Rémi Brague: Avverroè

Il vero Averroè, d’altra parte, era l’erede di una dinastia mdi giuristi che avevano servito tutte le dinastie succedutesi nella Spagna islamizzata: gli Omayyadi, dei regnanti locali (reyes de taifas), gli Almoravidi e infine gli Almohadi. Un <<intellettuale organico>> dunque, per dirla con Gramsci, lealmente al servizio dei suoi signori. Tale atteggiamento poteva anche non essere dettato da mero opportunismo, perché la dottrina ufficiale degli Almohadi, con la loro insistenza sull’unicità assoluta di Dio (rimanda a questo anche il nome ufficiale della dinastia, che significa <<gli Unitari>>) e con il loro rifiuto radicale dell’antropomorfismo, non era priva di affinità con una “teologia filosofica”. Rimane vero che Averroè, nei suoi lavori giuridici, impiega la parola jihad nel senso che ha quasi sempre avuto, e cioè come una guerra del tutto reale, in cui si proclamano degli ultimatum, si fanno prigionieri, si ammassa e si spartisce il bottino. Ci viene pure riferito che egli avrebbe predicato proprio questo jihad in alcuni sermoni rivolti al popolo. In ogni caso, anche nelle sue opere filosofiche, per esempio nei commentari alla Repubblica di Platone e all’Etica a Nicomaco di Aristotele, si trovano dei passaggi che ce lo mostrano come un pensatore non particolarmente tenero: non ha alcuna obiezione da muovere all’idea di procedere all’eliminazione fisica delle persone handicappate. Si mostra, al tempo stesso, come un musulmano dalle vedute totalmente conformi all’ortodossia, di cui - non lo dimentichiamo - era un difensore istituzionale, in qualità di gran cadì di Cordova. Se egli afferma che il jihad volto a sradicare gli avversari dell’islam non risulta sempre auspicabile, è perché in certi casi si rischia di non uscirne vittoriosi. Ancora, in un’opera specificatamente filosofica, scritta appunto per difendere la legittimità della filosofia, egli conclude così un suo ragionamento: <<La negazione e la messa in discussione dei principi religiosi mette a rischio l’esistenza stessa dell’uomo; perciò è necessario uccidere gli eretici>>. Dunque, quando si fa di lui un <<avvocato della tolleranza>> mi viene un poco da sorridere…
[Rémi Brague: Dove va la storia? Dilemmi e speranze, Editrice La Scuola, 2015, p.68 - 69 - 70]