e di imparzialità che disciplinano l’ufficio pubblico al quale egli è preposto.
Reato ed ordinamenti extrapenali: i delitti di concussione e corruzione, anche alla luce della riforma della legge 241/90
Essendo il diritto penale un diritto del fatto, va precisato da subito che tale fatto deve costituire un accadimento fenomenico (principio di materialità) ed essere retto dalle leggi di derivazione proprie del mondo fisico (principio di causalità), e allo stesso tempo non deve necessariamente esprimersi in categorie naturalistiche. Accade di frequente, infatti, che il precetto venga costruito sulla base di riferimenti extrapenali (norme in bianco) e, ancora più spesso, che il fatto tipico sia descritto attraverso concetti giuridici (elementi normativi).
In questo fenomeno l’uso di concetti mutuati dal diritto amministrativo o civilistico, l’atto come il negozio, è frequente, e ciò pone al giudice penale il problema del suo controllo nel momento in cui interpreta la norma che contiene un riferimento alla fattispecie civilistica o all’atto amministrativo, non ponendosi alcun particolare problema nel caso in cui il negozio sia valido o il provvedimento amministrativo sia legittimo, poiché il giudice penale non dovrà far altro che prenderne atto ai fini del giudizio penale, mentre problemi sorgeranno nel caso di negozio affetto da patologia o atto amministrativo illegittimo, per cui il giudice penale effettuerà un controllo sulla validità ed efficacia del negozio (contratto) e della legalità del provvedimento amministrativo, conoscendo della relativa questione ai sensi dell’art 2 cod. proc. pen., che gli consente, anzi gli impone di risolvere le questioni che si pongono come antecedente logico giuridico alla decisione su un reato. Di contro, la valutazione ex art 2 cod. proc. pen. assume rilievo solo ed esclusivamente nel processo penale, non svolgendo alcun efficacia al di fuori dello stesso.
Il fenomeno dell’influsso delle categorie normative extrapenali (civilistiche ed amministrative) dipende in primo luogo dalla sussidiarietà del diritto penale, che spesso sanziona fatti che già costituiscono illecito in altri ordinamenti; in secondo luogo, la costruzione del fatto tipico tramite l’utilizzo di concetti tecnici elaborati in altri rami dell’ordinamento consente di soddisfare al meglio il principio di precisione, per quanto residui incertezza derivante dal deficit di universalità fisiologico nelle leggi di copertura di estrazione giuridica.
Il sopra menzionato principio di precisione, che costituisce un’articolazione del più generale principio di determinatezza, impone il rispetto di determinati standard qualitativi nella descrizione del fatto tipico e, quindi, nella costruzione del contenuto della fattispecie penale, contenuto che può essere definito attraverso l’impiego di formule di tipo analitico (metodo di elencazione casistica) o di formule di tipo sintetico (metodo di elencazione dei termini utilizzati nella fattispecie astratta accompagnata dall’indicazione del loro significato).
Dopo aver svolto queste considerazioni di ordine generale, vanno ripercorse le tre teorie circa l’influenza degli ordinamenti extrapenali in quello penale: la sanzionatoria, l’autonomistica, e - più accreditata e spendibile attualmente - quella intermedia.
Secondo la teoria sanzionatoria, la funzione del diritto penale è quella di comminare una sanzione penale per fatti che presentano le caratteristiche di illecito nell’ordinamento civile o amministrativo. Corollario di tale orientamento è che i concetti di matrice extrapenale vengano desunti direttamente dall’ordinamento che li definisce e dal quale occorre mutuare la relativa disciplina.
Di contro, la teoria autonomistica rivendica l’autonomia del diritto penale nella costruzione del precetto, con la conseguenza che concetti di matrice extrapenale vanno elaborati all’interno dell’ordinamento senza alcun condizionamento da parte dell’ordinamento in cui sono definiti.
La teoria intermedia, prevalente nella giurisprudenza, postula un adattamento al diritto penale dei concetti propri degli ordinamenti extrapenali, valutando di volta in volta le fattispecie ed i singoli elementi, dei quali non si predica una recezione automatica, dovendo essi essere sottoposti preventivamente ad un’analisi di compatibilità. La determinatezza della fattispecie è infatti soddisfatta proprio dalla definizione degli elementi normativi a mezzo di ordinamenti convenzionali extrapenali.
