Victor Hugo (1802-1884) CLAUDE GUEUX
Claude Gueux venne dunque rinchiuso come gli altri nel laboratorio, assieme ai suoi compagni di lavoro.
Si svolse allora una scena straordinaria, una scena non pri- va di maestosità né di terrore, l’unica di questo genere che una storia possa raccontare.
Si trovavano là, come venne constatato più tardi dall’istrut- toria, ottantadue ladri, compreso Claude.
Non appena i sorveglianti li ebbero lasciati soli, Claude si mise in piedi sul suo banco e annunciò a tutta la camerata di avere qualcosa da dire. Si fece silenzio.
Allora Claude alzò la voce e disse:
- Sapete tutti che Albino era mio fratello. Quello che mi danno da mangiare qui non mi basta. Anche se comprassi un po’ di pane con quel poco che guadagno, non mi basterebbe. Albino divideva con me la sua razione, e io l’ho amato all’inizio perché mi sfamava, poi perché anch’egli mi amava. Il direttore ci ha separati, malgrado non dovesse importargliene niente che stessimo assieme; ma è un uomo cattivo, che gode nel tormentare gli altri. Gli ho chiesto di ridarmi Albino, ma egli, l’avete visto, non ha voluto. Gli ho dato fino al 4 novembre, per farlo, e lui mi ha messo in isolamento per aver detto questo. Da parte mia, intanto, l’ho giudicato e l’ho condannato a morte. Oggi è il 4 novembre. Fra due ore verrà a fare il suo giro; vi voglio avvisare che lo ucciderò. Avete qualcosa da dirmi al proposito?
Nessuno fiatò.
Claude riprese. Parlò come gli veniva, con grande eloquenza, come d’altronde gli era naturale. Dichiarò di essere consapevole che stava per commettere un’azione violenta, ma anche di credere di non essere nel torto. Prese a testimoni le coscienze degli ottantuno ladri che lo stavano ad ascoltare. Testimoni che egli si trovava in una difficile, estrema situazione. Che la necessità di farsi giustizia da soli è un vicolo cieco in cui a volte ci si può trovare costretti. Che in verità non poteva prendere la vita del direttore senza dare la propria, ma che gli sembrava onesto dare la vita per una causa giusta. Che negli ultimi due mesi aveva riflettuto molto sulla cosa, e solo su quella. Che era convinto di non lasciarsi trascinare dal rancore, ma se fosse stato così, lo mettessero in guardia. Che egli sottometteva con lealtà le sue motivazioni all’opinione degli uomini giusti che lo stavano ascoltando. Che egli dun- que stava per uccidere M. D., ma se qualcuno aveva da fare qualche obiezione era pronto ad ascoltarlo.
Si alzò una sola voce, per dire che prima d’uccidere il direttore Claude doveva fare ancora un tentativo di parlargli, di convincerlo.
- È giusto, disse Claude, e lo farò.
...
L’arringa d’accusa e l’arringa di difesa furono, ciascuna a suo modo, le evoluzioni che si usano fare in questa specie d’ippodromo che viene chiamato processo penale.
...
Soltanto una volta si lasciò andare a uno scoppio di collera. Il procuratore aveva stabilito, nel discorso che abbiamo riportato per intero, che Claude Gueux aveva ucciso il direttore dei laboratori senza che questi fosse stato aggressivo o violento, e quindi senza provocazione.
- Come?! gridò Claude, non sarei stato provocato? Ah! sì, davvero, è giusto. Capisco cosa volete dire. Un uomo ubriaco mi dà un pugno, io lo uccido, ma voi dite che sono stato provocato e mi graziate, mi risparmiate la pena di morte. Ma un uomo che non è ubriaco e sa quel che fa soffoca il mio cuore per quattro anni, mi umilia per quattro anni, mi tormenta ogni giorno, ogni ora, ogni minuto, nei momenti più imprevedibili, per quattro anni! Avevo una donna, per la quale ho rubato, e lui mi tortura su questa donna; avevo un figlio, per il quale ho rubato, e lui mi tortura su questo figlio; non avevo pane a sufficienza, un amico divide il suo con me, e lui mi toglie l’amico e il pane. Chiedo che il mio amico mi venga restituito e lui mi mette in cella d’isolamento. Tratto quello spione con il voi, e lui mi tratta con il tu. Gli dico che soffro, e lui risponde che lo annoio. Allora, come avrei dovuto reagire? L’ho ucciso. Bene, sono un mostro, ho ucciso quest’uomo, non sono stato provocato, e voi mi tagliate la testa. Fate pure!
Impeto sublime, a nostro parere, che d’un tratto faceva emergere, al di sopra del sistema di provocazione materiale, sul quale s’appoggia la traballante scala delle circostanze attenuanti, tutta una teoria della provocazione morale di cui la legge s’è dimenticata.
Conclusasi l’udienza, il presidente riassunse il quadro in modo imparziale e illuminato: una vita malvagia; un vero mostro; Claude Gueux aveva iniziato col vivere in concubinaggio con una donna pubblica; poi aveva rubato; infine aveva ucciso. Era tutto vero.
[Liberilibri, Macerata, 1997, pp. 21-22, 28-29]