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Cromofilie alfanumeriche
Conosco Andrea Bersani dai tempi dell’Istituto d’Arte, primi anni ‘70, in comune un insegnante come Pirro Cuniberti, grafico (anche pubblicitario) e artista al contempo, giacché in tal modo si leggono le sue opere nella scia di Paul Klee; epperò al tempo una simile attitudine era stimata alla stessa stregua di un discutibile, se non immorale, ossimoro visivo. Per quel che mi riguarda ho finito per privilegiare il lato artistico, serbando in salamoia ciò che di utile avevo appreso sia a livello grafico che formale – esperienza stigmatizzata come bifronte – infischiandomene del livore dei puristi. Inverso il cammino di Andrea, incline a privilegiare il lettering, la grafica pubblicitaria, ma con l’arte sempre in agguato dietro l’angolo, pronta a rivendicare le proprie ragioni sino a giungere alla briosa, enigmatica fabula grafico-cromatica dei giorni nostri.
Resta incomprensibile l’accennata riluttanza preventiva appurato che già artisti (rinascimentali) del calibro di Dürer e Cranach non disdegnarono d’occuparsi di lettering, di sigilli e loghi – coroncina e serpentello nel caso di Cranach – ragion per cui non occorre neanche rispolverare le estasi stilizzate dei codici miniati, né i relativi intrecci celtici, né tantomeno le arabescate scritture mediorientali. Da sempre le frontiere, i confini mostrano un fascino più o meno evidente, artistico o naturale come il bagnasciuga non importa, che presto invita al tentativo di restare in bilico come funamboli sulla cresta dell’onda. Annaspare di qua e di là per poi riemergere, affannati, affinché pizzicare quanto di meglio hanno da offrire entrambi i versanti.
Aggiornando la prospettiva, a ben vedere lo stesso Warhol s’è formato in qualità di grafico, vetrinista persino, fertile retaggio che come un guscio protettivo l’artista si trascina appresso per l’intera carriera. Dopodiché, rovesciando quel tanto che basta la clessidra, come valutare la figura di Milton Glaser? Davvero, pare restrittivo relegarlo nella dimensione del mero grafico, a partire dagli studi sul tratteggio effettuati alla corte di Giorgio Morandi. A che pro dunque incaponirsi nel sovranismo estetico, nel rivendicare un’invalicabile linea Maginot tra l’Arte e la Grafica? Eppure c’è chi s’ostina a farlo persino, ahimè, nei contesti deputati all’insegnamento della cultura visiva, docente di pittura ne so qualcosa. Comprensibile invece come l’attitudine vocata all’ibrido venga salutata dagli adepti come un arricchimento ma è pur vero che così facendo, complice il dualismo di cui sopra, l’emarginazione incombe su di loro come una spada di Damocle poiché minori sono le occasioni espositive, per lo meno in Italia se ci si limita al circuito delle gallerie d’arte.
Mai disperare però, mai mollare giacché i lavori di Andrea – ironicamente ribattezzati Typopainting – si fanno ammirare per lo spirito cromaticamente festoso, pettegolo stavo per dire, per la vivace osmosi tra le macchie di colore che screziate si spandono e la perdurante attitudine calligrafica che cerca invano di non farsi ammorbare, ma che poi – senza arrendersi definitivamente, fugando l’ombra del rimosso – si concede ai liquidi ghirigori galattici preservando, per quel che gli è consentito, un quid di tempra icastica ancorché tendenzialmente diafana. Ad onor del vero non c’è alcunché da leggere e, fate conto, le parate o le scoordinate, babeliche persino, orge alfanumeriche si trattengono in attesa di un detective capace di svelare, d’imbastire l’incombente dettato.
Diversamente dall’indole morigerata, cromaticamente francescana, che ha improntato non poca poesia visiva, nelle pagine di Andrea il respiro, l’alternarsi di pigmentati pieni e di superfici intonse – in breve, la forma fluens – non bandisce a priori l’opzione legata ad una anticartesiana eleganza formale, eleganza stigmatizzata come obsoleta dal mainstream artistico… ma già, scemo che sono, come si sente sempre più spesso dire, il fine dell’arte non è più contemplazione bensì comunicazione; epperò qui, vivaddio, entrambe le prospettive non mancano, e allora come si fa?
Bruno Benuzzi, Artista e Docente di Pittura
Per i dettagli delle opere visita il sito della galleria Studio Cenacchi