Tale ultima teoria si presta maggiormente al fenomeno del rapporto tra ordinamenti ed acquista una particolare importanza con riferimento ai delitti contro la PA. reati caratterizzati dalla capacità di influenzare negativamente il corretto funzionamento della PA, determinando fenomeni di sviamento di potere ricollegabili alle fattispecie più estreme dell’eccesso di potere ovvero impedendo il raggiungimento degli obbiettivi di interesse generale e regolati da norme del secondo tipo.
In particolare la traccia richiede l’analisi di due reati specifici: la concussione e la corruzione. Qui la sussidiarietà del diritto penale e il richiamo a fonti extrapenali funge da strumento di adattamento dell’indole punitiva delle fattispecie penali agli illeciti commessi nella gestione della cosa pubblica. Fermi restando i principi penalistici di materialità, determinatezza e offensività, occorre verificare che ruolo ricoprono gli elementi normativi ed extrapenali di tali reati (tecnici e non naturalistici), nonché la causalità (per la legge di copertura), rapportando poi il tutto alla teoria generale della norma e del fatto.
Come si vedrà in seguito entrambi gli atti presuppongono o si concretizzano in un accordo (fatto) che ricade su un oggetto illecito. Nella corruzione pur non essendo l’atto illegittimo, ma legittimo strumento di mercimonio della funzione pubblica, l’atto rileva anche nel suo contenuto e il reato si perfezione al momento della consumazione, prospettandosi un concorso apparente di norme. Di fatto potrebbe descriversi come reato a causa illecita che soddisfa la materialità, come l’offensività e la determinatezza. Nella concussione, reato in atto, l’atto si sostanzia nell’abuso di ufficio. Ad esempio nel caso di corruzione per atto d’ufficio deve intendersi l’atto come legittimo, rientrante nella competenza del PU o dell’incaricato di pubblico servizio e che rappresenta l’esplicazione dei poteri inerenti all’ufficio o al servizio.
Il delitto di concussione, di cui risponde il PU o l’incaricato di pubblico servizio (soggetto attivo) che, abusando della sua qualità o dei suoi poteri (metus publicae potestatis), costringe o induce taluno (soggetto passivo), a dare o a promettere indebitamente, a lui o a un terzo, denaro o altra pubblica utilità (vantaggio economicamente apprezzabile), è un delitto monosoggettivo e plurioffensivo, la cui ratio incriminatrice è la tutela dell’interesse della PA alla correttezza e alla buona reputazione dei pubblici funzionari, impedendo che estranei subiscano sopraffazioni o abusi di potere da parte dei funzionari stessi. Nel reato di concussione il soggetto passivo è individuabile anche in persone investite di mansioni di interesse pubblico di qualsiasi specie, che, in virtù del metus publicae potestatis esercitato nei loro confronti, siano state costrette o indotte a compiere — in modo abnorme, illegittimo o strumentale — atti riferibili alle mansioni suddette; con la conseguenza ulteriore che quando il vizio di volontà della persona fisica viene a ripercuotere i suoi effetti sull’atto o sul comportamento riferibili alla pubblica amministrazione — dei quali determina la derivata invalidità per incompetenza, violazione di legge o eccesso di potere — l’indubbio pregiudizio, che da ciò si verifica per il soggetto pubblico cui appartiene la persona fisica concussa, costituisce danno solo riflesso del delitto di concussione, non direttamente ed immediatamente protetto quale interesse specifico del soggetto offeso nella previsione di cui all’art. 317 c.p. e suscettibile, come tale, per l’attribuzione al predetto soggetto pubblico della diversa qualificazione di semplice danneggiato.
