SUPPLICA DI OTTAVIO FERRARI AL SENATO E RELATIVO DECRETO
SUPPLICA DI OTTAVIO FERRARI AL SENATO E RELATIVO DECRETO
(14 aprile 1698, Genova)
Serenissimi Signori,
sono tre anni circa che, avendo il nobile Ottavio de Ferrari contratta qualche amicizia col pittore Gio. Lorenzo Bertolotto, questi lodò molto al detto Ferrari l’applicar per negozio alla compra de’ quadri con farli apprendere ch’era ottima la congiontura per fare un ragionevole guadagno, mentre vi era chi avea bisogno di vendere quadri di molta stima a prezzi mediocri et all’incontro sarebbe venuta richiesta di forastieri, come altre volte era seguìto, e segli esibì in questo caso di assisterlo perché non restasse ingannato. A queste persuasive mostrò qualche genio il detto nobile Ottavio a cui, dopo alcuni giorni, si portò Giacinto Badaracco ad esibirli la compra di un quadro spaciato per originale di Raffaele, con dire che era di persona incognita, e gliene domandò una grossa somma, giattando però che valeva molto più e che l’averebbe poi potuto vendere assai bene. Il fece pertanto, il detto Ferrari, vedere dal detto Bertolotto, affidandosi di quella sincerità con cui avea affettato di parlargliene, il quale lo assicurò essere originale di Raffaele e l’estimò in cento doppie, con persuaderlo a non lasciarlo. Onde, ritornato il detto Badaracco, restò convenuto con esso il prezzo in lire 800. Di lì a qualche tempo gliene portò diversi altri, spacciandoli chi per originale del Capacini, chi per del Tiziano, et essere di persone incognite che non voleano essere scoperte. E tutti fatti vedere dal medesimo Bertolotto che, per meglio deludere il detto Ferrari, il fece suo compadre, disse egli essere detti quadri originali de’ medesimi pittori che avea asserito il Badaracco e perciò di molta valuta; e di due fra gli altri, cioè di [quelli] del Capacini e di Tiziano, consta da due biglietti scritti dal detto [Ber]tolotto al detto nobile Ferrari. Sopra queste asserzioni ne fece esso la compra di sei e li pagò la somma di lire 4300 circa. Passò poco tempo che pervenne a notizia del detto Ferrari che il detto Badaracco avea ingannato Gio. Bertolomeo Sartorio con avergli venduta una copia per originale e che, avvertitone il Sartorio assai subito, obbligò il Badaracco a ripigliare il quadro e restituirgli il denaro, e subodorò che fossero tutti questi quadri del detto Bertolotto e che vi fosse una unione di alcuni pittori, fra quali il Bertolotto medesimo, che facevano queste trampe per utilitarsi con l’inganno altrui. Onde, entrato in sospetto di potere essere stato ancor lui ingannato, fece vedere da altri pittori i quadri che avea comprato dal detto Badaracco e furono da essi riconosciuti tutti per copie di pochissimo prezzo, eccetto quello spaciato per originale del Tiziano che pagò centodieci doppie per essere stato stimato molto più dal detto Bertolotto, di cui si fidava e da cui prendeva parere; il quale quadro è originale bensì, ma d’altro pittore estimato al più in 25 doppie. Sorpreso da ciò, il detto nobile Ottavio de Ferrari si dolse col detto Bertolotto d’essere stato defraudato et al detto Badaracco disse più volte che lo indennizasse di questo inganno, ma egli si andava scusando. Finalmente ieri l’altro ha confessato al detto Ferrari, per isgravio di sua coscienza, che i detti quadri vendutili erano del medesimo Bertolotto che gli avea fatto fare questo passaggio per mezzo della mercede che gli andava somministrando e che averebbe procurato di levare dal detto Bertolotto un altro quadro di valuta sotto finta di farlo vendere e che glielo averebbe portato in casa per appegnarlo, quando però gli avesse somministrata qualche partita. Così eseguì il Badaracco, ma resta il detto nobile Ottavio scoperto di una grossa somma. Onde, trovandosi con un sì grave pre[giudicio] d’una grandissima perdita, con una trufferia et inganno di questa sorte di cui pare che si faccia da esso e da qualche altri questa professione, riccorre implorando giustizia dalla somma providenza di vostre Signorie serenissime et umilmente le supplica a commetterne la cognitione al Magistrato eccellentissimo d’Inquisitori di Stato che averà ben forma di trovarne la verità, // la qual poi, riconosciuta, possa dar luogo a quelle provesioni che sono proprie dell’impareggiabile rettitudine di vostre Signorie serenissime, per indennità del detto supplicante e per castigo di operazioni così scandalose e pregiudiciali. Il che sperando profondamente s’inchina.
Di vostre Signorie serenissime
detto supplicante.
A tergo:
14 aprilis. Pro Octavio de Ferrariis.
Lire 1.16
† 1698 a 14 aprile.
Si trasmetta agli illustri Inquisitori di Stato perché prenda informazione di tutto il detto rappresentato, con facoltà al medesimo di poter far carcerare quella persona o persone che ritrovasse avere avuto dolo in detto fatto e rifera ciò che ne averà ricavato e quali provisioni si possano prendere. Per serenissimum Senatum ad calculos, absente serenissimo Duce egrotante, vocato tamen.
M(ontaldo) Anfrano (S.)1
[tratto dal CD allegato a Maurizia Migliorini e Alfonso Assini, Pittori in Tribunale, Un processo per copie e falsi alla fine del Seicento, Ilisso Edizioni, Nuoro, 2000]