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Esenzione IMU agricola

Normativa catastale di dubbia costituzionalità e problemi di garanzia del diritto
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Esenzione IMU agricola

Normativa catastale di dubbia costituzionalità e problemi di garanzia del diritto

 

L’entrata in vigore del D.L. 201/2011, convertito in legge con modificazioni n. 214/2011, sin da subito ha destato preoccupazioni nel mondo giuridico e agricolo. In primis perché con decreto legge, che secondo la Costituzione (art. 77) deve avvenire solo se ci sono elementi straordinari di necessità e urgenza normativa, è stata introdotta una norma di natura catastale incidente direttamente sull’imposizione fiscale-tributaria e, pertanto, non sottoponibile a referendum secondo l’art. 75 della Costituzione stessa. Ciò non tanto perché il Decreto legge abbia disposto in un ambito catastale, ma perché la legge di conversione, pur titolandosi “disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici”, introduce di fatto in norma tributaria in materia agricola.

Si tratta dell’art. 13 co. 14-bis del citato D.L. 201/2011 (evidentemente inserito con la legge di conversione) il quale prescrive che “Le domande di variazione della categoria catastale presentate, ai sensi del comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, anche dopo la scadenza dei termini originariamente posti e fino alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, producono gli effetti previsti in relazione al riconoscimento del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo. Con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono stabilite le modalità per l'inserimento negli atti catastali della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo”.

Ora, tale norma si basa sostanzialmente su due pilastri: uno preesistente e l’altro ad emanarsi.

Quanto al primo si tratta dell’art. 7, co. 2 bis, del D.L. 70/2011; quanto al secondo si tratta del D.M. Mef del 26.07.2012.

Ebbene, anzitutto, l’art. 7, co. 2 bis, del D.L. 70/2011 è stato abrogato dal successivo D.L. 201/2011. Detta norma (ovverosia l’art. 7, co. 2 bis, del D.L. 70/2011) prevedeva che “All’art.7…. sono aggiunti, in fine, i seguenti commi: “2-bis. Ai fini del riconoscimento della ruralità degli immobili ai sensi dell'articolo 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133, e successive modificazioni, i soggetti interessati possono presentare all'Agenzia del territorio una domanda di variazione della categoria catastale per l'attribuzione all'immobile della categoria A/6 per gli immobili rurali ad uso abitativo o della categoria D/10 per gli immobili rurali ad uso strumentale. Alla domanda, da presentare entro il 30 settembre 2011, deve essere allegata un'autocertificazione ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, nella quale il richiedente dichiara che l'immobile possiede, in via continuativa a decorrere dal quinto anno antecedente a quello di presentazione della domanda, i requisiti di ruralità dell'immobile necessari ai sensi del citato articolo 9 del decreto-legge n. 557 del 1993, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 133 del 1994, e successive modificazioni”.

Tutto ciò sta a significare che sia il D.L. 70/2011 che il D.L. 201/2011 hanno avuto ed hanno una portata limitata riguardo al tempo di vita giuridica in quanto esso stesso differenziato:

  1. l’art. 7, co. 2 bis, D.L. 70/2011 finché non è stato abrogato dal D.L. 201/2011;
  2. l’art. 13, co. 14 bis, D.L. 201/2011 finché il precedente art. 7, comma 2 bis, DL. 70/2011 non avesse esaurito gli effetti “alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto”.

La traduzione plastica di quanto sopra, ci fa intendere che le operazioni di classamento volute dal legislatore con le norme del 2011 erano solo finalizzate ad una mappatura catastale da auto-dichiarazione senza con ciò togliere dal campo delle soluzioni possibili l’accertamento amministrativo e/o giudizialmente in base ad altra norma: l’art. 9 del D.L. 557/1993.

Quel che è accaduto nel tempo è un assurdo giuridico-pratico per gli agricoltori o i proprietari di fabbricati annessi e strumentali all’attività agricola a prescindere dal classamento operato entro il termine del settembre 2011. Termine, quest’ultimo, che (si ribadisce) non esiste più perché abrogato e la legge di abrogazione ha solamente disciplinato gli effetti successivi senza vietare altro tipo di validazione catastale per ottenere l’esenzione agricola di fabbricati strumentali.

