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LA RESPONSABILITA` CIVILE DELLE SOCIETA’ DI RATING TRA CRISI ECONOMICA E RIFORMA DEI MERCATI FINANZIARI

1.Premessa

Le crisi finanziarie internazionali manifestatesi nei primi anni del ventunesimo secolo hanno messo in discussione la capacità del mercato e dei suoi operatori di autoregolamentarsi con efficienza. È opinione diffusa che fra i vari responsabili delle recenti crisi finanziarie debbano annoverarsi anche le “agenzie di rating”, ree di aver operato senza la necessaria correttezza e trasparenza anche in ragione della troppa libertà loro consentita da una regolamentazione all’epoca alquanto lacunosa.

Si è assistito, pertanto, ad un acceso dibattito intellettuale fra operatori del diritto di ogni tradizione giuridica su quale fosse la migliore azione – legislativa o no – per rendere il più efficiente possibile l’attività di rating.

La tendenza più recente è inequivocabilmente quella della regolamentazione del soggetto “agenzia di rating” e della sua attività. Che il traguardo di un sistema di responsabilità da rating sia ancora un’utopia si intuisce dal rinvio che i regolamenti comunitari fanno alle norme “della pertinente legislazione nazionale in tema di responsabilità civile”, un rinvio che trova riscontro unicamente nella legge francese 1249/2010.

Gli itinerari possibili appaiono essenzialmente due: o si condivide la tesi di chi, stante il carattere professionale dell’agenzia di rating nel fornire questo servizio d’informazione, rileva nel caso di specie i tratti essenziali di una responsabilità da contratto sociale per lesione del principio dell’affidamento incolpevole; ovvero, si può optare per l’opzione di chi ritiene questa forma di responsabilità rientrante nelle maglie dell’art. 2043 cc focalizzando l’attenzione sull’ingiustizia del danno subita dall’investitore.

 

2.Il rating come giudizio di valore

In linea di principio qualsivoglia genere di rating rappresenta un giudizio sintetico espresso in forme immediatamente comprensibili e comparabili. Esso costituisce ad oggi uno strumento di larghissima diffusione e di grande attualità nella realtà dei mercati finanziari.

La componente valutativa, almeno in parte discrezionale, è connotato essenziale di ogni tipo di rating. Tuttavia, tale caratteristica non è di per sé sufficiente a differenziare il credit rating delle imprese e dei prodotti finanziari da tutti le altre tipologie di rating.

La società moderna, infatti, si affanna costantemente a definire scale di gradimento espresse in forme immediatamente comprensibili e sintetiche: dalle classifiche dei ristoranti e degli alberghi alle critiche cinematografiche sino ai ranking delle facoltà universitarie, e così via. Ogni rating (compresi quelli dei ristoranti, dei film o delle università) è idoneo ad orientare le scelte dei consumatori finali.

I credit rating, tuttavia, presentano caratteristiche peculiari e che li distinguono da tutti gli altri e ne giustificano sia uno studio a sé stante, sia l’assoggettamento ad una disciplina speciale. È quindi di tutta evidenza l’utilità della funzione delle agenzie di rating sia per gli investitori sia per gli emittenti. Da un lato, esse forniscono al singolo investitore informazioni semplici ed agevolmente utilizzabili in grado di aiutarlo a compiere opportune scelte d’investimento; dall’altro, anche gli emittenti godono in termini di accesso al mercato un’utilità non indifferente da suddetti giudizi e persino gli altri gatekeepers, vedi le banche, possono necessitare dell’attività di queste agenzie se decidono di investire in mercati stranieri inesplorati.

Sergio Romano ha definito le agenzie di rating una sorta di “magistratura finanziaria”, che deve assicurare che nessuno bari. Bella immagine, ma voi sareste tranquilli se il giudice che deve decidere la vostra causa non dicesse né che codice sta applicando, né quali elementi probatori ha raccolto, e fosse socio della vostra controparte che vede ogni sera al circolo del Bridge? Lungi dall’essere il rimedio alle asimmetrie informative, il rating diventa così esso stesso una fonte di ulteriore opacità e, più ancora, un’arma da guerra finanziaria.

