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La nuova sentenza tributaria semplificata: tra violazioni costituzionali ed euro-unitarie

Una riflessione sulla riforma n. 220/2023
sentenza tributaria
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La nuova sentenza tributaria semplificata: tra violazioni costituzionali ed euro-unitarie

Una riflessione sulla riforma n. 220/2023

 

L’art. 4, co. 2, del D.lgs. 220/2023 prevede che “Le disposizioni del presente decreto si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, con ricorso notificato successivamente al 1° settembre 2024, fatta eccezione per quelle di cui all'articolo 1, comma 1, lettere d), e), f), i), n), o), p), q), s), t), u), v), z), aa), bb), cc) e dd) che si applicano ai giudizi instaurati, in primo e in secondo grado, nonché in Cassazione, a decorrere dal giorno successivo all'entrata in vigore del presente decreto".

Tra le disposizioni entrate da subito in vigore, pertanto, c’è l’art. 1, co. 1, lett. t) denominato “Definizione del giudizio in esito alla domanda di sospensione”.

Tale disposizione potrebbe sembrare afferente alla fase cautelare in quanto tale ma così non è. Infatti prevede uno strumento decisionale nuovo e sconosciuto al mondo del diritto basato sul c.d. civil law

L’art. 47 ter del D.lgs. 546/1992, introdotto appunto dalla normativa 220/2023, prevede: “Il giudice decide con sentenza in forma semplificata quando ravvisa la manifesta fondatezza, inammissibilità, improcedibilità o infondatezza del ricorso. La motivazione della sentenza può consistere in un sintetico riferimento al punto di fatto o di diritto ritenuto risolutivo ovvero, se del caso, a un precedente conforme”.

Ebbene, tale ultimo passaggio normativo strizza l’occhio, evidentemente, al sistema c.d. common law; sistema, quest’ultimo, basato sull’ingranaggio del precedente giudiziario conforme (molto radicato nel mondo anglo-sassone). 

Se tanto ci dà tanto, allora, l’introduzione normativa in esame provoca un disallineamento in termini di genetica-giuridica perché:

  • se il sistema di diritto usato è il civil law, nel quale conta la motivazione puntuale rispetto alle norme esistenti, non può esistere l’ipotesi che un giudice decida per relationem rispetto ad un provvedimento giurisprudenziale precedente su un caso conforme;
  • se il sistema di diritto usato è il common law, allora, il caso deciso per relationem sostituisce anche il dettato normativo nel senso che intentare una causa, per un cittadino italiano, diventerebbe un fatto di potenziale (e quasi scontata) responsabilità aggravata in caso di soccombenza essendoci, di contro, una marea di giurisprudenza partorita nel tempo e quindi da studiare (con l’effetto del molto probabile inciampo processuale). 

Da questi due punti di esame genetico-giuridico della questione normativa nata a seguito dell’introduzione dell’art. 47 ter nel D.lgs. 546/1992, sorge una riflessione costituzional-tributaria-processuale che non fa sconti al metodo legislativo usato. 

Posto per assodato che la decisione giudiziale possa, in astratto, anche aversi per relationem con tutti i rischi e le vacuità del caso, c’è di fondo una stortura non solo metodologica usata dal legislatore, ma anche una diretta violazione di almeno due principi cardine delle dinamiche costituzionali italiane. 

Il primo è il diritto di difesa ex art. 24 Cost. mentre il secondo è il principio del Giusto processo secondo l’art. 111 Cost.

Quanto al primo poniamo una ipotesi concreta: essendoci tantissima giurisprudenza partorita nel tempo (ad esempio dall’avvento repubblicano in poi), quale senso processuale avrebbe la c.d. “eccezione puntuale” o il “motivo di ricorso specifico” se il giudice tributario, ben potendo trascurare le tecniche difensivo-processuali, potrà decidere il caso nel merito in base ad un precedente conforme (ovvio che ci sarebbe uno svilimento del diritto di difesa classicamente inteso e vissuto)? Inoltre, se il giudice tributario decidesse per semplice richiamo a un precedente conforme, come dovrebbe appellare il difensore della parte soccombente senza poter discutere, criticare, ecc. il ragionamento (mancante in base all’art. 47 ter) del soggetto monocratico o collegiale decidente la causa in primo grado? Stessa cosa valgasi per il ricorso per Cassazione: su cosa dovrebbe operare l’art. 360 cpc dato che una decisione per relationem annienta ed elimina di fatto le casistiche argomentative di ricorso per cassazione?

Si tratta, di tutta evidenza, di una disposizione normativa (quella in esame) che porta con sé diversi pericoli: non solo di stortura giuridica, ma di inclinazione democratica verso altri piani  e ciò dal momento che se il giudice al quale mi rivolgo per ottenere giustizia non motiva più il suo ragionamento (se non affermando che c’è un precedente conforme sulla questione), stiamo certi che il diritto è di per sé finito.

Non che il principio della “conforme precedente” non possa essere utile ad affermare nuovi metodi decisionali, ma si tratta di non tradire il nostro sistema giuridico svilendo la dimensione democratica dello stesso tenuto conto che quel tipo di metodo decisionale è confacente nei sistemi di common law e non di civil law (come il nostro). 

Quanto al secondo principio posto in possibile violazione costituzionale, basti leggere il comma 5 dell’art. 111 della Costituzione: “Tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. L’intendimento dei costituenti era ed è chiaro. Quando si chiede una motivazione, in pratica, si dice al legislatore ed al potere giurisdizionale di non eliminare di fatto il processo logico-argomentativo che contraddistingue i Paesi di diritto da altri.

Pertanto, la previsione normativa in questione non solo è in palese contrasto con l’articolo costituzionale, ma anche con dinamiche giuridiche sovranazionali come ad esmepio: 

  • l’art. 45 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo che prevede che “Le sentenze e le decisioni che dichiarano i ricorsi ricevibili o irricevibili devono essere motivate”;
  • l’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea che prevede “l’obbligo per l’amministrazione di motivare le proprie decisioni”.

In conclusione, se un cittadino italiano non riuscirà ad avere “giustizia motivata” in sede nazionale potrà ricorrere in sede europea per far condannare l’Italia in relazione all’avere una legislazione interna ostativa del rispetto del diritto europeo che, di riflesso, sarebbe una incostituzionalità parziale della legge 220/2023 sempre laddove la Corte Costituzionale italiana non devesse intervenire sul tema (per assenza di qualsivoglia rinvio della questione incidentale da parte di giudici tributari).

La domanda finale è: quanti cittadini avranno possibilità economiche e capacità di resistenza tali (quasi a vita dati i tempi della giustizia italiana) per vedersi un minimo di dignità giuridica? 

I dati li sappiamo già, da una parte, mentre manca un legislatore serio sulla materia processuale tributaria che, ad oggi, fa passi indietro notevolissimi finendo nel bacino regressivo dell’arcaica concezione di contenzioso. Ma l’art. 111 Costituzione parla chiaro e cioè di Giusto processo e non di giusto contenzioso (termine che con l’avvento repubblicano giammai ha rappresentato il montante di garanzie volute dai costituenti stessi).