Infatti, l’Istituzione del catasto dei fabbricati avviene proprio con l’art. 9 del D.L. 557/1993 il quale prescrive la finalità esclusiva al comma 1:“Al fine di realizzare un inventario completo ed uniforme del patrimonio edilizio, il Ministero delle finanze provvede al censimento di tutti i fabbricati o porzioni di fabbricati rurali e alla loro iscrizione, mantenendo tale qualificazione, nel catasto edilizio urbano, che assumerà la denominazione di "catasto dei fabbricati". L'amministrazione finanziaria provvede inoltre alla individuazione delle unità immobiliari di qualsiasi natura che non hanno formato oggetto di dichiarazione al catasto. Si provvede anche mediante ricognizione generale del territorio basata su informazioni derivanti da rilievi aerofotografici”.

Come volevasi dimostrare, mentre la legge del 1993 specifica che il fine è inventariare e il compito è del Ministero delle Finanze, con la legge (temporanea) del 2011 il compito era affidato ai privati che potevano accatastare diversamente entro il settembre 2011.

Ma entrambe le norme non escludevano né escludono il compito insostituibile, inalienabile, ecc. dello Stato centrale (tramite Agenzie ed Enti Locali) ovverosia di procedere d’ufficio al controllo ed alla mappatura reale dei fabbricati a prescindere dall’accatastamento pregresso e dall’eventuale mantenimento sbagliato dell’accatastamento predetto (esempio classico: un imprenditore agricolo che ha un fabbricato strumentale all’attività, ma accatastato come opificio industriale senza che alcun Ente abbia mai dato licenza industriale).

Infatti, il comma 3 bis dell’art. 9 del D.L. 557/1993 prescrive che “Ai fini fiscali deve riconoscersi carattere di ruralità alle costruzioni strumentali necessarie allo svolgimento dell'attività agricola di cui all'articolo 2135 del codice civile e in particolare destinate… omissis”.

Come ben può leggersi, il legislatore ha utilizzato un verbo specifico: DEVE.

Ciò sta a significare che tale riconoscimento, come anticipato, può essere amministrativo o giudiziale. Non a caso la Corte Costituzionale, con la recente decisione 12/2023 (benché di inammissibilità in rito), ha precisato che “Occorre, anzitutto, ribadire, in linea con un’enunciazione già espressa dalla giurisprudenza costituzionale, che le precedenti pronunce di inammissibilità non comportano alcun effetto impeditivo nei confronti di successive censure, pure analoghe, relative alla medesima norma, posto che la riproposizione della stessa questione è preclusa soltanto nel corso del medesimo giudizio (sentenza n. 99 del 2017)” per chiarire che il giudice rimettente non pone in discussione “il principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione, secondo il quale l’annotazione costituisce condizione per il riconoscimento della destinazione rurale dell’immobile soggetto all’ICI, ma piuttosto la possibilità che sia proprio tale principio a determinare la lesione di diritti tutelati dalla Costituzione”.

Da questi spunti si può dedurre perché molti Enti locali richiedono da anni (sin da quando entrato in vigore l’art. 13, co. 14 bis, D.L. 201/2011) IMU per fabbricati in realtà strumentali all’attività agricola ma catastalmente rimasti iscritti, ad esempio, come categoria D/10.

La ragione è nella lacunosità normativa del 2011 e nella sua stessa presunta vincolatezza determinata, per derivazione, dal Decreto del MEF del 26.07.2012.

La presunta vincolatezza del Decreto del MEF, di cui si parla, starebbe proprio nella previsione di cui all’art. 13, co. 14 bis, D.L. 201/2011 con cui il legislatore afferma che “… omissis… Con decreto del Ministro  dell'economia  e delle finanze, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge  di  conversione  del  presente  decreto,  sono stabilite le modalità per l'inserimento negli atti  catastali  della sussistenza del requisito di ruralità, fermo restando il classamento originario degli immobili rurali ad uso abitativo”.