 

3. La responsabilità civile delle agenzie di rating per informazioni inesatte o incomplete

Il ruolo fondamentale del rating nell’ottica dell’investitore quale criterio principale, se non addirittura unico, che ne indirizza la scelta di investimento e quindi l’allocazione del risparmio, a beneficio dei prenditori più meritevoli, è affermato con estrema chiarezza dalla giurisprudenza italiana di merito. È infatti ricorrente tra le Corti italiane la convinzione che incorra in responsabilità l’intermediario che non abbia segnalato al proprio cliente la valutazione operata dalle agenzie specializzate sul merito creditizio di un determinato emittente o prodotto finanziario. Ciò in quanto il rating costituirebbe un fattore idoneo ad influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell’investitore, con la conseguenza che la mancata comunicazione dello stesso da parte dell’intermediario incaricato, rappresenterebbe la violazione dei più elementari obblighi informativi sottesi al rapporto contrattuale cliente-intermediario.

Ciò significa che l’intermediario, che voglia agire con la diligenza richiesta all’operatore qualificato, è tenuto ad informare il cliente dei rischi connessi alle specifiche operazioni di investimento, segnalando la natura altamente azzardata dell’investimento secondo le valutazioni operate dalle agenzie di rating. In sostanza «il rating costituisce un’informazione se non determinante, quanto meno indicativa del tipo di investimento che si è in procinto di effettuare e la sua mancata indicazione rappresenta la violazione dei più elementari obblighi informativi.

L’intermediario, pertanto, ha il preciso obbligo di segnalare al risparmiatore in modo non generico ed approssimativo la natura dell’investimento alla stregua della valutazione operata dalle maggiori agenzie di rating, trattandosi di dato che costituisce fattore idoneo ad influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell’investitore».

Da molto tempo il tema della «responsabilità da informazioni inesatte», specie se fornite in un contesto di mercato, ha occupato dottrina e giurisprudenza, italiana e non solo. Essa costituirebbe esempio tipico di quell’«area di turbolenza ai confini tra responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale» che nei primi anni Novanta ha attirato l’attenzione di autorevole dottrina italiana.

Per quanto concerne quella particolare informazione che è il rating, nell’ipotesi in cui quest’ultimo si riveli in tutto o in parte infondato o inesatto si è posta la questione di stabilire se sussista o meno una responsabilità della società di rating che l’ha prodotto, o che non l’ha aggiornato prontamente, nei confronti degli investitori che, facendo affidamento in buona fede sulle valutazioni espresse dall’agenzia, abbiano subito un pregiudizio patrimoniale a causa del grado di rischio dell’investimento diverso da quanto rappresentato.

Nell’ipotesi che qui interessa, in cui la responsabilità della società di rating è invocata dall’investitore che è indotto a sottoscrivere prodotti finanziari dal rendimento inferiore a quello aspettato sulla base del rating espresso dall’agenzia, l’eventus damni è costituito dalla perdita patrimoniale subita dall’investitore.

Il bene giuridico la cui violazione è lamentata dall’investitore che si ritiene pregiudicato da un rating inadeguato rispetto alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria reale dell’emittente è la propria “libertà contrattuale”.

Si è soliti sostenere che la società di rating, mediante l’assegnazione di un rating inesatto, avrebbe interferito nella libera determinazione dell’attività negoziale dell’investitore avendone alterato il corretto processo di determinazione della propria volontà, dal momento che egli riponeva un legittimo affidamento nella correttezza del giudizio emesso dall’agenzia e di riflesso nella solvibilità dell’emittente valutato.

Occorrerà verificare se, ai sensi del diritto italiano, l’affidamento incolpevole del risparmiatore nella genuinità, correttezza e qualità delle informazioni rese da un soggetto dalla reputazione particolarmente attendibile quale è l’agenzia di rating, trovi un grado di protezione sufficiente ovvero sia destinato a cedere dinanzi ai principi di libertà di informazione.

