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Diritto di non utilizzare le parti comuni in condominio: il riscaldamento centralizzato

La riflessione in questione è eminentemente di taglio pratico in quanto investe una fattispecie che nella vita di un condominio si verifica con rilevante frequenza, soprattutto allorquando si tratta di immobili di una certa età.

In via di principio va subito affermato come il singolo condomino in via generale abbia la possibilità di rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato presente nell’immobile condominiale, e che costituisce un accessorio di proprietà comune a tutti i condomini. In proposito l’art. 1117 c.c., nel definire in maniera omnicomprensiva come <parti comuni dell’edificio> le opere che servono all’uso e al godimento comune, con riferimento agli impianti per il riscaldamento, statuisce testualmente che gli stessi devono ritenersi tali “fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”.

La rinunzia in questione è possibile, in sostanza, in due ipotesi:

a) il condomino formula richiesta in tal senso all’assemblea, e viene autorizzato a farlo;

b) in mancanza, per distaccarsi legittimamente il condomino è tenuto a dimostrare che dal distacco non derivi, a carico di tutti gli altri condomini, un aggravio nelle spese di gestione, ovvero uno squilibrio termico, che potrebbe sussistere anche per un profilo di idoneità tecnica dell’impianto stesso, nel caso in cui esso, progettato e realizzato per servire in maniera ottimale un determinato numero di appartamenti, per ipotesi non riesca a farlo allo stesso modo se gli appartamenti concretamente raggiunti siano in numero inferiore.

Pertanto, se il regolamento di condominio non pone un divieto in tal senso, il singolo condomino potrà chiedere all’assemblea di distaccarsi dal riscaldamento centralizzato perché intenzionato a dotare il proprio immobile di un impianto autonomo, ed ove riceva un rifiuto, potrà distaccarsi in modo autonomo, sempre che il distacco non provochi aumenti di spesa per i condomini che continuino a servirsi dell’impianto centralizzato, né sia causa di uno squilibrio termico in grado di pregiudicare il regolare funzionamento dell’impianto.

La legittimità della autonoma rinunzia, poi, rinviene anche un ulteriore elemento di sostegno in una legge speciale, il D.P.R. 26.8.1993 N. 412, che all’art. 1, lettera L riconosce la espressa facoltà al singolo condomino di dotare la propria abitazione di un impianto termico a risparmio energetico, sul presupposto del previo distacco dall’impianto centralizzato.

Qualora si verifichi il distacco, il condomino che lo pone in essere non è tenuto, ovviamente, al pagamento delle spese di utilizzo dell’impianto centralizzato - a meno che un tale obbligo sussista ugualmente per previsione del regolamento condominiale - mentre permane a suo carico, in ogni caso, l’obbligo del pagamento delle spese di manutenzione – ordinaria e straordinaria - dell’impianto stesso, per cui ad esempio legittimamente il condominio può deliberare di porre a carico anche dei condomini che si siano distaccati dall’impianto centralizzato le spese necessarie alla sostituzione (ovvero al ripristino) della caldaia, dal momento che, rientrando l’impianto di riscaldamento centralizzato tra le parti – anche se accessorie - di proprietà comune a tutti i partecipanti al condominio, ad esso in qualsiasi momento potranno riallacciarsi i condomini che si sono distaccati, per cui il mantenimento in efficienza del medesimo risponde ad un interesse – anche se solo potenziale – pure di tali soggetti.

Il regolamento condominiale tanto può prevedere espressamente la facoltà per singoli condomini di distaccarsi dall’impianto centralizzato, quanto invece tacere sul punto, ed allora secondo un orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Roma, sez. V^, 19.05.2005 n. 11575) nel silenzio del regolamento condominiale occorre una decisione assembleare unanime, oppure, qualora manchi l’unanimità, l’assemblea potrà autorizzare il distacco a maggioranza, a condizione che il condomino il quale intenda distaccarsi dimostri che da tale distacco non derivi né un pregiudizio per l’impianto centralizzato né tantomeno un aggravio di costi per il condominio, come del resto aveva sostenuto sin da tempo la S.C..

Infatti, il Supremo Collegio (Civ. n. 1597/1995 e n. 4023/1996) ha riconosciuto la legittimità di un distacco deciso e realizzato autonomamente dal singolo condomino, anche in difetto di autorizzazione condominiale, allorquando da tale distacco derivi sia un risparmio di spesa per il condominio sia un assenza di squilibri termici.

