William Shakespeare (1564-1616): Tito Andronico

Atto IV - Scena IIITITO - Avanti, avanti, Marco, miei parenti,

da questa parte.

(Al Giovane Lucio)

Avanti, signorino,

fammi vedere come tiri d’arco.

Bada a tenderlo bene e a mirar dritto.

Terras Astraea reliquit”:

ricordatelo, Marco, se n’è andata,

volata via. Mano agli arnesi, amici.

(A Lucio e suo figlio)

Voi due andrete a scandagliar l’oceano

e gettare le reti: forse in mare

la potrete pescare, anche se là

giustizia ce n’è poca, come in terra.

No, no, Publio e Sempronio,

voi due dovete fare un’altra cosa:

scavare con la zappa e con la vanga

fino al centro remoto della terra,

e, giunti alla regione di Plutone,

gli lascerete questa petizione,

che chiede, ditegli, giustizia e aiuto,

e che è da parte del vecchio Andronico.

esacerbato nell’ingrata Roma.

Ah, Roma, quanto t’ho fatto infelice

nel riversare i suffragi del popolo

su uno che così mi tiranneggia!

Andate, su, e vi prego, state attenti

a non lasciare ogni nave da guerra

senza averla ben bene perquisita:

perché questo malvagio imperatore

può averla allontanata per via mare

la giustizia, ed allora, amici miei,

avremo un bel fischiarle dietro, noi!(123)

MARCO - Ah, Publio, che dolore,

veder così sconvolto nella mente

il tuo nobile zio!

PUBLIO - Proprio per questo

dobbiam sentirci tanto più obbligati

a stargli accanto sempre, giorno e notte,

assecondandolo affettuosamente

nelle sue stramberie, signori miei,

finché il tempo non generi un rimedio.

MARCO - Rimedio ai suoi dolori,

cari figlioli miei, non ce n’è più.

Stringiamo dunque alleanza coi Goti,

e con loro scendiamo contro Roma,

in guerra di vendetta,

per punirla di tanta ingratitudine,

e contro il traditore Saturnino.

TITO - Allora, Publio? Allora, miei signori?

Che! L’avete trovata finalmente.?

PUBLIO - No, mio dolce signore;

Plutone tuttavia ti manda a dire
che se cerchi vendetta,
potrai trovarla solo nell’inferno,
perché in cielo, lui pensa, o in altro posto,
la giustizia è talmente indaffarata
lassù con Giove, che dovrai, se no,
aspettarla chissà per quanto tempo.

TITO - Mi fa torto, a nutrirmi di rinvii.

Vuol dire allora che mi tufferò

nel lago ardente che sta sottoterra

e la tirerò su per i talloni

fuor d’Acheronte. Noi non siamo, Marco,

che cespugli, non siamo cedri, noi,

né siamo uomini dalle grandi ossa

formati sullo stampo di ciclopi:

metallo, siamo acciaio, Marco, sì,

fino alla schiena, ma siamo gravati

del peso di più torti

che possan sopportare le nostre schiene.

E se non c’è giustizia sulla terra
né all’inferno, ci volgeremo al cielo
e a smuovere gli dèi a mandar giù
Giustizia a vendicare i nostri torti.
E dunque, su, al lavoro.

(Distribuisce le frecce, ciascuna delle quali con un messaggio attaccato alla punta)

A te, Marco, tu sei un bravo arciere:

questa è per te, “ad Jovem”;

quest’altra prendila tu, “Ad Apollinem”;

questa me la riservo a me: “Ad Martem”;

qua, ragazzo, per te: questa è per Pallade;

questa a te, per Mercurio;

e per te, Caio, questa, per Saturno

(non Saturnino, ché tanto varrebbe

mandarla controvento).

Pronti allora, ragazzo! Pronti, Marco

attenti al mio segnale!

Eh, perbacco, le ho preparate bene!

Non c’è un sol dio lasciato senza supplica!

