William Shakespeare (1564-1616) CORIOLANO
Atto III, Scena III
Sicinio. Avvicinatevi, o voi del popolo.
Edile. Ascoltate i vostri Tribuni: attenzione, silenzio, dico.
Coriolano. Prima ascoltatemi.
Tribuni. Bene, parlate. Silenzio, oh!
Coriolano. Sarò io accusato ancora oltre al momento presente o tutto deve decidersi qui?
Sicinio. lo vi chiedo se voi vi sottomettete ai suffragi del popolo, se riconoscete i loro magistrati e se consentite a subire la pena legale per quelle colpe che saranno provate contro di voi?
Coriolano. lo consento.
Menenio. Udite, cittadini, egli dice che consente; considerate i servizi militari che egli ha reso: pensate alle ferite che reca il suo corpo e che appaiono come tombe nel santo cimitero.
Coriolano. Sgraffiature di spine: cicatrici che farebbero ridere.
Menenio. Pensate inoltre che quando egli non parla come un cittadino, voi ritrovate in lui il soldato. Non scambiate i suoi rudi accenti per accenti malevoli: ma, come dicevo, considerateli quali si convengono a un soldato, anziché ispirati da odio per voi.
Cominio. Bene, bene, non più.
Coriolano. Per quale motivo, essendo io stato nominato console a voti unanimi, sono stato disonorato al punto che nella stessa ora mi togliete di nuovo il consolato?
Sicinio. Rispondete a noi.
Coriolano. Parlate dunque: è vero, è mio dovere il rispondere.
Sicinio. Noi vi accusiamo di aver cospirato per togliere a Roma tutte le magistrature costituite, e per salire tortuosamente fino al potere tirannico: per la qual cosa siete un traditore del popolo.
Coriolano. Come: traditore?
Menenio. Ma no, calmo: la vostra promessa.
Coriolano. Che le fiamme del più profondo inferno avvolgano il popolo: chiamarmi loro traditore! Tu, insolente Tribuno: se nei tuoi occhi si annidassero non una, ma ventimila morti, e altrettanti milioni serrati nelle tue mani, e nella tua lingua bugiarda entrambi questi numeri, io direi a te ugualmente, con voce sincera come quando prego gli dei: «tu menti».
Sicinio. Sentite questo, o voi del popolo? Cittadini. Alla rupe; alla rupe!
Sicinio. Silenzio! non abbiamo bisogno di aggiungere nuovi elementi a sua accusa: quello che gli avete visto fare e quello che gli avete sentito dire; battere i vostri ufficiali, maledire voi, opporsi alla legge colla violenza, e qui sfidare quelli il cui grande potere deve giudicarlo, tutto questo è un tal crimine e un crimine così capitale, che merita l’ultimo supplizio.
Bruto. Ma dacché egli ha servito Roma bene ...
Coriolano. Cosa ciarlate voi di servizio?
Brillo. lo parlo di ciò che conosco.
Coriolano. Voi?
Menenio. E’ questa la promessa che avete fatta a vostra madre?
Cominio. Sappiate, vi prego ...
Coriolano. Non voglio saper altro: che essi mi condannino alla precipite morte tarpea, all’errabondo esilio, allo scorticamento, a esser rinchiuso per languire con un solo chicco di grano al giorno, io non comprerò la loro pietà al prezzo di una sola parola adulatoria: né frenerò il mio animo per tutto quello che possono darmi, anche se dovessi ottenerlo col dire semplicemente: buon giorno.
[da Shakespeare Teatro, Volume III, Sansoni Firenze, 1961, sotto la direzione di Mario Praz, versione di Guido Ferrando, pp. 588-590].
Atto III, Scena III
Sicinio. Avvicinatevi, o voi del popolo.
Edile. Ascoltate i vostri Tribuni: attenzione, silenzio, dico.
Coriolano. Prima ascoltatemi.
Tribuni. Bene, parlate. Silenzio, oh!
Coriolano. Sarò io accusato ancora oltre al momento presente o tutto deve decidersi qui?
Sicinio. lo vi chiedo se voi vi sottomettete ai suffragi del popolo, se riconoscete i loro magistrati e se consentite a subire la pena legale per quelle colpe che saranno provate contro di voi?
Coriolano. lo consento.
Menenio. Udite, cittadini, egli dice che consente; considerate i servizi militari che egli ha reso: pensate alle ferite che reca il suo corpo e che appaiono come tombe nel santo cimitero.
Coriolano. Sgraffiature di spine: cicatrici che farebbero ridere.
Menenio. Pensate inoltre che quando egli non parla come un cittadino, voi ritrovate in lui il soldato. Non scambiate i suoi rudi accenti per accenti malevoli: ma, come dicevo, considerateli quali si convengono a un soldato, anziché ispirati da odio per voi.
Cominio. Bene, bene, non più.
Coriolano. Per quale motivo, essendo io stato nominato console a voti unanimi, sono stato disonorato al punto che nella stessa ora mi togliete di nuovo il consolato?
Sicinio. Rispondete a noi.
Coriolano. Parlate dunque: è vero, è mio dovere il rispondere.
Sicinio. Noi vi accusiamo di aver cospirato per togliere a Roma tutte le magistrature costituite, e per salire tortuosamente fino al potere tirannico: per la qual cosa siete un traditore del popolo.
Coriolano. Come: traditore?
Menenio. Ma no, calmo: la vostra promessa.
Coriolano. Che le fiamme del più profondo inferno avvolgano il popolo: chiamarmi loro traditore! Tu, insolente Tribuno: se nei tuoi occhi si annidassero non una, ma ventimila morti, e altrettanti milioni serrati nelle tue mani, e nella tua lingua bugiarda entrambi questi numeri, io direi a te ugualmente, con voce sincera come quando prego gli dei: «tu menti».
Sicinio. Sentite questo, o voi del popolo? Cittadini. Alla rupe; alla rupe!
Sicinio. Silenzio! non abbiamo bisogno di aggiungere nuovi elementi a sua accusa: quello che gli avete visto fare e quello che gli avete sentito dire; battere i vostri ufficiali, maledire voi, opporsi alla legge colla violenza, e qui sfidare quelli il cui grande potere deve giudicarlo, tutto questo è un tal crimine e un crimine così capitale, che merita l’ultimo supplizio.
Bruto. Ma dacché egli ha servito Roma bene ...
Coriolano. Cosa ciarlate voi di servizio?
Brillo. lo parlo di ciò che conosco.
Coriolano. Voi?
Menenio. E’ questa la promessa che avete fatta a vostra madre?
Cominio. Sappiate, vi prego ...
Coriolano. Non voglio saper altro: che essi mi condannino alla precipite morte tarpea, all’errabondo esilio, allo scorticamento, a esser rinchiuso per languire con un solo chicco di grano al giorno, io non comprerò la loro pietà al prezzo di una sola parola adulatoria: né frenerò il mio animo per tutto quello che possono darmi, anche se dovessi ottenerlo col dire semplicemente: buon giorno.
[da Shakespeare Teatro, Volume III, Sansoni Firenze, 1961, sotto la direzione di Mario Praz, versione di Guido Ferrando, pp. 588-590].