L’abuso dell’ufficio può estrinsecarsi sia come abuso della qualità (indipendentemente dalla correlazione con atti di ufficio) che come abuso dei poteri (connessi all’ufficio adoperati per raggiungere un fine illecito difforme da quello attribuito per legge), il cui presupposto comune è la legittimità della qualifica e la condotta di costrizione (tramite violenza o minaccia o pressione) o induzione (ricorso ad argomentazioni plausibili e veritiere per convincere il soggetto passivo sia con inganni e raggiri che con semplici consigli, inerzia, silenzio ed ostruzionismo). Ove il reato di concussione venga commesso con abuso dei poteri, si pone un problema di relazione tra gli atti amministrativi adottati, rientranti nella competenza del funzionario, e la controprestazione del privato; pertanto, agli effetti della distinzione dal reato di corruzione, può individuarsi un rapporto sinallagmatico tra le prestazioni e si delinea una situazione di natura oggettiva che prevalentemente, anche se non esclusivamente, sul piano patrimoniale vale a qualificare il rapporto soggettivo come paritario (e quindi presumibilmente voluto dal privato) o squilibrato (e quindi presumibilmente imposto dal funzionario). Ove il reato di concussione venga commesso con abuso della qualità, non si pone il problema di relazione tra controprestazioni, e lo stato di disponibilità del privato alla promessa o alla dazione di danaro o altra utilità, derivando dalla sola qualifica soggettiva del PU, non può essere collegata che ad un illegittimo stato di soggezione, nel quale indistintamente possono comporsi aspettative di eventuali benevolenze nella gestione della cosa pubblica o timori di possibili danni, il tutto comunque affidato ad un’autonoma discrezionalità del pubblico funzionario, che vale ad escludere il rapporto paritario con il privato.
Perché si integri il reato di concussione occorre che la costrizione o l’induzione sia qualificata, ossia prodotta dal PU con l’abuso della sua qualità o dei suoi poteri, sicché la successiva promessa o dazione indebita è conseguenza della suddetta costrizione o induzione. La successione di azioni deve essere causalmente concatenata: abuso qualità o poteri, costrizione o induzione, promessa o dazione, altrimenti si configurano altre ipotesi di reato come l’istigazione alla corruzione (art. 322, commi 3 e 4, cod. pen.) o corruzione consumata (artt. 318 e 319 cod. pen.).
L’ingiusto pregiudizio non deve necessariamente essere immediatamente realizzabile, può consistere anche in un danno futuro.
Il nesso di causalità in questo tipo di delitto è sempre necessario in quanto l’evento deve essere conseguenze diretta del comportamento dell’agente, che può anche non essere una sua iniziativa, ma una condotta passiva o tacita (concussione ambientale).
Dall’esame coordinato degli artt. 318-322 cod. pen. emerge la figura della corruzione, che consiste in un accordo tra un PU e un privato in forza del quale il primo accetta dal secondo un compenso che non gli è dovuto, per un atto relativo all’esercizio delle sue funzioni. Qui la ratio dell’incriminazione è il discredito che tale reato getta sulla categoria dei PU e quindi la norma mira a tutelare penalmente l’interesse della PA all’imparzialità, alla correttezza e probità dei suoi funzionari che non possono fare mercimonio degli atti d’ufficio.
Di tale reato rispondono quindi sia il corruttore che il corrotto, che non commettono due distinti reati, ma compartecipano allo stesso reato, configurabile pertanto solo se entrambe le condotte convergono.
La corruzione può essere propria (l’oggetto è un atto contrario ai doveri di ufficio, a norme giuridiche o ad istruzioni di servizio) o impropria (l’oggetto è un atto di ufficio inteso non come atto strettamente amministrativo in senso stretto come atto formale, bensì come qualsivoglia comportamento condotto nell’ambito delle proprie mansioni). Entrambe le figure possono poi essere antecedenti o susseguenti, a seconda se l’atto debba ancora compiersi o è stato già compiuto rispetto all’accordo o pactum sceleris.
In tema di delitti contro la PA infatti la nozione di “atto di ufficio” comprende una vasta gamma di comportamenti umani, effettivamente o potenzialmente riconducibili all’incarico del PU, e quindi non solo il compimento di atti di amministrazione attiva, la formulazione di richieste o di proposte, l’emissione di pareri, ma anche la tenuta di una condotta meramente materiale o il compimento di atti di diritto privato.