Ciò posto a livello di principio, in ipotesi di pregiudizio della libertà contrattuale derivante dall’aver riposto fiducia in false informazioni, si tende a tutelare l’affidamento del terzo ove l’informazione provenga da un soggetto dotato di un particolare status che, rendendo attendibile l’informazione resa, ingenera un particolare affidamento nella serietà e veridicità dell’informazione stessa.

Il tema della responsabilità di soggetti dotati di particolari componenti di attendibilità nel fornire informazioni a terzi interessati gode, in Italia, di una diffusa casistica applicativa e, forse anche per questo motivo, ha suscitato l’attenzione e l’approfondimento della dottrina civilistica da lungo tempo. Terreno fertile in cui si è manifestato tale cambiamento di prospettiva ed in cui si è conseguentemente sviluppato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia di responsabilità “per false o erronee informazioni” fornite da un soggetto altamente qualificato, è stato il settore bancario e segnatamente la responsabilità degli istituti di credito per diffusione o rivelazione di notizie riservate, per omissione di informazioni doverose e, in particolare, per la comunicazione di informazioni inesatte.

Fugando ogni dubbio si precisa che l’indagine intesa ad appurare se l’informazione fornita sia erronea non deve essere confusa con quella relativa alla colpevolezza dell’autore dell’informazione. L’erroneità dell’informazione costituisce, infatti, un mero elemento oggettivo della fattispecie di responsabilità e la sua presenza non racchiude necessariamente il dolo o la colpa dell’informante, potendo ben accadere che questi abbia fornito un’informazione inesatta inconsapevolmente e nonostante l’uso di un grado di diligenza corrispondente a quello richiesto dalla legge.

Da ciò deriva che, per accertare l’inadempimento di chi si è impegnato a fornire informazioni, il contenuto della prestazione va guardato sotto il profilo della serietà delle informazioni che sono state fornite in relazione al modo in cui furono assunte dato che, se non si può pretendere una veridicità assoluta, si ha però diritto a notizie serie, che non si risolvano cioè in giudizi superficiali irresponsabilmente dispensati.

 

3.1 La responsabilità civile delle agenzie di rating nei confronti dei terzi investitori come responsabilità da affidamento. La tesi della responsabilità da “contatto sociale”.

Nell’esaminare i termini generali della responsabilità delle società di rating si è evidenziato come, sebbene la dottrina assolutamente prevalente propenda per una qualificazione della stessa in termini extracontrattuali, siano rilevanti alcuni spunti che vorrebbero avvicinarla alla responsabilità da c.d. “contatto sociale qualificato”. Tale ricostruzione, consolidatasi nell’ambito della responsabilità del medico, è stata poi estesa anche ad altre figure professionali come ad esempio il notaio oppure l’odontoiatra, sulla base della convinzione che una responsabilità di natura contrattuale salvaguardi maggiormente i terzi danneggiati offrendo loro una garanzia più ampia fondata, in particolare, sul più lungo termine di prescrizione.

Pur non senza qualche incertezza, in un quadro sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tradizionali tipi di responsabilità, anche la giurisprudenza ha in più occasioni mostrato di aderire a siffatta concezione della responsabilità contrattuale, ritenendo che essa possa discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali circostanze, un determinato comportamento.

La costruzione teorica è condivisibile, ma non tanto assumendo che il contatto sociale produca un contratto di fatto fra il danneggiante e il danneggiato, fictio questa che muove dall’erronea premessa che non ci può essere una responsabilità contrattuale se non c’è un contratto sottostante.

L’ordinamento giuridico, ed in particolare proprio quelle regole di condotta poste a carico dell’intermediario, induce a ritenere che tra il risparmiatore ed esso, in realtà, un rapporto giuridicamente rilevante esista già prima della conclusione del c.d. "contratto ". Si tratta di un fatto giuridicamente rilevante, atteso che la legge riconnette proprio ad esso tutta quella serie di conseguenze di carattere obbligatorio rappresentate dai doveri di condotta.

