Thomas Paine: Senso comune - Liberilibri

La società, qualunque ne sia la forma, rappresenta una benedizione, laddove il governo non è che un male necessario nella sua forma migliore, mentre in quella peggiore è un male intollerabile. Infatti, quando soffriamo o sopportiamo ad opera di un governo quelle stesse sventure che ci aspetteremmo di patire in un paese privo di governo, la nostra disgrazia è acuita dalla considerazione che siamo noi stessi a fornire gli strumenti della nostra sofferenza. Il governo costituisce, proprio come gli abiti, il simbolo della perduta innocenza; i palazzi dei re sono stati eretti sulle rovine delle dimore del paradiso terrestre.Difatti, se gli impulsi della coscienza fossero chiari e coerenti, e venissero osservati in modo inflessibile, l’uomo non avrebbe bisogno di altro legislatore; ma non essendo questo il caso, egli si vede costretto a rinunciare a una parte di quanto gli appartiene per fornire gli strumenti necessari a proteggere il resto. A questo lo induce quella stessa prudenza che in ogni altra circostanza gli suggerisce di scegliere, tra due mali, il minore. Ragion per cui, essendo la sicurezza il vero scopo e il vero obiettivo del governo, ne consegue irrefutabilmente che la forma di governo da preferirsi a tutte le altre è quella che sembra la più idonea a garantirci tale sicurezza con la minore spesa e i maggiori vantaggi.Per farci un’idea chiara ed obiettiva dello scopo e dei fini del governo, immaginiamo che un ristretto numero di persone si insedi in un angolo remoto del pianeta e senza collegamenti con il resto del mondo, così da rappresentare il primo nucleo abitativo di un paese, o del mondo intero. In questo stato di libertà naturale, il loro primo pensiero sarà la società. Mille motivi diversi le spingeranno in questa direzione: la forza di un singolo uomo è talmente sproporzionata ai suoi bisogni, e il suo spirito è tanto poco adatto alla solitudine perpetua, che egli ben presto si vedrà costretto a cercare l’assistenza e l’aiuto di un altro essere umano, che a sua volta si trova nella stessa condizione. Quattro o cinque uomini insieme sarebbero in grado di costruire un’abitazione nel bel mezzo di una landa desolata, ma un uomo solo potrebbe faticare tutta la vita senza ottenere alcun risultato: anche se si procurasse il legname che gli serve, non sarebbe in grado di trasportarlo, né di sollevarlo dopo averlo trasportato; nel frattempo, la fame lo distoglierebbe dal lavoro, e ogni diversa necessità lo spingerebbe in una diversa direzione. La malattia o qualsiasi altra sfortunata circostanza significherebbero morte certa, perché anche se non fossero di per sé mortali, ognuna di esse gli renderebbe impossibile vivere, e lo ridurrebbe in uno stato tale da poterlo definire, se non morto, perlomeno distrutto.

Per questo motivo la necessità, alla stregua di una forza gravitazionale, riunirebbe ben presto i nostri emigranti appena sbarcati in una società, dove i reciproci vantaggi sostituirebbero, rendendoli superflui, gli obblighi della legge e del governo fintanto che essi rimanessero perfettamente corretti l’uno nei confronti dell’altro. Ma dal momento che soltanto il cielo è impenetrabile al vizio, accadrà inevitabilmente che, superate mano a mano quelle prime difficoltà legate all’emigrazione che li avevano portati a fare causa comune, questi uomini cominceranno a provare meno attaccamento al proprio dovere e verso i Ipropri simili; e questa loro trascuratezza farà emergere la necessità di stabilire una qualche forma di governo che sopperisca all’insufficienza delle virtù morali.

Un albero adatto si presterà a fungere da parlamento, e sotto i suoi rami l’intera colonia potrà riunirsi per deliberare su questioni di pubblico interesse. È più che probabile che le loro prime leggi verranno chiamate semplicemente regole, e che l’unica sanzione per fari e rispettare sarà la pubblica disistima. In virtù del diritto naturale, in questo primo parlamento ogni uomo avrà un suo seggio. Mano a mano che la colonia cresce, tuttavia, aumenteranno in ugual misura i problemi d’interesse generale; e la distanza che potrà separare alcuni membri della società dagli altri renderà troppo scomodo il riunirsi tutti ad ogni occasione come avveniva all’inizio, quando il loro numero era esiguo, le loro abitazioni vicine, e le questioni di pubblico interesse poche e di scarsa importanza.