Ma un D.M. giammai può esprimere vincolatezza: al massimo modalità operative per uno scopo amministrativo.

Infatti il tutto si inchina dinanzi ad una parola insuperabile del D.L. 557/1993: il DEVE.

E tale DEVE sta a significare che tutti gli operatori del diritto, siano essi nell’ambito amministrativo o giudiziale, sono tenuti ad applicare il requisito di ruralità a prescindere dalla volontaria manifestazione del contribuente entro la scadenza imposta dalla normazione del 2011.

Sempre per effetto della vigenza, erga omnes, del DEVE nell’art. 9, co. 3 bis, legge 557/1993 è la Cassazione a ricordare che “Il contribuente non è tenuto ad effettuare la dichiarazione se il Comune era ed è comunque a conoscenza degli elementi che incidono sulla regolamentazione fiscale degli immobili” (Cassazione 2965/2022).

E gli Enti locali non possono disconoscere la realtà dei fatti per mantenere iscrivibili partite contabili non corrispondenti alla corretta e legittima contribuzione dei soggetti passivi perché i fabbricati strumentalmente agricoli, benché accatastati diversamente, erano e sono esenti da IMU a prescindere dalle annotazioni amministrative per il catasto e classamento. Se valesse il contrario, qualora lo strumento dell’annotazione chiudesse il cerchio circa la definitività dei requisiti soggettivi ed oggettivi dell’imposta, allora, il Giudice tributario non sarebbe più un Organo a potere pieno, ma limitato, circoscritto e per relationem. Invece il Giudice tributario, ad esempio, DEVE intervenire per porre rimedio all’imputazione di imposta nata dalla discrasia tra il dato catastale e la realtà strumentale dei fabbricati.

I Comune, in pratica, a prescindere dall’annotazione catastale e dall’autodichiarazione del contribuente circa la strumentalità del fabbricato agricolo devono, anche d’ufficio, interessare il preposto ufficio dell’Agenzia del territorio per le modificazioni necessarie a non gravare sul contribuente imposta e contenzioso eventuale nonché applicare perbene l’esenzione.

Cosa, quest’ultima, che in sostanza è una sorta di obbligo amministrativo per i Comuni perché  previsto proprio dal Decreto MEF del 26.07.2012 all’art. 5, co.2, il quale prevede che “Il mancato riconoscimento del requisito di  ruralità,  anche  a seguito di segnalazione motivata  del  comune  o  dell'Agenzia  delle entrate,  è  accertato  con  provvedimento  motivato  del  direttore dell'Ufficio  provinciale  dell'Agenzia  del  territorio,  registrato negli atti catastali mediante specifica annotazione e notificato agli Interessati”.

Quindi, se tanto vale per il mancato riconoscimento, lo stesso vale a rovescio ovverosia che i Comuni sono tenuti (devono) segnalare la realtà dei fatti all’Agenzia del territorio per l’annotazione (postuma alla legge del 2011) riguardo all’applicazione della ruralità ai fabbricati.

Inoltre, l’art. 1 del Decreto MEF del 26.07.2012, al terzo comma, prevede che “3. Per il riconoscimento del requisito di ruralità, si applicano le disposizioni richiamate all'art. 9 del decreto-legge 30 dicembre 1993, n. 557, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 1994, n. 133”. È proprio il collegamento preciso a ciò che si diceva innanzi riguardo al co. 3 bis dell’art. 9: ai fini fiscali DEVE riconoscersi carattere di ruralità (ex lege).

La Suprema Corte di Cassazione, sul punto, è intervenuta, recentemente, più volte sul punto con le seguenti massime di diritto.

 

NUMERO DECISIONE

MASSIMA NOMOFILATTICA

18083/2023

“… la permanenza del requisito dell’iscrizione alla previdenza agricola, che già presuppone una valutazione del reddito agrario rispetto ad altri redditi, secondo i criteri fissati ai fini previdenziali, costituisce ex lege, oltre alla conduzione dei terreni, l’unica condizione richiesta per la fruizione dei benefici fiscali.

