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Immagini come ricordi che riaffiorano, simili a ombre tenaci. Ricordi di boschi intricati come le oscurità dell’anima.
Le opere di Marco Rigamonti rivelano come le geografie della terra siano inseparabili dalle nostre emozioni e dalla nostra mente. Ogni sua immagine mostra un frammento di paesaggio, il quale riverbera verso di noi da una lontananza, da un altrove che ci accarezza e che ha la risonanza di un’eco perduta. Ci troviamo di fronte a una sorta di ritrovamento, a un incontro velato di malinconia e attraversato dal tempo. Già, il tempo: si narra che la fotografia non possa raccontare il passare del tempo, ma solo fissare implacabile un istante trascorso, delimitato e già concluso. Ma sarà del tutto vero?
Con le serie Perso nel bosco le sue immagini oscure ci fanno sentire il groviglio di rami che paiono quasi sfiorarci il volto e protendersi verso di noi. La lontananza dell’orizzonte si rovescia qui in un troppo vicino, nell’impossibilità di avere una visione “controllante” e razionale, perché ci si è letteralmente persi nel bosco e il vedere si è trasformato in un’esperienza del sentire, in qualcosa di instabile e pervasivo che sfugge al pensiero cosciente e che oscilla seguendo i movimenti di un corpo in cammino, come smarrito tra sterpi e prati strapazzati dal freddo. Con la loro logica discontinua e non lineare, tali immagini ombrose, fluttuanti e disorientanti, fanno vacillare il nostro senso del tempo e la nostra collocazione nello spazio. Esse trasformano infatti la fotografia nel registro sensibile di un’esperienza dentro la natura e non di fronte ad essa [Gigliola Foschi, 2018].
Le opere di Perso nel bosco sono state esposte alla galleria d’arte Studio Cenacchi di Bologna nel corso della mostra Tutto il silenzio che c’era, curata da Gigliola Foschi (gennaio-febbraio 2019).
Per i dettagli delle opere visita il sito della galleria Studio Cenacchi