La responsabilità dell’intermediario, allora, si può qualificare come responsabilità da inadempimento di specifiche e pre-esistenti obbligazioni, poste a suo carico per effetto dell’intervenuto contatto sociale tra esso ed il risparmiatore.

In ossequio alle considerazioni sopra svolte circa il ruolo quasi-pubblicistico che le regolamentazioni assegnano in maniera sempre crescente ai rating emessi dalle principali agenzie, della fiducia di cui le stesse godono sui mercati, degli elevati standard cui adesso sono sottoposte, non può ad oggi escludersi con nettezza che – a quelle tra le società di rating che sono sottoposte alle norme primarie in materia di registrazione e di vigilanza – possano trovare applicazione, in via analogica, i principi giurisprudenziali richiamati, con la conseguenza di estendere il regime del contatto sociale qualificato ai rapporti fra società di rating registrate e terzi investitori di buona fede, assoggettandole in tal modo alle regole di responsabilità stabilite per le relazioni contrattuali.

Tuttavia, anche a voler ragionare in termini di responsabilità contrattuale fondata sul contatto sociale intervenuto tra il terzo e l’agenzia, non si può, automaticamente, far derivare dalla semplice diffusione di rating errati una responsabilità nei confronti degli investitori per i pregiudizi da questi subiti.

Le criticità connesse a tale tesi sono sostanzialmente enumerabili in due questioni relative al contatto : per un verso la sua portata ed operatività in concreto, per altro il suo contenuto. Si vuole rammentare che, se in riferimento al primo punto la Cassazione nel 2009 in tema di mediatore professionista (sent 16382/2009), riconoscendo i contorni di una responsabilità da contatto sociale, ne ha ribadito l’elemento dirimente del contatto, in realtà ciò non deve far sorgere perplessità all’interprete rispetto ad altre vicende paradigmatiche (caso banca), nonché rispetto alla difficoltà obiettiva di un contatto fisico con i rappresentanti delle agenzie di rating.

Lo stratagemma giuridico da utilizzare potrebbe essere rintracciato nell’esistenza di un contatto da intendere come accesso al giudizio, accesso non fisicistico ma conoscitivo. Si pensi solo ai canali tematici da un lato, ed al veicolo della rete, dall’altro.

Sul punto in realtà la dottrina maggioritaria avanza numerose critiche laddove ritiene che l’accesso al sito internet non può ex se rappresentare, neppure ad uno stato embrionale, un’ipotesi di contatto. Si contesta il fatto che, anche qualora fosse richiesta la registrazione al sito internet, questa non sarebbe comunque sempre obbligatoria e tutto ciò andrebbe a limitare l’area di responsabilità delle società di rating, alle sole ipotesi di volontario accesso all’informazione.

 

4.Prospettive di riforma

Un’ultima, ma non meno importante occasione di riflessione, attiene alle prospettive di riforma che potrebbero essere intraprese. Senza ulteriori giri di parole le direttrici di rinnovamento possibili sono due. La prima è volta a rilevare che l’idea del mercato quale esclusivo terapeuta di se stesso e presidio migliore della stabilità finanziaria, deve ritenersi ormai superata, come del resto sta avvenendo nel Paese in cui questo pensiero ha avuto la sua origine ed il suo maggiore sviluppo, gli Stati Uniti. Può dirsi pertanto abbandonato il vecchio dibattito sull’alternativa tra protezione del risparmiatore via norma oppure via mercato, sostituito dalla discussione sull’efficienza dei meccanismi di controllo che presiedono al funzionamento del mercato, anche in termini di analisi costi-benefici.

In seconda battuta, deve affermarsi che qualsivoglia progetto di riforma dell’ordinamento finanziario e di revisione degli strumenti di tutela del risparmiatore che si intenderà mettere in cantiere, non porterà i risultati attesi, se non sarà accompagnato da quel complesso di riforme dei vari apparati tangenti e complementari all’organizzazione del mercato finanziario.