In tema di corruzione impropria anteriore all’atto prevista dall’art. 318, comma 1, cod. pen., l’atto in vista del quale l’accordo criminoso viene stipulato, deve essere conforme ai doveri del funzionario: l’interesse tutelato non è tanto quello dell’imparzialità della PA, dato che l’atto da compiere è conforme ai criteri di una sana e corretta amministrazione, bensì quello della correttezza e del buon funzionamento della pubblica amministrazione, nel senso che gli atti legittimi, corretti e dovuti non possono essere oggetto di un privato baratto tra il privato e la PA, ma debbono essere compiuti in una posizione di sostanziale e totale estraneità rispetto agli interessi privati, al di fuori di influenze diverse da quelle dettate dagli interessi generali dello Stato, cioè della collettività.
Si discute se costituisca concussione la prospettazione che il PU faccia dell’esercizio di un’attività che per lui è lecita e doverosa al fine di ottenere l’indebita promessa: parte della dottrina sostiene che sia concussione e altra parte propende per la corruzione. Una tesi intermedia distingue a seconda che tale prospettazione/intimidazione abbia o meno determinato nel privato uno stato di timore o paura tipico della concussione e la giurisprudenza ammette che l’abuso possa realizzarsi anche mediante comportamento omissivo.
La differenza tra i due delitti attiene alla diversa posizione che il privato e il PU assumono nel reciproco rapporto. Mentre nella concussione (reato monosoggettivo plurioffensivo) il dominus dell’illecito è il PU, nella corruzione (reato plurisoggettivo a concorso necessario) i soggetti trattano pariteticamente con manifestazioni di volontà che convengono nel pactum sceleris, non rilevando la superiorità o l’influenza del PU rispetto al privato che versa in soggezione. In entrambi i reati esiste un accordo e l’accordo prevede che il PU faccia qualcosa di cui un privato si avvantaggia: ma mentre nella concussione l’atto non è specificamente individuato e menzionato e rileva non solo nell’accordo ma anche prima, nella corruzione l’atto rileva solo nell’accordo. Nella fattispecie di cui all’art. 317 esso è predicato del consenso (mirando a persuadere il privato), nell’art. 318 esso è predicato di un’iniziativa unilaterale di uso del potere così come viene concordato. Vi è quindi una differenza anche relativa alla diversa rilevanza dell’atto amministrativo.
Sempre in tema di distinzione fra concussione e corruzione, la giurisprudenza premesso che la prima è caratterizzata dal metus publicae potestatis, per cui, il concusso certat de damno vitando mentre, nella seconda, il corruttore certat de lucro captando, deve ritenersi che sussista il reato di concussione ogni qual volta vi sia, da parte del soggetto investito di qualifica pubblicistica, la prospettazione di un danno ingiusto, evitabile soltanto con l’indebita dazione o promessa di danaro o altra utilità da parte del privato, a nulla rilevando che anche quest’ultimo possa, a sua volta, sperare di trarre da ciò un vantaggio o maturare un’aspettativa, Di contro, se il lucrum captandum da parte del privato non sia soltanto l’effetto naturale della mancata realizzazione del danno ingiusto, ma costituisca la finalità esclusiva o prevalente del favore offerto dal soggetto pubblico o a lui richiesto, ponendosi l’accordo fra le parti in termini di sinallagma e quindi con l’esclusione di ogni soggezione del privato nei confronti del soggetto pubblico, il reato configurabile risulterà quello di corruzione.
La Cassazione aveva chiarito, in epoca risalente, che in entrambi i delitti l’offerta o la richiesta di danaro o di altra utilità rappresentano non l’atto iniziale dell’iter criminis, ma il logico sbocco di una situazione che si crea gradatamente, per cui sono ipotizzabili sia una corruzione in cui il PU prende l’iniziativa che una concussione in cui è il privato a offrire la somma. Tuttavia la giurisprudenza più recente configura la sola corruzione e non anche la concussione quando il privato coscientemente si determina a dare o promettere allo scopo di trarne vantaggio dalla situazione di abuso “sistematico” del PU, a lui nota.