Quindi nel ragionamento della Corte il distacco deve consentire al Condominio di realizzare un risparmio pari almeno a quella che era la quota di consumo del singolo condomino distaccatosi, ed inoltre a seguito di tale distacco l’impianto condominiale deve continuare a funzionare regolarmente, senza costringere, invece, i condomini che continuano a farne uso, ad affrontare un aumento delle spese di utilizzo e conservazione.

Se invece nel caso concreto si verifica l’aumento di costi, il condominio comunque può autorizzare il distacco, ma naturalmente tale aggravio dovrà essere sopportato da chi tra i condomini abbia manifestato la volontà di dotare la propria abitazione di un impianto autonomo.

Quello innanzi indicato è un punto incontestabile, anche se appare in contrasto con quello che risulta essere un principio di giustizia sostanziale, quello per cui il soggetto che abbia distaccato la propria unità immobiliare dal riscaldamento centralizzato non potrebbe ritenersi obbligato, nel rispetto delle condizioni di cui sopra, a contribuire alle spese di un servizio che nei confronti del suo immobile non viene più fornito.

Infatti, la spesa in questione non è una spesa necessaria alla conservazione della cosa comune, bensì esclusivamente una spesa di uso, ed in quanto tale deve, o meglio dovrebbe, gravare sul singolo condomino esclusivamente in ragione e proporzione dell’utilizzo nonché del beneficio che egli concretamente ricava dal bene in questione, per cui è ovvio che se non c’è uso non può esservi spesa.

Sotto tale profilo, tuttavia, ai fini della determinazione del costo in questione il condominio non potrà calcolare detto ammontare – ovvero la quota di partecipazione alle spese di gestione - in una cifra forfetariamente determinata in base percentuale sulle tabelle millesimali, se non abbia preventivamente fatto eseguire una accurata verifica tecnica sia in ordine agli effetti dei distacchi sulla funzionalità dell’impianto, sia in ordine alla entità degli aggravi di spesa nascenti per il condominio da tale distacco, e tanto a pena di illegittimità della delibera che eventualmente disponesse in tal senso.

La Suprema Corte in anni più recenti ha ribadito la legittimità della scelta di distacco unilaterale da parte del singolo condomino, affermando che “Deve ritenersi legittima la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino, mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato, senza necessità di autorizzazione o di accettazione da parte degli altri partecipanti, quando l’interessato dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli per l’erogazione del servizio”(Cass. Civ. Sez. II, 25.3.2004 n. 5974).

Pertanto, il condomino che si distacchi - e come abbiamo visto egli può legittimamente rinunziare a tale servizio e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune (secondo Cass. Civ. sez. II, 30.03.2006 n. 7518 non necessita di autorizzazione e/o approvazione da parte degli altri condomini purchè dimostri che dal distacco non derivi pregiudizio per l’impianto e/o aggravio di costi per il condominio, restando diversamente a suo carico l’aggravio eventualmente subito dall’ente di gestione, opinione poi confermata da Cass. Civ., sez. II, 29.03.2007 n. 7708) è tenuto:

1) in ogni caso a partecipare alle spese di conservazione dell’impianto, essendo un obbligo posto a suo carico dall’art. 1118 II° c.c., che statuisce come un condomino non possa, pur attraverso una rinunzia al proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio, sottrarsi al contributo nelle spese per la conservazione di esse;

2) se per effetto del suo distacco i costi di gestione dell’impianto per gli altri condomini diminuiscono, egli non sarà tenuto a partecipare alle spese di gestione, mentre al contrario vi sarà obbligato e se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolva in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere degli altri condomini (ad esempio, se a seguito del distacco il consumo di gasolio diminuisce, il condomino non dovrebbe pagare alcunché per la gestione, mentre se rimane invariato ovvero non diminuisce in misura congrua, sarà tenuto a pagare; tanto per fare un esempio, se in un condominio vi sono 15 condomini e la spesa per la gestione ed il funzionamento dell’impianto è di 1500, se sono 5 i condomini che intendono dotarsi di impianto autonomo, essi non saranno tenuti a partecipare alle spese in questione se a seguito del loro distacco il costo si riduca di 1/3, passando da 1500 a 1000, mentre se per ipotesi il costo si riduca sì, ma solo a 1200, saranno allora tenuti comunque a partecipare alle spese).