Pertanto, al fine di giungere ad un modello di mercato ottimale, è opportuno intervenire in ognuna delle aree problematiche descritte, cercando di offrire agli attori del mercato i giusti incentivi.

In primo luogo è quindi necessario intervenire sulla normativa finanziaria al fine di ridurre in modo rilevante l’affidamento che essa fa sul rating. In questa prospettiva, la previsione di parametri di misurazione del rischio alternativi, anche da usare in aggiunta al rating, possono costituire un correttivo idoneo a riconnettere la domanda dei rating con la loro affidabilità, spingendo gli emittenti e gli investitori ad avvalersi dei parametri diversi nei momenti in cui le agenzie si mostrino incapaci di fare valutazioni attendibili.

In secondo luogo, è necessario promuovere la concorrenza all’interno del mercato del rating, cercando di trovare il giusto equilibrio tra competizione interna tra i suoi attori e garanzia della loro affidabilità.

Al riguardo, una possibile soluzione sembra essere la previsione, in sede di registrazione, di requisiti relativi alla professionalità dei richiedenti e non sulla loro reputazione già acquisita presso gli investitori istituzionali e gli emittenti. Così facendo, si offrirebbe a nuovi e più efficienti comers la possibilità di competere senza alcun svantaggio iniziale con le agenzie già consolidate, innescando una selezione del mercato basata sull’affidabilità concretamente verificata dai fruitori del rating stessi.

La strada da percorrere è ancora lunga ma, vista l’importanza assunta negli ultimi anni dalle agenzie di rating, sarebbe opportuno che gli organi competenti intervengano con una regolamentazione ancora più efficace di quella recentemente introdotta. Si rivela quindi la necessità di incamminarci verso un’integrazione finanziaria mondiale.

Ai fini dello sviluppo globale, è indispensabile che si giunga ai mercati globali, organizzati secondo efficienza e trasparenza, per sviluppare parallelamente una cultura della globalizzazione della responsabilità. Come è stato realizzato un Tribunale Penale Internazionale per i crimini contro l’umanità, così possiamo tendere verso un sistema finanziario integrato. Ben consapevoli però che il sistema finanziario non è autosufficiente e come l’etica degli affari non vive di vita autonoma.

1.Premessa

Le crisi finanziarie internazionali manifestatesi nei primi anni del ventunesimo secolo hanno messo in discussione la capacità del mercato e dei suoi operatori di autoregolamentarsi con efficienza. È opinione diffusa che fra i vari responsabili delle recenti crisi finanziarie debbano annoverarsi anche le “agenzie di rating”, ree di aver operato senza la necessaria correttezza e trasparenza anche in ragione della troppa libertà loro consentita da una regolamentazione all’epoca alquanto lacunosa.

Si è assistito, pertanto, ad un acceso dibattito intellettuale fra operatori del diritto di ogni tradizione giuridica su quale fosse la migliore azione – legislativa o no – per rendere il più efficiente possibile l’attività di rating.

La tendenza più recente è inequivocabilmente quella della regolamentazione del soggetto “agenzia di rating” e della sua attività. Che il traguardo di un sistema di responsabilità da rating sia ancora un’utopia si intuisce dal rinvio che i regolamenti comunitari fanno alle norme “della pertinente legislazione nazionale in tema di responsabilità civile”, un rinvio che trova riscontro unicamente nella legge francese 1249/2010.

Gli itinerari possibili appaiono essenzialmente due: o si condivide la tesi di chi, stante il carattere professionale dell’agenzia di rating nel fornire questo servizio d’informazione, rileva nel caso di specie i tratti essenziali di una responsabilità da contratto sociale per lesione del principio dell’affidamento incolpevole; ovvero, si può optare per l’opzione di chi ritiene questa forma di responsabilità rientrante nelle maglie dell’art. 2043 cc focalizzando l’attenzione sull’ingiustizia del danno subita dall’investitore.