Con la riforma dell’attività amministrativa in generale ad opera della L. 241/1990, diventa opportuno fare due considerazioni. Una sulla natura degli atti affinché si possa analizzare e verificare la loro rilevanza ed interferenza con i due reati de quo.
Esistono atti a rilevanza esterna e diretta ed atti a rilevanza interna e indiretta: i primi incidono all’esterno della fattispecie penale, i secondi dall’interno di essa; i primi non trovano alcuna preclusione di sorta ad una cognizione diretta da parte del giudice penale che può conoscerli in via diretta e principale, e disapplicarli, se nel caso o decidere come se non esistessero (tamquam non esset). Quel che interessa le fattispecie di reato della concussione e corruzione sono gli atti che hanno rilevanza interna e indiretta.
L’atto può inoltre costituire: a) presupposto della condotta (di tipo negativo -caso in cui l’atto amministrativo costituisce presupposto in assenza del quale la condotta assume rilevanza penale o di tipo positivo - caso in cui è presupposto necessario per la configurabilità della fattispecie come penalmente rilevante; b) mezzo attraverso il quale si esegue il reato, rappresentandone una modalità di condotta; c) oggetto materiale della condotta; d) scriminante; e) aggravante.
Nei delitti de quo l’atto amministrativo appartiene alla seconda categoria e costituisce il mezzo attraverso il quale si esegue il reato, rappresentandone una modalità di condotta, ovvero il fulcro su cui il reato poggia, per cui il sindacato del giudice penale non può mancare, in quanto se così non facesse si troverebbe nell’impossibilità di accertare il fatto tipico del reato stesso, anzi si giungerebbe al risultato di escludere la condotta criminosa perché verrebbe meno uno dei suoi presupposti. Invece, la presenza e l’applicazione del provvedimento accertano l’illiceità penale della condotta.
La seconda considerazione può essere fatta circa la ratio della legge e i principi generali di imparzialità, correttezza e buon andamento dell’attività amministrativa di cui all’art. 97 Cost. che, la legge richiama nel suo primo articolo e che, nella ricostruzione che si sta operando, costituiscono lo sfondo e il tessuto di connessione tra l’ordinamento amministrativo e quello penale, rafforzando le fattispecie incriminatrici e fornendo strumenti più incisivi e penetranti di verifica del rispetto di tali principi. All’art. 2 della suddetta legge va fatto invece riferimento per qualificare l’omissione o il ritardo di un atto dell’ufficio e, in particolare, a tutta l’elaborazione teorica e giurisprudenziale volta a individuare le ipotesi di cosiddetto silenzio inadempimento (omissione).
Ad esempio, i beni protetti dall’art. 317 cod. pen. (concussione) sono identificabili nell’imparzialità e nel buon andamento della Pubblica Amministrazione, vulnerati allorquando i pubblici PU, o gli incaricati di un pubblico servizio, si avvalgono della loro qualità o delle loro funzioni per costringere o indurre i privati a dare o promettere loro denaro o altre utilità non dovute. Solo in via subordinata la predetta norma tutela anche il diritto del cittadino a disporre del proprio patrimonio in piena libertà e senza alcuna forma di coazione dei pubblici poteri.
Il reato di corruzione per atto di ufficio di cui all’art. 318 cod. pen. (corruzione) presuppone un atto amministrativo emanato nell’esclusivo interesse della PA, alla tempestiva emanazione del quale anche il privato aggiunge la sua aspettativa, mentre il bene giuridico tutelato dall’art. 319 cod. pen. (corruzione per atto contrario ai doveri di ufficio) e dall’art. 319ter cod. pen. (corruzione in atti giudiziari, ora titolo autonomo di reato) è costituito dai principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione. La contrarietà ai doveri d’ufficio può riguardare la condotta complessiva del funzionario, che tramite l’emanazione di atti formalmente regolari può venir meno ai suoi compiti istituzionali a causa delle finalità diverse da quella di pubblica utilità. Anche in tale ipotesi, infatti, ricorre una condotta antidoverosa del soggetto pubblico, in quanto in violazione di quelle regole di legalità e di imparzialità che disciplinano l’ufficio pubblico al quale egli è preposto.