Thomas Paine: Senso comune - Liberilibri
Per questo motivo la necessità, alla stregua di una forza gravitazionale, riunirebbe ben presto i nostri emigranti appena sbarcati in una società, dove i reciproci vantaggi sostituirebbero, rendendoli superflui, gli obblighi della legge e del governo fintanto che essi rimanessero perfettamente corretti l’uno nei confronti dell’altro. Ma dal momento che soltanto il cielo è impenetrabile al vizio, accadrà inevitabilmente che, superate mano a mano quelle prime difficoltà legate all’emigrazione che li avevano portati a fare causa comune, questi uomini cominceranno a provare meno attaccamento al proprio dovere e verso i Ipropri simili; e questa loro trascuratezza farà emergere la necessità di stabilire una qualche forma di governo che sopperisca all’insufficienza delle virtù morali.
Un albero adatto si presterà a fungere da parlamento, e sotto i suoi rami l’intera colonia potrà riunirsi per deliberare su questioni di pubblico interesse. È più che probabile che le loro prime leggi verranno chiamate semplicemente regole, e che l’unica sanzione per fari e rispettare sarà la pubblica disistima. In virtù del diritto naturale, in questo primo parlamento ogni uomo avrà un suo seggio. Mano a mano che la colonia cresce, tuttavia, aumenteranno in ugual misura i problemi d’interesse generale; e la distanza che potrà separare alcuni membri della società dagli altri renderà troppo scomodo il riunirsi tutti ad ogni occasione come avveniva all’inizio, quando il loro numero era esiguo, le loro abitazioni vicine, e le questioni di pubblico interesse poche e di scarsa importanza.
Diventerà allora chiaro quanto sia conveniente accettare che la parte legislativa venga affidata a un numero limitato di individui scelti all’interno della comunità, che si suppone condividano gli stessi interessi di coloro che li hanno designati e che si comporteranno nello stesso modo in cui si comporterebbe l’intera comunità se fosse presente. Se la colonia continua a ingrandirsi, sarà necessario aumentare il numero dei suoi rappresentanti; e per fare in modo che vengano tutelati gli interessi di ogni categoria della comunità, la soluzione migliore sarà quella di dividerla opportunamente in settori, ognuno dei quali invierà un adeguato numero di rappresentanti. Per evitare che gli eletti possano mai crearsi un interesse distinto da quello dei loro elettori, la prudenza suggerirà di indire le elezioni con molta frequenza; difatti, se grazie a questo meccanismo la persona che è stata eletta tornerà a mescolarsi alla massa degli elettori nel giro di pochi mesi, la sua fedeltà nei confronti della collettività verrà garantita dalla sua prudente preoccupazione di non scavarsi la fossa con le proprie mani. E dato che questo frequente avvicendamento instaurerà un interesse comune tra tutti i settori della comunità, essi si sosterranno gli uni con gli altri in modo reciproco e naturale; da questo (e non dal vano titolo di re) dipendono la forza del governo e la felicità dei governati.
Tali sono, dunque, l’origine e la fonte del governo, ossia di quello strumento che è reso necessario dall’incapacità delle virtù morali di governare il mondo; e tali sono anche il fine e lo scopo del governo, cioè la libertà e la sicurezza.
[Traduzione di Carla Maggiori, Liberilibri, 2005, pp.6-8]
Per questo motivo la necessità, alla stregua di una forza gravitazionale, riunirebbe ben presto i nostri emigranti appena sbarcati in una società, dove i reciproci vantaggi sostituirebbero, rendendoli superflui, gli obblighi della legge e del governo fintanto che essi rimanessero perfettamente corretti l’uno nei confronti dell’altro. Ma dal momento che soltanto il cielo è impenetrabile al vizio, accadrà inevitabilmente che, superate mano a mano quelle prime difficoltà legate all’emigrazione che li avevano portati a fare causa comune, questi uomini cominceranno a provare meno attaccamento al proprio dovere e verso i Ipropri simili; e questa loro trascuratezza farà emergere la necessità di stabilire una qualche forma di governo che sopperisca all’insufficienza delle virtù morali.
Un albero adatto si presterà a fungere da parlamento, e sotto i suoi rami l’intera colonia potrà riunirsi per deliberare su questioni di pubblico interesse. È più che probabile che le loro prime leggi verranno chiamate semplicemente regole, e che l’unica sanzione per fari e rispettare sarà la pubblica disistima. In virtù del diritto naturale, in questo primo parlamento ogni uomo avrà un suo seggio. Mano a mano che la colonia cresce, tuttavia, aumenteranno in ugual misura i problemi d’interesse generale; e la distanza che potrà separare alcuni membri della società dagli altri renderà troppo scomodo il riunirsi tutti ad ogni occasione come avveniva all’inizio, quando il loro numero era esiguo, le loro abitazioni vicine, e le questioni di pubblico interesse poche e di scarsa importanza.
Diventerà allora chiaro quanto sia conveniente accettare che la parte legislativa venga affidata a un numero limitato di individui scelti all’interno della comunità, che si suppone condividano gli stessi interessi di coloro che li hanno designati e che si comporteranno nello stesso modo in cui si comporterebbe l’intera comunità se fosse presente. Se la colonia continua a ingrandirsi, sarà necessario aumentare il numero dei suoi rappresentanti; e per fare in modo che vengano tutelati gli interessi di ogni categoria della comunità, la soluzione migliore sarà quella di dividerla opportunamente in settori, ognuno dei quali invierà un adeguato numero di rappresentanti. Per evitare che gli eletti possano mai crearsi un interesse distinto da quello dei loro elettori, la prudenza suggerirà di indire le elezioni con molta frequenza; difatti, se grazie a questo meccanismo la persona che è stata eletta tornerà a mescolarsi alla massa degli elettori nel giro di pochi mesi, la sua fedeltà nei confronti della collettività verrà garantita dalla sua prudente preoccupazione di non scavarsi la fossa con le proprie mani. E dato che questo frequente avvicendamento instaurerà un interesse comune tra tutti i settori della comunità, essi si sosterranno gli uni con gli altri in modo reciproco e naturale; da questo (e non dal vano titolo di re) dipendono la forza del governo e la felicità dei governati.
Tali sono, dunque, l’origine e la fonte del governo, ossia di quello strumento che è reso necessario dall’incapacità delle virtù morali di governare il mondo; e tali sono anche il fine e lo scopo del governo, cioè la libertà e la sicurezza.
[Traduzione di Carla Maggiori, Liberilibri, 2005, pp.6-8]