 

2.Il rating come giudizio di valore

In linea di principio qualsivoglia genere di rating rappresenta un giudizio sintetico espresso in forme immediatamente comprensibili e comparabili. Esso costituisce ad oggi uno strumento di larghissima diffusione e di grande attualità nella realtà dei mercati finanziari.

La componente valutativa, almeno in parte discrezionale, è connotato essenziale di ogni tipo di rating. Tuttavia, tale caratteristica non è di per sé sufficiente a differenziare il credit rating delle imprese e dei prodotti finanziari da tutti le altre tipologie di rating.

La società moderna, infatti, si affanna costantemente a definire scale di gradimento espresse in forme immediatamente comprensibili e sintetiche: dalle classifiche dei ristoranti e degli alberghi alle critiche cinematografiche sino ai ranking delle facoltà universitarie, e così via. Ogni rating (compresi quelli dei ristoranti, dei film o delle università) è idoneo ad orientare le scelte dei consumatori finali.

I credit rating, tuttavia, presentano caratteristiche peculiari e che li distinguono da tutti gli altri e ne giustificano sia uno studio a sé stante, sia l’assoggettamento ad una disciplina speciale. È quindi di tutta evidenza l’utilità della funzione delle agenzie di rating sia per gli investitori sia per gli emittenti. Da un lato, esse forniscono al singolo investitore informazioni semplici ed agevolmente utilizzabili in grado di aiutarlo a compiere opportune scelte d’investimento; dall’altro, anche gli emittenti godono in termini di accesso al mercato un’utilità non indifferente da suddetti giudizi e persino gli altri gatekeepers, vedi le banche, possono necessitare dell’attività di queste agenzie se decidono di investire in mercati stranieri inesplorati.

Sergio Romano ha definito le agenzie di rating una sorta di “magistratura finanziaria”, che deve assicurare che nessuno bari. Bella immagine, ma voi sareste tranquilli se il giudice che deve decidere la vostra causa non dicesse né che codice sta applicando, né quali elementi probatori ha raccolto, e fosse socio della vostra controparte che vede ogni sera al circolo del Bridge? Lungi dall’essere il rimedio alle asimmetrie informative, il rating diventa così esso stesso una fonte di ulteriore opacità e, più ancora, un’arma da guerra finanziaria.

 

3. La responsabilità civile delle agenzie di rating per informazioni inesatte o incomplete

Il ruolo fondamentale del rating nell’ottica dell’investitore quale criterio principale, se non addirittura unico, che ne indirizza la scelta di investimento e quindi l’allocazione del risparmio, a beneficio dei prenditori più meritevoli, è affermato con estrema chiarezza dalla giurisprudenza italiana di merito. È infatti ricorrente tra le Corti italiane la convinzione che incorra in responsabilità l’intermediario che non abbia segnalato al proprio cliente la valutazione operata dalle agenzie specializzate sul merito creditizio di un determinato emittente o prodotto finanziario. Ciò in quanto il rating costituirebbe un fattore idoneo ad influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell’investitore, con la conseguenza che la mancata comunicazione dello stesso da parte dell’intermediario incaricato, rappresenterebbe la violazione dei più elementari obblighi informativi sottesi al rapporto contrattuale cliente-intermediario.

Ciò significa che l’intermediario, che voglia agire con la diligenza richiesta all’operatore qualificato, è tenuto ad informare il cliente dei rischi connessi alle specifiche operazioni di investimento, segnalando la natura altamente azzardata dell’investimento secondo le valutazioni operate dalle agenzie di rating. In sostanza «il rating costituisce un’informazione se non determinante, quanto meno indicativa del tipo di investimento che si è in procinto di effettuare e la sua mancata indicazione rappresenta la violazione dei più elementari obblighi informativi.

L’intermediario, pertanto, ha il preciso obbligo di segnalare al risparmiatore in modo non generico ed approssimativo la natura dell’investimento alla stregua della valutazione operata dalle maggiori agenzie di rating, trattandosi di dato che costituisce fattore idoneo ad influenzare in modo rilevante il processo decisionale dell’investitore».

