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La Cassazione cambia idea sull’accertamento emesso prima dei 60 giorni dal p.v.c.

Nota a Corte di Cassazione, Sentenza 13 ottobre 2011, n. 21103

Con la recente sentenza n. 21103, depositata lo scorso 14 ottobre, la Suprema Corte ha “rivisto” il proprio orientamento in materia di legittimità dell’accertamento emesso prima dello spirare del termine dilatorio previsto dallo Statuto del Contribuente, superando così le conclusioni cui era giunta non più tardi di un mese prima con la sentenza del 16 settembre 2011, n. 18906.

In entrambe le pronunce, il casus belli sottoposto al vaglio del giudice di legittimità ha, infatti, riguardato la questione relativa alla validità di un atto impositivo emesso dall’Ufficio prima dei sessanta giorni dalla notifica del precedente processo verbale di constatazione, termine previsto dall’articolo 12, comma 7 della legge 212/2000.

Com’è noto, la disposizione in questione prevede che dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. A tal fine, secondo la predetta norma, “l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Come si vede, in effetti, la norma non stabilisce alcuna sanzione di nullità dell’atto impositivo  in caso di mancato rispetto dei sessanta giorni e, ciò, porterebbe, dunque, a ritenere che si tratti di un termine meramente ordinatorio per l’Amministrazione.

D’altronde, tale interpretazione troverebbe conforto nel principio per cui ubi lex voluit dixit,  ubi  noluit tacuit, con l’ovvia conclusione che qualora il legislatore avesse voluto  far  conseguire alla violazione dell’art. 12 comma 7 la nullità o annullabilità dell’atto, lo avrebbe  previsto espressamente, così come ha peraltro fatto all’articolo 6, comma 5 del medesimo Statuto, per violazione del contraddittorio preventivo alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni.

I sostenitori della tesi contraria opinano, invece, come una violazione del predetto termine comporterebbe una lesione del diritto partecipativo del contribuente al procedimento tributario e la conseguente perdita delle garanzie riservate dalla norma, con ciò determinando la nullità e l’inefficacia dell’atto di accertamento, sulla base del principio, tipico del diritto amministrativo, dell’invalidità derivata, che sancisce l’illegittimità dell’atto finale se nella fase endoprocedimentale si sono verificate violazioni di norme procedurali.

Ancorché, infatti, tale conseguenza non sia espressamente prevista, la nullità dell’avviso emesso in violazione del comma 7 dell’art. 12 sarebbe, secondo alcune pronunce di merito, desumibile dall’utilizzo, da parte del legislatore di “un’espressione perentoria (non può essere emanato)” (v. sent. n. 41 del 18 ottobre 2005 della CTP di Udine).

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha, fin dall’emanazione dello Statuto del Contribuente, registrato orientamenti non univoci, se non addirittura in pieno contrasto fra loro.

Nella sentenza n. 18906/2011 dello scorso settembre, infatti, la Corte, riprendendo l’orientamento già espresso in alcune precedenti pronunce (v. n. 6088 del 15 marzo 2011),  aveva confermato la tesi a sostegno dell’invalidità dell’avviso di accertamento notificato anteriormente ai 60 giorni dal processo verbale. Con una motivazione a dire il vero discutibile, la Suprema Corte aveva, invero, ritenuto che l’interpretazione favorevole alla nullità dell’atto per violazione della norma dello Statuto, sebbene non immune da censure, poteva in effetti ritenersi ragionevole allo scopo di portare l’amministrazione finanziaria ad “evitare tali risultati adeguandosi operativamente a questo più rigoroso regime”.

Con la Immagine rimossa.pronuncia in analisi, invece, la Cassazione, pur tenendo in considerazione i diversi orientamenti espressi sia nelle decisioni sopra citate, sia altresì nell’ordinanza della Corte costituzionale n. 244 del 2009 -che ha in estrema sintesi stabilito la nullità dell’atto emanato in violazione al termine dei 60 giorni, in assenza di motivazione dell’Ufficio in merito alle ragioni di particolare e motivata urgenza che ne abbiano comportato l’inosservanza- ha confermato la tesi pro fisco, precisando come si debba dar seguito all’orientamento “secondo il quale l’art. 12, 7° co., cit., non è presidiato da sanzione alcuna”.

In particolare, a parere dei giudici di legittimità, la notifica dell’avviso di accertamento prima dello scadere del termine di 60 gg. non ne determinerebbe in assoluto la nullità, stante la natura vincolata dell’atto rispetto al verbale di constatazione sul quale si fonda, e in mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso.

Secondo la Corte “resta difatti comunque garantito al contribuente (come del resto riconosciuto da C. cost. n. 244/2009) il diritto di difesa, tanto in via amministrativa (con ricorso in autotutela), quanto in via giudiziaria, entro il termine ordinario previsto dalla legge (cfr. Cass. n. 19875/2008; n. 3988/2011)”.