[Traduzione di Goffredo Raponi, tratto da Liber Liber: http://www.liberliber.it]

Atto IV - Scena IIITITO - Avanti, avanti, Marco, miei parenti,

da questa parte.

(Al Giovane Lucio)

Avanti, signorino,

fammi vedere come tiri d’arco.

Bada a tenderlo bene e a mirar dritto.

Terras Astraea reliquit”:

ricordatelo, Marco, se n’è andata,

volata via. Mano agli arnesi, amici.

(A Lucio e suo figlio)

Voi due andrete a scandagliar l’oceano

e gettare le reti: forse in mare

la potrete pescare, anche se là

giustizia ce n’è poca, come in terra.

No, no, Publio e Sempronio,

voi due dovete fare un’altra cosa:

scavare con la zappa e con la vanga

fino al centro remoto della terra,

e, giunti alla regione di Plutone,

gli lascerete questa petizione,

che chiede, ditegli, giustizia e aiuto,

e che è da parte del vecchio Andronico.

esacerbato nell’ingrata Roma.

Ah, Roma, quanto t’ho fatto infelice

nel riversare i suffragi del popolo

su uno che così mi tiranneggia!

Andate, su, e vi prego, state attenti

a non lasciare ogni nave da guerra

senza averla ben bene perquisita:

perché questo malvagio imperatore

può averla allontanata per via mare

la giustizia, ed allora, amici miei,

avremo un bel fischiarle dietro, noi!(123)

MARCO - Ah, Publio, che dolore,

veder così sconvolto nella mente

il tuo nobile zio!

PUBLIO - Proprio per questo

dobbiam sentirci tanto più obbligati

a stargli accanto sempre, giorno e notte,

assecondandolo affettuosamente

nelle sue stramberie, signori miei,

finché il tempo non generi un rimedio.

MARCO - Rimedio ai suoi dolori,

cari figlioli miei, non ce n’è più.

Stringiamo dunque alleanza coi Goti,

e con loro scendiamo contro Roma,

in guerra di vendetta,

per punirla di tanta ingratitudine,

e contro il traditore Saturnino.

TITO - Allora, Publio? Allora, miei signori?

Che! L’avete trovata finalmente.?

PUBLIO - No, mio dolce signore;

Plutone tuttavia ti manda a dire
che se cerchi vendetta,
potrai trovarla solo nell’inferno,
perché in cielo, lui pensa, o in altro posto,
la giustizia è talmente indaffarata
lassù con Giove, che dovrai, se no,
aspettarla chissà per quanto tempo.

TITO - Mi fa torto, a nutrirmi di rinvii.

Vuol dire allora che mi tufferò

nel lago ardente che sta sottoterra

e la tirerò su per i talloni

fuor d’Acheronte. Noi non siamo, Marco,

che cespugli, non siamo cedri, noi,

né siamo uomini dalle grandi ossa

formati sullo stampo di ciclopi:

metallo, siamo acciaio, Marco, sì,

fino alla schiena, ma siamo gravati

del peso di più torti

che possan sopportare le nostre schiene.

E se non c’è giustizia sulla terra
né all’inferno, ci volgeremo al cielo
e a smuovere gli dèi a mandar giù
Giustizia a vendicare i nostri torti.
E dunque, su, al lavoro.

(Distribuisce le frecce, ciascuna delle quali con un messaggio attaccato alla punta)

A te, Marco, tu sei un bravo arciere:

questa è per te, “ad Jovem”;

quest’altra prendila tu, “Ad Apollinem”;

questa me la riservo a me: “Ad Martem”;

qua, ragazzo, per te: questa è per Pallade;

questa a te, per Mercurio;

e per te, Caio, questa, per Saturno

(non Saturnino, ché tanto varrebbe

mandarla controvento).

Pronti allora, ragazzo! Pronti, Marco

attenti al mio segnale!

Eh, perbacco, le ho preparate bene!

Non c’è un sol dio lasciato senza supplica!

[Traduzione di Goffredo Raponi, tratto da Liber Liber: http://www.liberliber.it]