Da molto tempo il tema della «responsabilità da informazioni inesatte», specie se fornite in un contesto di mercato, ha occupato dottrina e giurisprudenza, italiana e non solo. Essa costituirebbe esempio tipico di quell’«area di turbolenza ai confini tra responsabilità aquiliana e responsabilità contrattuale» che nei primi anni Novanta ha attirato l’attenzione di autorevole dottrina italiana.

Per quanto concerne quella particolare informazione che è il rating, nell’ipotesi in cui quest’ultimo si riveli in tutto o in parte infondato o inesatto si è posta la questione di stabilire se sussista o meno una responsabilità della società di rating che l’ha prodotto, o che non l’ha aggiornato prontamente, nei confronti degli investitori che, facendo affidamento in buona fede sulle valutazioni espresse dall’agenzia, abbiano subito un pregiudizio patrimoniale a causa del grado di rischio dell’investimento diverso da quanto rappresentato.

Nell’ipotesi che qui interessa, in cui la responsabilità della società di rating è invocata dall’investitore che è indotto a sottoscrivere prodotti finanziari dal rendimento inferiore a quello aspettato sulla base del rating espresso dall’agenzia, l’eventus damni è costituito dalla perdita patrimoniale subita dall’investitore.

Il bene giuridico la cui violazione è lamentata dall’investitore che si ritiene pregiudicato da un rating inadeguato rispetto alla situazione economica, patrimoniale e finanziaria reale dell’emittente è la propria “libertà contrattuale”.

Si è soliti sostenere che la società di rating, mediante l’assegnazione di un rating inesatto, avrebbe interferito nella libera determinazione dell’attività negoziale dell’investitore avendone alterato il corretto processo di determinazione della propria volontà, dal momento che egli riponeva un legittimo affidamento nella correttezza del giudizio emesso dall’agenzia e di riflesso nella solvibilità dell’emittente valutato.

Occorrerà verificare se, ai sensi del diritto italiano, l’affidamento incolpevole del risparmiatore nella genuinità, correttezza e qualità delle informazioni rese da un soggetto dalla reputazione particolarmente attendibile quale è l’agenzia di rating, trovi un grado di protezione sufficiente ovvero sia destinato a cedere dinanzi ai principi di libertà di informazione.

Ciò posto a livello di principio, in ipotesi di pregiudizio della libertà contrattuale derivante dall’aver riposto fiducia in false informazioni, si tende a tutelare l’affidamento del terzo ove l’informazione provenga da un soggetto dotato di un particolare status che, rendendo attendibile l’informazione resa, ingenera un particolare affidamento nella serietà e veridicità dell’informazione stessa.

Il tema della responsabilità di soggetti dotati di particolari componenti di attendibilità nel fornire informazioni a terzi interessati gode, in Italia, di una diffusa casistica applicativa e, forse anche per questo motivo, ha suscitato l’attenzione e l’approfondimento della dottrina civilistica da lungo tempo. Terreno fertile in cui si è manifestato tale cambiamento di prospettiva ed in cui si è conseguentemente sviluppato il dibattito dottrinale e giurisprudenziale in materia di responsabilità “per false o erronee informazioni” fornite da un soggetto altamente qualificato, è stato il settore bancario e segnatamente la responsabilità degli istituti di credito per diffusione o rivelazione di notizie riservate, per omissione di informazioni doverose e, in particolare, per la comunicazione di informazioni inesatte.

Fugando ogni dubbio si precisa che l’indagine intesa ad appurare se l’informazione fornita sia erronea non deve essere confusa con quella relativa alla colpevolezza dell’autore dell’informazione. L’erroneità dell’informazione costituisce, infatti, un mero elemento oggettivo della fattispecie di responsabilità e la sua presenza non racchiude necessariamente il dolo o la colpa dell’informante, potendo ben accadere che questi abbia fornito un’informazione inesatta inconsapevolmente e nonostante l’uso di un grado di diligenza corrispondente a quello richiesto dalla legge.