Infatti, come già chiarito con l’ordinanza n. 14735 del 12 giugno 2010, l’omesso rispetto del termine, entro il quale il contribuente può comunicare osservazioni e richieste, non si riflette, escludendola, sulla legittimità formale dell’avviso di accertamento, potendo le eventuali osservazioni e richieste - che il contribuente aveva la facoltà, e non l’obbligo, di formulare prima della notifica dell’accertamento - essere avanzate anche successivamente in sede giurisdizionale per mettere in discussione l’utilizzabilità e l’attendibilità delle risultanze acquisite ovvero per veder soddisfatte le proprie richieste”.

L’art. 12, comma 7 salvaguarda, invero, l’interesse partecipativo del contribuente che, prendendo parte all’istruttoria del procedimento, può cercare di evitare di subire accertamenti per questioni che trovino immediato chiarimento.

E’ evidente, tuttavia, che il diritto di difesa del contribuente anche in caso di mancato rispetto del predetto termine non subisce, sul piano sostanziale, alcuna definitiva ed irrimediabile compressione, giacchè, oltre alla possibilità di sollecitare l’autotutela dell’Ufficio in caso di accertamento “infondato”, il contribuente può sempre difendere le proprie ragioni mediante il ricorso alla Commissione tributaria, innanzi alla quale invocare altresì, sotto il profilo del pregiudizio economico in caso di riscossione frazionata del tributo, la tutela cautelare prevista dall’art. 47 del D.lgs n. 546/1992.

Sotto diverso profilo, poi, la lesione dell’interesse tutelato dall’art. 12, comma 7, può trovare altresì ristoro per equivalente, in base al disposto dell’art. 96, comma 2, c.p.c., laddove la parte, oltre ad ottenere l’annullamento dell’avviso di accertamento e la rifusione delle spese legali, dimostri, in un giudizio risarcitorio, che il rispetto del termine gli avrebbe consentito di evitare la notifica dell’accertamento e le ulteriori conseguenze, anche esecutive, che ne siano scaturite.

Nonostante, quindi, sia sempre auspicabile il rispetto del predetto termine, nell’ottica di un corretto rapporto improntato al principio del contraddittorio tra le parti, la sentenza della Corte si pone, dunque, nella corretta prospettiva di evitare che l’accertamento emesso anzitempo venga, di fatto, colpito da una sanzione indubbiamente sproporzionata rispetto alle ragioni del contribuente, che devono necessariamente essere bilanciate con l’interesse costituzionalmente tutelato ex art. 53 Cost. alla riscossione dei tributi.



Con la recente sentenza n. 21103, depositata lo scorso 14 ottobre, la Suprema Corte ha “rivisto” il proprio orientamento in materia di legittimità dell’accertamento emesso prima dello spirare del termine dilatorio previsto dallo Statuto del Contribuente, superando così le conclusioni cui era giunta non più tardi di un mese prima con la sentenza del 16 settembre 2011, n. 18906.

In entrambe le pronunce, il casus belli sottoposto al vaglio del giudice di legittimità ha, infatti, riguardato la questione relativa alla validità di un atto impositivo emesso dall’Ufficio prima dei sessanta giorni dalla notifica del precedente processo verbale di constatazione, termine previsto dall’articolo 12, comma 7 della legge 212/2000.

Com’è noto, la disposizione in questione prevede che dopo il rilascio della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, il contribuente può comunicare entro sessanta giorni osservazioni e richieste che sono valutate dagli uffici impositori. A tal fine, secondo la predetta norma, “l’avviso di accertamento non può essere emanato prima della scadenza del predetto termine, salvo casi di particolare e motivata urgenza”.

Come si vede, in effetti, la norma non stabilisce alcuna sanzione di nullità dell’atto impositivo  in caso di mancato rispetto dei sessanta giorni e, ciò, porterebbe, dunque, a ritenere che si tratti di un termine meramente ordinatorio per l’Amministrazione.

D’altronde, tale interpretazione troverebbe conforto nel principio per cui ubi lex voluit dixit,  ubi  noluit tacuit, con l’ovvia conclusione che qualora il legislatore avesse voluto  far  conseguire alla violazione dell’art. 12 comma 7 la nullità o annullabilità dell’atto, lo avrebbe  previsto espressamente, così come ha peraltro fatto all’articolo 6, comma 5 del medesimo Statuto, per violazione del contraddittorio preventivo alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni.

I sostenitori della tesi contraria opinano, invece, come una violazione del predetto termine comporterebbe una lesione del diritto partecipativo del contribuente al procedimento tributario e la conseguente perdita delle garanzie riservate dalla norma, con ciò determinando la nullità e l’inefficacia dell’atto di accertamento, sulla base del principio, tipico del diritto amministrativo, dell’invalidità derivata, che sancisce l’illegittimità dell’atto finale se nella fase endoprocedimentale si sono verificate violazioni di norme procedurali.

Ancorché, infatti, tale conseguenza non sia espressamente prevista, la nullità dell’avviso emesso in violazione del comma 7 dell’art. 12 sarebbe, secondo alcune pronunce di merito, desumibile dall’utilizzo, da parte del legislatore di “un’espressione perentoria (non può essere emanato)” (v. sent. n. 41 del 18 ottobre 2005 della CTP di Udine).