Quindi, pur con le precisazioni di cui si è detto, il distacco dall’impianto centralizzato costituisce, per il singolo condomino, esercizio del diritto individuale di cui ciascuno dei condomini è titolare – ai sensi dell’art. 1102 codice civile, norma riconosce, in favore di ciascun condomino, il diritto di usare e servirsi del bene comune a due condizioni: a) non deve essere modificata o, peggio, alterata, la destinazione della cosa comune; b) deve essere rispettato il pari diritto degli altri condomini di utilizzare la cosa comune - sulla cosa comune, esercizio che non può essere legittimamente limitato e/o inibito dal condominio ove ricorrano le condizioni di cui si è detto, a pena di nullità della relativa delibera, mentre per converso in assenza di tali condizioni senza dubbio il diritto in questione può essere limitato; mentre in ogni caso non vi è alcun dubbio sul fatto che il singolo condomino distaccatosi, pur non utilizzando il bene comune, continua ad esserne comproprietario.

Circa le deliberazioni e le maggioranze occorrenti allo scopo, va detto innanzitutto come, dovendo considerarsi il distacco in questione una <innovazione> secondo il disposto dell’art. 1120 C.C. esso – fatta salva la prova da parte del condomino che non causi squilibrio termico nel funzionamento dell’impianto, costringendo gli altri condomini a maggiori esborsi per il ripristino del suo regolare funzionamento, e per altro verso che produca una congrua riduzione delle spese di gestione – allora per la sua autorizzazione occorreranno le maggioranze di cui all’art. 1136, comma 5, c.c., quindi, sarà necessario che l’assemblea che lo approvi sia costituita con la presenza della maggioranza dei partecipanti al condominio e che essi rappresentino, al tempo stesso, i due terzi del valore dell’edificio; fermo restando in ogni caso che i condomini che invece restino allacciati all’impianto centralizzato non potranno in alcuno modo essere considerati obbligati a partecipare alla spesa occorrente per realizzare il distacco, giusta il disposto dell’art. 1121 codice civile.

Per altro verso, rilevato che le delibere inerenti la ripartizione delle spese sono nulle se l’assemblea, esulando dalla proprie attribuzioni, modifica i criteri stabiliti direttamente dalla legge ovvero dai condomini in via convenzionale (regolamento di condominio), mentre al contrario le stesse saranno annullabili ove tali criteri siano violati e/o disattesi: sarà annullabile e non nulla una delibera che escluda dal riparto delle spese per lavori straordinari e di manutenzione dell’impianto centralizzato di riscaldamento una unità immobiliare, sull’erroneo presupposto che essa non sia allacciata all’impianto centralizzato, verificandosi appunto in tale ipotesi una violazione e/o disapplicazione dei criteri (legali e/o convenzionali) per il riparto delle spese.

In conclusione, un condomino che sia interessato a dotarsi di un impianto autonomo, qualora tale possibilità non incontri un espresso divieto da parte del regolamento condominiale (in tal caso la delibera che lo autorizzi sarà, per quanto detto, annullabile e non nulla, con conseguente sanatoria in caso di mancata impugnativa nel termine di gg. 30 dalla sua adozione ovvero dalla conoscenza di essa da parte dei condomini assenti), potrà chiedere all’assemblea di essere autorizzato e, anche qualora non riceva tale autorizzazione potrà, previo comunque avviso al condominio, procedere in tal senso, ovviamente nel rispetto delle prescrizioni di legge, dotandosi di un impianto conforme a quanto stabilito dalla L.412 del 1993 – e che quindi consenta il rispetto delle condizioni sopra richiamate.

In sostanza, il condomino continuerà a contribuire alle spese necessarie alla conservazione per la cosa comune, ma nulla dovrà più corrispondere per le spese di utilizzo (gasolio ecc.). Qualora ciò nonostante dovesse ricevere una richiesta di pagamento da parte del condominio degli oneri di utilizzo, richiesta che ovviamente trovi il suo fondamento in una delibera assembleare, altro non potrebbe fare che impugnare la delibera in questione per nullità/annullabilità, chiederne la sospensione con istanza a parte ed infine far accertare che il proprio impianto risponda ai requisiti individuati dalla giurisprudenza sopra richiamata, al fine quindi di escludere la sussistenza di un proprio obbligo al pagamento delle spese di uso.