Diventerà allora chiaro quanto sia conveniente accettare che la parte legislativa venga affidata a un numero limitato di individui scelti all’interno della comunità, che si suppone condividano gli stessi interessi di coloro che li hanno designati e che si comporteranno nello stesso modo in cui si comporterebbe l’intera comunità se fosse presente. Se la colonia continua a ingrandirsi, sarà necessario aumentare il numero dei suoi rappresentanti; e per fare in modo che vengano tutelati gli interessi di ogni categoria della comunità, la soluzione migliore sarà quella di dividerla opportunamente in settori, ognuno dei quali invierà un adeguato numero di rappresentanti. Per evitare che gli eletti possano mai crearsi un interesse distinto da quello dei loro elettori, la prudenza suggerirà di indire le elezioni con molta frequenza; difatti, se grazie a questo meccanismo la persona che è stata eletta tornerà a mescolarsi alla massa degli elettori nel giro di pochi mesi, la sua fedeltà nei confronti della collettività verrà garantita dalla sua prudente preoccupazione di non scavarsi la fossa con le proprie mani. E dato che questo frequente avvicendamento instaurerà un interesse comune tra tutti i settori della comunità, essi si sosterranno gli uni con gli altri in modo reciproco e naturale; da questo (e non dal vano titolo di re) dipendono la forza del governo e la felicità dei governati.

Tali sono, dunque, l’origine e la fonte del governo, ossia di quello strumento che è reso necessario dall’incapacità delle virtù morali di governare il mondo; e tali sono anche il fine e lo scopo del governo, cioè la libertà e la sicurezza.

[Traduzione di Carla Maggiori, Liberilibri, 2005, pp.6-8]

La società, qualunque ne sia la forma, rappresenta una benedizione, laddove il governo non è che un male necessario nella sua forma migliore, mentre in quella peggiore è un male intollerabile. Infatti, quando soffriamo o sopportiamo ad opera di un governo quelle stesse sventure che ci aspetteremmo di patire in un paese privo di governo, la nostra disgrazia è acuita dalla considerazione che siamo noi stessi a fornire gli strumenti della nostra sofferenza. Il governo costituisce, proprio come gli abiti, il simbolo della perduta innocenza; i palazzi dei re sono stati eretti sulle rovine delle dimore del paradiso terrestre.Difatti, se gli impulsi della coscienza fossero chiari e coerenti, e venissero osservati in modo inflessibile, l’uomo non avrebbe bisogno di altro legislatore; ma non essendo questo il caso, egli si vede costretto a rinunciare a una parte di quanto gli appartiene per fornire gli strumenti necessari a proteggere il resto. A questo lo induce quella stessa prudenza che in ogni altra circostanza gli suggerisce di scegliere, tra due mali, il minore. Ragion per cui, essendo la sicurezza il vero scopo e il vero obiettivo del governo, ne consegue irrefutabilmente che la forma di governo da preferirsi a tutte le altre è quella che sembra la più idonea a garantirci tale sicurezza con la minore spesa e i maggiori vantaggi.Per farci un’idea chiara ed obiettiva dello scopo e dei fini del governo, immaginiamo che un ristretto numero di persone si insedi in un angolo remoto del pianeta e senza collegamenti con il resto del mondo, così da rappresentare il primo nucleo abitativo di un paese, o del mondo intero. In questo stato di libertà naturale, il loro primo pensiero sarà la società. Mille motivi diversi le spingeranno in questa direzione: la forza di un singolo uomo è talmente sproporzionata ai suoi bisogni, e il suo spirito è tanto poco adatto alla solitudine perpetua, che egli ben presto si vedrà costretto a cercare l’assistenza e l’aiuto di un altro essere umano, che a sua volta si trova nella stessa condizione. Quattro o cinque uomini insieme sarebbero in grado di costruire un’abitazione nel bel mezzo di una landa desolata, ma un uomo solo potrebbe faticare tutta la vita senza ottenere alcun risultato: anche se si procurasse il legname che gli serve, non sarebbe in grado di trasportarlo, né di sollevarlo dopo averlo trasportato; nel frattempo, la fame lo distoglierebbe dal lavoro, e ogni diversa necessità lo spingerebbe in una diversa direzione. La malattia o qualsiasi altra sfortunata circostanza significherebbero morte certa, perché anche se non fossero di per sé mortali, ognuna di esse gli renderebbe impossibile vivere, e lo ridurrebbe in uno stato tale da poterlo definire, se non morto, perlomeno distrutto.

