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Sezioni Unite: valido il ricorso per Cassazione contro le sentenze delle commissioni tributarie anche senza il deposito dei documenti già presenti nel fascicolo d’ufficio

Con la sentenza n. 22726 depositata lo scorso 3 novembre 2011, le Sezioni Unite, investite della questione relativa alla procedibilità del ricorso presentato senza il contestuale deposito degli annessi atti processuali e documenti, ha risolto il contrasto interpretativo sorto in materia, ribaltando il più recente orientamento della sezione tributaria della Suprema Corte che, con numerose pronunce (n. 24940/2009, 303/2010, 21121/2010, 21580/2010, 26525/2010, 2803/2011, 3522/2011), aveva sancito l’improcedibilità del ricorso nelle ipotesi di mancato deposito della documentazione richiesta dall’art. 369, comma 2, n. 4 del c.p.c..

La questione trae, infatti, origine dalla disposizione recata al citato art. 369 c.p.c., il quale, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 7 del D.Lgs 40/06, stabilisce, a pena di improcedibilità, l’obbligo per il ricorrente di depositare, con l’impugnazione, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

In tale contesto, il problema interpretativo in analisi ha riguardato, in particolare, la necessità di ricomprendere o meno, tra gli “atti processuali” da depositare ai sensi del predetto comma 2, n. 4 dell’art. 369 c.p.c., anche quelli già suscettibili di essere posti a disposizione della Corte, in quanto presenti nel fascicolo d’ufficio del giudice a quo trasmesso su richiesta della parte, ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c.

Com’è noto, infatti, il codice di procedura civile prevede una duplicazione dell’apparato documentale posto alla base del ricorso in cassazione laddove, oltre all’esaminando deposito degli atti e documenti annessi all’impugnazione, il comma terzo del medesimo art. 369 impone altresì l’obbligo, per il ricorrente, di richiedere alla cancelleria del giudice a quo la trasmissione in cassazione del fascicolo d’ufficio contenente i medesimi atti e documenti.

 Fino ad oggi, l’irragionevolezza o la vessatorietà della descritta duplicazione documentale è stata esclusa, dai giudici di legittimità, in ragione della diversità di ratio ricollegabile a ciascun adempimento:  il primo (ex art. 369, secondo comma, n. 4) funzionale all’esigenza “di offrire alla Corte, immediatamente, un quadro completo ed oggettivamente autosufficiente di elementi utili alla decisione”; il secondo (ex art. 369, terzo comma) volto a consentire che la Corte “abbia comunque in sua disponibilità, all’occorrenza, le complessive risultanze processuali dei gradi di merito del giudizio” (in tal senso Cass., sez. V, nn. 26525/2010 e 2803/2011).

Di conseguenza, il doppio adempimento troverebbe fondamento, a parere della Suprema Corte, nell’esigenza di rispetto del principio costituzionale di ragionevole durata del processo, che “impone una organizzazione del lavoro sempre più anticipata, accurata e mirata da parte della Corte”.

La disposizione in esame incontra, tuttavia, un’asimmetria rispetto quanto stabilito per il processo tributario dall’art. 25, comma 2, del D.Lgs 546/92, a norma del quale "i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo".

Poiché, infatti, tale norma preclude sostanzialmente alle parti il libero accesso agli atti del giudizio sino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, risulta irragionevole ritenere il ricorrente obbligato alla produzione di atti e documenti che siano già contenuti nel fascicolo d’ufficio di cui abbia domandato alla cancelleria del giudice a quo la trasmissione alla Corte di cassazione.

Ciononostante, come si è detto, con l’ordinanza n. 24940/2009, si è formato l’orientamento, in seno alla sezione tributaria della Suprema Corte, secondo cui la disposizione in esame sarebbe comunque applicabile anche nel processo tributario, in quanto non incompatibile con le specifiche previsioni del D.Lgs. n. 546 del 1992, giacchè il medesimo articolo 25 prevede altresì che le parti possano ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio.

Seguendo tale rigorosa interpretazione, infatti, non sarebbe ravvisabile alcun impedimento all’assolvimento dell’onere di cui al citato comma 2, n. 4 dell’art. 369 c.p.c., potendo la parte provvedere al deposito anche mediante la produzione di copie degli atti e documenti su cui il ricorso si fonda.

Con la pronuncia in esame, invece, le Sezioni Unite, in linea con l’interpretazione della norma anteriore al mutamento di indirizzo del 2009, hanno constatato come alla novella effettuata dal D.Lgs n. 40/2006, che ha modificato il n. 4 dell’art. 369 aggiungendo il richiamo espresso agli “atti processuali” tra quelli oggetto di specifica produzione, non possa attribuirsi l’univoco senso del riferimento anche agli atti già contenuti nel fascicolo d’ufficio.

Di conseguenza, il solo “vantaggio” per la Corte di disporre immediatamente degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, seppure già contenuti nel fascicolo d’ufficio posto nella sua disponibilità, non può giustificare - in assenza di ulteriori valutazioni derivanti da mutamenti intervenuti nell’ambiente processuale o dall’emersione di valori prima trascurati - l’attribuzione alla disposizione in esame di un significato diverso.

E’, quindi, da preferire, a parere delle Sezioni Unite, l’interpretazione, comunque conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario, secondo la quale, nei ricorsi avverso le sentenze delle Commissioni tributarie, l’onere di deposito è già pienamente assolto, per gli atti già contenuti nel fascicolo d’ufficio, dalla richiesta di trasmissione dello stesso ex art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., senza necessità che si proceda ad un ulteriore specifico atto di allegazione.