 

- ai sensi del d.l. n. 201 del 2011, art. 13, comma 2, conv. in l. n. 214 del 2011, <<I soggetti richiamati dall'articolo 2, comma 1, lettera b), secondo periodo, del decreto legislativo n. 504 del 1992, sono individuati nei coltivatori diretti e negli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e successive modificazioni, iscritti nella previdenza agricola;

 

- la l. 27 dicembre 2019, n. 160, art. 1, comma 758, ha disposto che <<Sono esenti dall'imposta i terreni agricoli come di seguito qualificati:

a) posseduti e condotti dai coltivatori diretti e dagli imprenditori agricoli professionali di cui all'articolo 1 del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, iscritti alla previdenza agricola, comprese le società agricole di cui all'articolo 1, comma 3, del citato decreto legislativo n. 99 del 2004, indipendentemente dalla loro ubicazione; … >>.

 

In sintesi, l’iscrizione previdenziale già presuppone (per il coltivatore diretto, e ausiliari), sia pure con presunzione iuris tantum (come tale suscettibile di prova contraria), lo svolgimento di una diretta, abituale e manuale coltivazione dei fondi, o un diretto ed abituale governo del bestiame, sussistenti allorché l'interessato si dedichi a tali incombenti in modo esclusivo, o anche solo prevalente (nel senso che l'attività deve impegnare il coltivatore per il maggior periodo di tempo nell'anno e costituire per esso la maggior fonte di reddito).

 

8975/2024

“Nel solco di tale impostazione, già in passato Cass., Sez. 5, Sentenza n. 9760 del 18/06/2003 ha enunciato i seguenti principi di diritto:

  1. ai sensi dell'art. 9, comma 3-bis, del d.l. 30 dicembre 1993, n. 557, convertito nella legge 26 febbraio 1993, n. 133, deve essere sempre riconosciuta natura rurale ai fini fiscali ai fabbricati strumentali alle attività agricole;
  2. l'esclusione della ruralità prevista dall'art. 9, terzo comma, lett. e), del citato d.l. per i fabbricati aventi caratteristiche di lusso ai sensi del decreto del Ministro per i lavori pubblici del 2 agosto 1968 opera soltanto per i fabbricati aventi uso abitativo.

Ciò debitamente premesso, nel caso di specie la ricorrente Agenzia non ha contrastato la ratio decidendi sottesa alla decisione impugnata, che si sostanzia nell’affermare che il fabbricato in esame, sebbene accatastato in categoria A/8, era adibito ad attività agrituristica e, quindi, era rurale ex lege”

 

In definitiva, il riconoscimento della ruralità si ottiene in due modi:

  • o per via amministrativa;
  • o per via giudiziale (dal momento che le dichiarazioni di classamento e catastali possono non coincidere con la realtà delle cose, come nella fattispecie). 

Per chiudere la presente analisi, comunque, va chiarito un ultimo aspetto.

Se l’art. 13, co. 14 bis, D.L. 201/2011 è tranciante per gli accatastamenti non fatti entro il 30 settembre 2011 (quindi con imposizione dal 2011 in poi) significa che c’è una violazione assoluta dell’art. 53 della Costituzione ovverosia “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva”.

Pertanto, se l’Ente locale si limita al dato catastale per emettere l’accertamento ai fini IMU senza considerare le osservazioni del contribuente sulla strumentalità agricola di fatto dei fabbricati o di prendere in considerazione un sopralluogo (atteso che ogni anno d’imposta è a sé stante), allora, ci si trova dinanzi ad una norma palesemente incostituzionale in quanto lesiva del principio di proporzionalità della contribuzione.  

Delle due l’una: o si abroga la norma o la si migliora oppure ancora occorre una norma di interpretazione autentica secondo l’art. 1, co. 2, dello Statuto del Contribuente legge 212/2000 (che prescrive: “L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica”) tenuto conto che, oggettivamente, il comma 2-bis dell'articolo 7 del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, non esiste più perché abrogato.

Il legislatore dovrebbe provvedere in merito perché ne va della certezza del diritto a favore di agricoltori ed imprenditori agricoli che sono cittadini al pari di altri.