Sul punto, la giurisprudenza di legittimità ha, fin dall’emanazione dello Statuto del Contribuente, registrato orientamenti non univoci, se non addirittura in pieno contrasto fra loro.

Nella sentenza n. 18906/2011 dello scorso settembre, infatti, la Corte, riprendendo l’orientamento già espresso in alcune precedenti pronunce (v. n. 6088 del 15 marzo 2011),  aveva confermato la tesi a sostegno dell’invalidità dell’avviso di accertamento notificato anteriormente ai 60 giorni dal processo verbale. Con una motivazione a dire il vero discutibile, la Suprema Corte aveva, invero, ritenuto che l’interpretazione favorevole alla nullità dell’atto per violazione della norma dello Statuto, sebbene non immune da censure, poteva in effetti ritenersi ragionevole allo scopo di portare l’amministrazione finanziaria ad “evitare tali risultati adeguandosi operativamente a questo più rigoroso regime”.

Con la Immagine rimossa.pronuncia in analisi, invece, la Cassazione, pur tenendo in considerazione i diversi orientamenti espressi sia nelle decisioni sopra citate, sia altresì nell’ordinanza della Corte costituzionale n. 244 del 2009 -che ha in estrema sintesi stabilito la nullità dell’atto emanato in violazione al termine dei 60 giorni, in assenza di motivazione dell’Ufficio in merito alle ragioni di particolare e motivata urgenza che ne abbiano comportato l’inosservanza- ha confermato la tesi pro fisco, precisando come si debba dar seguito all’orientamento “secondo il quale l’art. 12, 7° co., cit., non è presidiato da sanzione alcuna”.

In particolare, a parere dei giudici di legittimità, la notifica dell’avviso di accertamento prima dello scadere del termine di 60 gg. non ne determinerebbe in assoluto la nullità, stante la natura vincolata dell’atto rispetto al verbale di constatazione sul quale si fonda, e in mancanza di una specifica previsione normativa in tal senso.

Secondo la Corte “resta difatti comunque garantito al contribuente (come del resto riconosciuto da C. cost. n. 244/2009) il diritto di difesa, tanto in via amministrativa (con ricorso in autotutela), quanto in via giudiziaria, entro il termine ordinario previsto dalla legge (cfr. Cass. n. 19875/2008; n. 3988/2011)”.

Infatti, come già chiarito con l’ordinanza n. 14735 del 12 giugno 2010, l’omesso rispetto del termine, entro il quale il contribuente può comunicare osservazioni e richieste, non si riflette, escludendola, sulla legittimità formale dell’avviso di accertamento, potendo le eventuali osservazioni e richieste - che il contribuente aveva la facoltà, e non l’obbligo, di formulare prima della notifica dell’accertamento - essere avanzate anche successivamente in sede giurisdizionale per mettere in discussione l’utilizzabilità e l’attendibilità delle risultanze acquisite ovvero per veder soddisfatte le proprie richieste”.

L’art. 12, comma 7 salvaguarda, invero, l’interesse partecipativo del contribuente che, prendendo parte all’istruttoria del procedimento, può cercare di evitare di subire accertamenti per questioni che trovino immediato chiarimento.

E’ evidente, tuttavia, che il diritto di difesa del contribuente anche in caso di mancato rispetto del predetto termine non subisce, sul piano sostanziale, alcuna definitiva ed irrimediabile compressione, giacchè, oltre alla possibilità di sollecitare l’autotutela dell’Ufficio in caso di accertamento “infondato”, il contribuente può sempre difendere le proprie ragioni mediante il ricorso alla Commissione tributaria, innanzi alla quale invocare altresì, sotto il profilo del pregiudizio economico in caso di riscossione frazionata del tributo, la tutela cautelare prevista dall’art. 47 del D.lgs n. 546/1992.

Sotto diverso profilo, poi, la lesione dell’interesse tutelato dall’art. 12, comma 7, può trovare altresì ristoro per equivalente, in base al disposto dell’art. 96, comma 2, c.p.c., laddove la parte, oltre ad ottenere l’annullamento dell’avviso di accertamento e la rifusione delle spese legali, dimostri, in un giudizio risarcitorio, che il rispetto del termine gli avrebbe consentito di evitare la notifica dell’accertamento e le ulteriori conseguenze, anche esecutive, che ne siano scaturite.

Nonostante, quindi, sia sempre auspicabile il rispetto del predetto termine, nell’ottica di un corretto rapporto improntato al principio del contraddittorio tra le parti, la sentenza della Corte si pone, dunque, nella corretta prospettiva di evitare che l’accertamento emesso anzitempo venga, di fatto, colpito da una sanzione indubbiamente sproporzionata rispetto alle ragioni del contribuente, che devono necessariamente essere bilanciate con l’interesse costituzionalmente tutelato ex art. 53 Cost. alla riscossione dei tributi.



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