La riflessione in questione è eminentemente di taglio pratico in quanto investe una fattispecie che nella vita di un condominio si verifica con rilevante frequenza, soprattutto allorquando si tratta di immobili di una certa età.

In via di principio va subito affermato come il singolo condomino in via generale abbia la possibilità di rinunziare all’uso del riscaldamento centralizzato presente nell’immobile condominiale, e che costituisce un accessorio di proprietà comune a tutti i condomini. In proposito l’art. 1117 c.c., nel definire in maniera omnicomprensiva come <parti comuni dell’edificio> le opere che servono all’uso e al godimento comune, con riferimento agli impianti per il riscaldamento, statuisce testualmente che gli stessi devono ritenersi tali “fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”.

La rinunzia in questione è possibile, in sostanza, in due ipotesi:

a) il condomino formula richiesta in tal senso all’assemblea, e viene autorizzato a farlo;

b) in mancanza, per distaccarsi legittimamente il condomino è tenuto a dimostrare che dal distacco non derivi, a carico di tutti gli altri condomini, un aggravio nelle spese di gestione, ovvero uno squilibrio termico, che potrebbe sussistere anche per un profilo di idoneità tecnica dell’impianto stesso, nel caso in cui esso, progettato e realizzato per servire in maniera ottimale un determinato numero di appartamenti, per ipotesi non riesca a farlo allo stesso modo se gli appartamenti concretamente raggiunti siano in numero inferiore.

Pertanto, se il regolamento di condominio non pone un divieto in tal senso, il singolo condomino potrà chiedere all’assemblea di distaccarsi dal riscaldamento centralizzato perché intenzionato a dotare il proprio immobile di un impianto autonomo, ed ove riceva un rifiuto, potrà distaccarsi in modo autonomo, sempre che il distacco non provochi aumenti di spesa per i condomini che continuino a servirsi dell’impianto centralizzato, né sia causa di uno squilibrio termico in grado di pregiudicare il regolare funzionamento dell’impianto.

La legittimità della autonoma rinunzia, poi, rinviene anche un ulteriore elemento di sostegno in una legge speciale, il D.P.R. 26.8.1993 N. 412, che all’art. 1, lettera L riconosce la espressa facoltà al singolo condomino di dotare la propria abitazione di un impianto termico a risparmio energetico, sul presupposto del previo distacco dall’impianto centralizzato.

Qualora si verifichi il distacco, il condomino che lo pone in essere non è tenuto, ovviamente, al pagamento delle spese di utilizzo dell’impianto centralizzato - a meno che un tale obbligo sussista ugualmente per previsione del regolamento condominiale - mentre permane a suo carico, in ogni caso, l’obbligo del pagamento delle spese di manutenzione – ordinaria e straordinaria - dell’impianto stesso, per cui ad esempio legittimamente il condominio può deliberare di porre a carico anche dei condomini che si siano distaccati dall’impianto centralizzato le spese necessarie alla sostituzione (ovvero al ripristino) della caldaia, dal momento che, rientrando l’impianto di riscaldamento centralizzato tra le parti – anche se accessorie - di proprietà comune a tutti i partecipanti al condominio, ad esso in qualsiasi momento potranno riallacciarsi i condomini che si sono distaccati, per cui il mantenimento in efficienza del medesimo risponde ad un interesse – anche se solo potenziale – pure di tali soggetti.

Il regolamento condominiale tanto può prevedere espressamente la facoltà per singoli condomini di distaccarsi dall’impianto centralizzato, quanto invece tacere sul punto, ed allora secondo un orientamento della giurisprudenza di merito (Trib. Roma, sez. V^, 19.05.2005 n. 11575) nel silenzio del regolamento condominiale occorre una decisione assembleare unanime, oppure, qualora manchi l’unanimità, l’assemblea potrà autorizzare il distacco a maggioranza, a condizione che il condomino il quale intenda distaccarsi dimostri che da tale distacco non derivi né un pregiudizio per l’impianto centralizzato né tantomeno un aggravio di costi per il condominio, come del resto aveva sostenuto sin da tempo la S.C..

Infatti, il Supremo Collegio (Civ. n. 1597/1995 e n. 4023/1996) ha riconosciuto la legittimità di un distacco deciso e realizzato autonomamente dal singolo condomino, anche in difetto di autorizzazione condominiale, allorquando da tale distacco derivi sia un risparmio di spesa per il condominio sia un assenza di squilibri termici.