Con la sentenza n. 22726 depositata lo scorso 3 novembre 2011, le Sezioni Unite, investite della questione relativa alla procedibilità del ricorso presentato senza il contestuale deposito degli annessi atti processuali e documenti, ha risolto il contrasto interpretativo sorto in materia, ribaltando il più recente orientamento della sezione tributaria della Suprema Corte che, con numerose pronunce (n. 24940/2009, 303/2010, 21121/2010, 21580/2010, 26525/2010, 2803/2011, 3522/2011), aveva sancito l’improcedibilità del ricorso nelle ipotesi di mancato deposito della documentazione richiesta dall’art. 369, comma 2, n. 4 del c.p.c..

La questione trae, infatti, origine dalla disposizione recata al citato art. 369 c.p.c., il quale, a seguito delle modifiche apportate dall’art. 7 del D.Lgs 40/06, stabilisce, a pena di improcedibilità, l’obbligo per il ricorrente di depositare, con l’impugnazione, “gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda”.

In tale contesto, il problema interpretativo in analisi ha riguardato, in particolare, la necessità di ricomprendere o meno, tra gli “atti processuali” da depositare ai sensi del predetto comma 2, n. 4 dell’art. 369 c.p.c., anche quelli già suscettibili di essere posti a disposizione della Corte, in quanto presenti nel fascicolo d’ufficio del giudice a quo trasmesso su richiesta della parte, ai sensi dell’art. 369, ultimo comma, c.p.c.

Com’è noto, infatti, il codice di procedura civile prevede una duplicazione dell’apparato documentale posto alla base del ricorso in cassazione laddove, oltre all’esaminando deposito degli atti e documenti annessi all’impugnazione, il comma terzo del medesimo art. 369 impone altresì l’obbligo, per il ricorrente, di richiedere alla cancelleria del giudice a quo la trasmissione in cassazione del fascicolo d’ufficio contenente i medesimi atti e documenti.

 Fino ad oggi, l’irragionevolezza o la vessatorietà della descritta duplicazione documentale è stata esclusa, dai giudici di legittimità, in ragione della diversità di ratio ricollegabile a ciascun adempimento:  il primo (ex art. 369, secondo comma, n. 4) funzionale all’esigenza “di offrire alla Corte, immediatamente, un quadro completo ed oggettivamente autosufficiente di elementi utili alla decisione”; il secondo (ex art. 369, terzo comma) volto a consentire che la Corte “abbia comunque in sua disponibilità, all’occorrenza, le complessive risultanze processuali dei gradi di merito del giudizio” (in tal senso Cass., sez. V, nn. 26525/2010 e 2803/2011).

Di conseguenza, il doppio adempimento troverebbe fondamento, a parere della Suprema Corte, nell’esigenza di rispetto del principio costituzionale di ragionevole durata del processo, che “impone una organizzazione del lavoro sempre più anticipata, accurata e mirata da parte della Corte”.

La disposizione in esame incontra, tuttavia, un’asimmetria rispetto quanto stabilito per il processo tributario dall’art. 25, comma 2, del D.Lgs 546/92, a norma del quale "i fascicoli delle parti restano acquisiti al fascicolo d’ufficio e sono ad esse restituiti al termine del processo".

Poiché, infatti, tale norma preclude sostanzialmente alle parti il libero accesso agli atti del giudizio sino al passaggio in giudicato della relativa sentenza, risulta irragionevole ritenere il ricorrente obbligato alla produzione di atti e documenti che siano già contenuti nel fascicolo d’ufficio di cui abbia domandato alla cancelleria del giudice a quo la trasmissione alla Corte di cassazione.

Ciononostante, come si è detto, con l’ordinanza n. 24940/2009, si è formato l’orientamento, in seno alla sezione tributaria della Suprema Corte, secondo cui la disposizione in esame sarebbe comunque applicabile anche nel processo tributario, in quanto non incompatibile con le specifiche previsioni del D.Lgs. n. 546 del 1992, giacchè il medesimo articolo 25 prevede altresì che le parti possano ottenere copia autentica degli atti e documenti contenuti nei fascicoli di parte e d’ufficio.

Seguendo tale rigorosa interpretazione, infatti, non sarebbe ravvisabile alcun impedimento all’assolvimento dell’onere di cui al citato comma 2, n. 4 dell’art. 369 c.p.c., potendo la parte provvedere al deposito anche mediante la produzione di copie degli atti e documenti su cui il ricorso si fonda.

Con la pronuncia in esame, invece, le Sezioni Unite, in linea con l’interpretazione della norma anteriore al mutamento di indirizzo del 2009, hanno constatato come alla novella effettuata dal D.Lgs n. 40/2006, che ha modificato il n. 4 dell’art. 369 aggiungendo il richiamo espresso agli “atti processuali” tra quelli oggetto di specifica produzione, non possa attribuirsi l’univoco senso del riferimento anche agli atti già contenuti nel fascicolo d’ufficio.

Di conseguenza, il solo “vantaggio” per la Corte di disporre immediatamente degli atti e dei documenti sui quali il ricorso si fonda, seppure già contenuti nel fascicolo d’ufficio posto nella sua disponibilità, non può giustificare - in assenza di ulteriori valutazioni derivanti da mutamenti intervenuti nell’ambiente processuale o dall’emersione di valori prima trascurati - l’attribuzione alla disposizione in esame di un significato diverso.

E’, quindi, da preferire, a parere delle Sezioni Unite, l’interpretazione, comunque conforme ad un economico funzionamento del sistema giudiziario, secondo la quale, nei ricorsi avverso le sentenze delle Commissioni tributarie, l’onere di deposito è già pienamente assolto, per gli atti già contenuti nel fascicolo d’ufficio, dalla richiesta di trasmissione dello stesso ex art. 369, terzo comma, cod. proc. civ., senza necessità che si proceda ad un ulteriore specifico atto di allegazione.