Per questo motivo la necessità, alla stregua di una forza gravitazionale, riunirebbe ben presto i nostri emigranti appena sbarcati in una società, dove i reciproci vantaggi sostituirebbero, rendendoli superflui, gli obblighi della legge e del governo fintanto che essi rimanessero perfettamente corretti l’uno nei confronti dell’altro. Ma dal momento che soltanto il cielo è impenetrabile al vizio, accadrà inevitabilmente che, superate mano a mano quelle prime difficoltà legate all’emigrazione che li avevano portati a fare causa comune, questi uomini cominceranno a provare meno attaccamento al proprio dovere e verso i Ipropri simili; e questa loro trascuratezza farà emergere la necessità di stabilire una qualche forma di governo che sopperisca all’insufficienza delle virtù morali.

Un albero adatto si presterà a fungere da parlamento, e sotto i suoi rami l’intera colonia potrà riunirsi per deliberare su questioni di pubblico interesse. È più che probabile che le loro prime leggi verranno chiamate semplicemente regole, e che l’unica sanzione per fari e rispettare sarà la pubblica disistima. In virtù del diritto naturale, in questo primo parlamento ogni uomo avrà un suo seggio. Mano a mano che la colonia cresce, tuttavia, aumenteranno in ugual misura i problemi d’interesse generale; e la distanza che potrà separare alcuni membri della società dagli altri renderà troppo scomodo il riunirsi tutti ad ogni occasione come avveniva all’inizio, quando il loro numero era esiguo, le loro abitazioni vicine, e le questioni di pubblico interesse poche e di scarsa importanza.

Diventerà allora chiaro quanto sia conveniente accettare che la parte legislativa venga affidata a un numero limitato di individui scelti all’interno della comunità, che si suppone condividano gli stessi interessi di coloro che li hanno designati e che si comporteranno nello stesso modo in cui si comporterebbe l’intera comunità se fosse presente. Se la colonia continua a ingrandirsi, sarà necessario aumentare il numero dei suoi rappresentanti; e per fare in modo che vengano tutelati gli interessi di ogni categoria della comunità, la soluzione migliore sarà quella di dividerla opportunamente in settori, ognuno dei quali invierà un adeguato numero di rappresentanti. Per evitare che gli eletti possano mai crearsi un interesse distinto da quello dei loro elettori, la prudenza suggerirà di indire le elezioni con molta frequenza; difatti, se grazie a questo meccanismo la persona che è stata eletta tornerà a mescolarsi alla massa degli elettori nel giro di pochi mesi, la sua fedeltà nei confronti della collettività verrà garantita dalla sua prudente preoccupazione di non scavarsi la fossa con le proprie mani. E dato che questo frequente avvicendamento instaurerà un interesse comune tra tutti i settori della comunità, essi si sosterranno gli uni con gli altri in modo reciproco e naturale; da questo (e non dal vano titolo di re) dipendono la forza del governo e la felicità dei governati.

Tali sono, dunque, l’origine e la fonte del governo, ossia di quello strumento che è reso necessario dall’incapacità delle virtù morali di governare il mondo; e tali sono anche il fine e lo scopo del governo, cioè la libertà e la sicurezza.

[Traduzione di Carla Maggiori, Liberilibri, 2005, pp.6-8]