Quindi nel ragionamento della Corte il distacco deve consentire al Condominio di realizzare un risparmio pari almeno a quella che era la quota di consumo del singolo condomino distaccatosi, ed inoltre a seguito di tale distacco l’impianto condominiale deve continuare a funzionare regolarmente, senza costringere, invece, i condomini che continuano a farne uso, ad affrontare un aumento delle spese di utilizzo e conservazione.

Se invece nel caso concreto si verifica l’aumento di costi, il condominio comunque può autorizzare il distacco, ma naturalmente tale aggravio dovrà essere sopportato da chi tra i condomini abbia manifestato la volontà di dotare la propria abitazione di un impianto autonomo.

Quello innanzi indicato è un punto incontestabile, anche se appare in contrasto con quello che risulta essere un principio di giustizia sostanziale, quello per cui il soggetto che abbia distaccato la propria unità immobiliare dal riscaldamento centralizzato non potrebbe ritenersi obbligato, nel rispetto delle condizioni di cui sopra, a contribuire alle spese di un servizio che nei confronti del suo immobile non viene più fornito.

Infatti, la spesa in questione non è una spesa necessaria alla conservazione della cosa comune, bensì esclusivamente una spesa di uso, ed in quanto tale deve, o meglio dovrebbe, gravare sul singolo condomino esclusivamente in ragione e proporzione dell’utilizzo nonché del beneficio che egli concretamente ricava dal bene in questione, per cui è ovvio che se non c’è uso non può esservi spesa.

Sotto tale profilo, tuttavia, ai fini della determinazione del costo in questione il condominio non potrà calcolare detto ammontare – ovvero la quota di partecipazione alle spese di gestione - in una cifra forfetariamente determinata in base percentuale sulle tabelle millesimali, se non abbia preventivamente fatto eseguire una accurata verifica tecnica sia in ordine agli effetti dei distacchi sulla funzionalità dell’impianto, sia in ordine alla entità degli aggravi di spesa nascenti per il condominio da tale distacco, e tanto a pena di illegittimità della delibera che eventualmente disponesse in tal senso.

La Suprema Corte in anni più recenti ha ribadito la legittimità della scelta di distacco unilaterale da parte del singolo condomino, affermando che “Deve ritenersi legittima la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale operata dal singolo condomino, mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell’impianto centralizzato, senza necessità di autorizzazione o di accettazione da parte degli altri partecipanti, quando l’interessato dimostri che, dal suo operato, non derivano né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell’impianto, né squilibri termici pregiudizievoli per l’erogazione del servizio”(Cass. Civ. Sez. II, 25.3.2004 n. 5974).

Pertanto, il condomino che si distacchi - e come abbiamo visto egli può legittimamente rinunziare a tale servizio e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto termico comune (secondo Cass. Civ. sez. II, 30.03.2006 n. 7518 non necessita di autorizzazione e/o approvazione da parte degli altri condomini purchè dimostri che dal distacco non derivi pregiudizio per l’impianto e/o aggravio di costi per il condominio, restando diversamente a suo carico l’aggravio eventualmente subito dall’ente di gestione, opinione poi confermata da Cass. Civ., sez. II, 29.03.2007 n. 7708) è tenuto:

1) in ogni caso a partecipare alle spese di conservazione dell’impianto, essendo un obbligo posto a suo carico dall’art. 1118 II° c.c., che statuisce come un condomino non possa, pur attraverso una rinunzia al proprio diritto sulle parti comuni dell’edificio, sottrarsi al contributo nelle spese per la conservazione di esse;

2) se per effetto del suo distacco i costi di gestione dell’impianto per gli altri condomini diminuiscono, egli non sarà tenuto a partecipare alle spese di gestione, mentre al contrario vi sarà obbligato e se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolva in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere degli altri condomini (ad esempio, se a seguito del distacco il consumo di gasolio diminuisce, il condomino non dovrebbe pagare alcunché per la gestione, mentre se rimane invariato ovvero non diminuisce in misura congrua, sarà tenuto a pagare; tanto per fare un esempio, se in un condominio vi sono 15 condomini e la spesa per la gestione ed il funzionamento dell’impianto è di 1500, se sono 5 i condomini che intendono dotarsi di impianto autonomo, essi non saranno tenuti a partecipare alle spese in questione se a seguito del loro distacco il costo si riduca di 1/3, passando da 1500 a 1000, mentre se per ipotesi il costo si riduca sì, ma solo a 1200, saranno allora tenuti comunque a partecipare alle spese).

Quindi, pur con le precisazioni di cui si è detto, il distacco dall’impianto centralizzato costituisce, per il singolo condomino, esercizio del diritto individuale di cui ciascuno dei condomini è titolare – ai sensi dell’art. 1102 codice civile, norma riconosce, in favore di ciascun condomino, il diritto di usare e servirsi del bene comune a due condizioni: a) non deve essere modificata o, peggio, alterata, la destinazione della cosa comune; b) deve essere rispettato il pari diritto degli altri condomini di utilizzare la cosa comune - sulla cosa comune, esercizio che non può essere legittimamente limitato e/o inibito dal condominio ove ricorrano le condizioni di cui si è detto, a pena di nullità della relativa delibera, mentre per converso in assenza di tali condizioni senza dubbio il diritto in questione può essere limitato; mentre in ogni caso non vi è alcun dubbio sul fatto che il singolo condomino distaccatosi, pur non utilizzando il bene comune, continua ad esserne comproprietario.

Circa le deliberazioni e le maggioranze occorrenti allo scopo, va detto innanzitutto come, dovendo considerarsi il distacco in questione una <innovazione> secondo il disposto dell’art. 1120 C.C. esso – fatta salva la prova da parte del condomino che non causi squilibrio termico nel funzionamento dell’impianto, costringendo gli altri condomini a maggiori esborsi per il ripristino del suo regolare funzionamento, e per altro verso che produca una congrua riduzione delle spese di gestione – allora per la sua autorizzazione occorreranno le maggioranze di cui all’art. 1136, comma 5, c.c., quindi, sarà necessario che l’assemblea che lo approvi sia costituita con la presenza della maggioranza dei partecipanti al condominio e che essi rappresentino, al tempo stesso, i due terzi del valore dell’edificio; fermo restando in ogni caso che i condomini che invece restino allacciati all’impianto centralizzato non potranno in alcuno modo essere considerati obbligati a partecipare alla spesa occorrente per realizzare il distacco, giusta il disposto dell’art. 1121 codice civile.

Per altro verso, rilevato che le delibere inerenti la ripartizione delle spese sono nulle se l’assemblea, esulando dalla proprie attribuzioni, modifica i criteri stabiliti direttamente dalla legge ovvero dai condomini in via convenzionale (regolamento di condominio), mentre al contrario le stesse saranno annullabili ove tali criteri siano violati e/o disattesi: sarà annullabile e non nulla una delibera che escluda dal riparto delle spese per lavori straordinari e di manutenzione dell’impianto centralizzato di riscaldamento una unità immobiliare, sull’erroneo presupposto che essa non sia allacciata all’impianto centralizzato, verificandosi appunto in tale ipotesi una violazione e/o disapplicazione dei criteri (legali e/o convenzionali) per il riparto delle spese.

In conclusione, un condomino che sia interessato a dotarsi di un impianto autonomo, qualora tale possibilità non incontri un espresso divieto da parte del regolamento condominiale (in tal caso la delibera che lo autorizzi sarà, per quanto detto, annullabile e non nulla, con conseguente sanatoria in caso di mancata impugnativa nel termine di gg. 30 dalla sua adozione ovvero dalla conoscenza di essa da parte dei condomini assenti), potrà chiedere all’assemblea di essere autorizzato e, anche qualora non riceva tale autorizzazione potrà, previo comunque avviso al condominio, procedere in tal senso, ovviamente nel rispetto delle prescrizioni di legge, dotandosi di un impianto conforme a quanto stabilito dalla L.412 del 1993 – e che quindi consenta il rispetto delle condizioni sopra richiamate.

In sostanza, il condomino continuerà a contribuire alle spese necessarie alla conservazione per la cosa comune, ma nulla dovrà più corrispondere per le spese di utilizzo (gasolio ecc.). Qualora ciò nonostante dovesse ricevere una richiesta di pagamento da parte del condominio degli oneri di utilizzo, richiesta che ovviamente trovi il suo fondamento in una delibera assembleare, altro non potrebbe fare che impugnare la delibera in questione per nullità/annullabilità, chiederne la sospensione con istanza a parte ed infine far accertare che il proprio impianto risponda ai requisiti individuati dalla giurisprudenza sopra richiamata, al fine quindi di escludere la sussistenza di un proprio obbligo al pagamento delle spese di uso.