Da ciò deriva che, per accertare l’inadempimento di chi si è impegnato a fornire informazioni, il contenuto della prestazione va guardato sotto il profilo della serietà delle informazioni che sono state fornite in relazione al modo in cui furono assunte dato che, se non si può pretendere una veridicità assoluta, si ha però diritto a notizie serie, che non si risolvano cioè in giudizi superficiali irresponsabilmente dispensati.

 

3.1 La responsabilità civile delle agenzie di rating nei confronti dei terzi investitori come responsabilità da affidamento. La tesi della responsabilità da “contatto sociale”.

Nell’esaminare i termini generali della responsabilità delle società di rating si è evidenziato come, sebbene la dottrina assolutamente prevalente propenda per una qualificazione della stessa in termini extracontrattuali, siano rilevanti alcuni spunti che vorrebbero avvicinarla alla responsabilità da c.d. “contatto sociale qualificato”. Tale ricostruzione, consolidatasi nell’ambito della responsabilità del medico, è stata poi estesa anche ad altre figure professionali come ad esempio il notaio oppure l’odontoiatra, sulla base della convinzione che una responsabilità di natura contrattuale salvaguardi maggiormente i terzi danneggiati offrendo loro una garanzia più ampia fondata, in particolare, sul più lungo termine di prescrizione.

Pur non senza qualche incertezza, in un quadro sistematico peraltro connotato da un graduale avvicinamento dei due tradizionali tipi di responsabilità, anche la giurisprudenza ha in più occasioni mostrato di aderire a siffatta concezione della responsabilità contrattuale, ritenendo che essa possa discendere anche dalla violazione di obblighi nascenti da situazioni (non già di contratto, bensì) di semplice contatto sociale, ogni qual volta l’ordinamento imponga ad un soggetto di tenere, in tali circostanze, un determinato comportamento.

La costruzione teorica è condivisibile, ma non tanto assumendo che il contatto sociale produca un contratto di fatto fra il danneggiante e il danneggiato, fictio questa che muove dall’erronea premessa che non ci può essere una responsabilità contrattuale se non c’è un contratto sottostante.

L’ordinamento giuridico, ed in particolare proprio quelle regole di condotta poste a carico dell’intermediario, induce a ritenere che tra il risparmiatore ed esso, in realtà, un rapporto giuridicamente rilevante esista già prima della conclusione del c.d. "contratto ". Si tratta di un fatto giuridicamente rilevante, atteso che la legge riconnette proprio ad esso tutta quella serie di conseguenze di carattere obbligatorio rappresentate dai doveri di condotta.

La responsabilità dell’intermediario, allora, si può qualificare come responsabilità da inadempimento di specifiche e pre-esistenti obbligazioni, poste a suo carico per effetto dell’intervenuto contatto sociale tra esso ed il risparmiatore.

In ossequio alle considerazioni sopra svolte circa il ruolo quasi-pubblicistico che le regolamentazioni assegnano in maniera sempre crescente ai rating emessi dalle principali agenzie, della fiducia di cui le stesse godono sui mercati, degli elevati standard cui adesso sono sottoposte, non può ad oggi escludersi con nettezza che – a quelle tra le società di rating che sono sottoposte alle norme primarie in materia di registrazione e di vigilanza – possano trovare applicazione, in via analogica, i principi giurisprudenziali richiamati, con la conseguenza di estendere il regime del contatto sociale qualificato ai rapporti fra società di rating registrate e terzi investitori di buona fede, assoggettandole in tal modo alle regole di responsabilità stabilite per le relazioni contrattuali.

Tuttavia, anche a voler ragionare in termini di responsabilità contrattuale fondata sul contatto sociale intervenuto tra il terzo e l’agenzia, non si può, automaticamente, far derivare dalla semplice diffusione di rating errati una responsabilità nei confronti degli investitori per i pregiudizi da questi subiti.

Le criticità connesse a tale tesi sono sostanzialmente enumerabili in due questioni relative al contatto : per un verso la sua portata ed operatività in concreto, per altro il suo contenuto. Si vuole rammentare che, se in riferimento al primo punto la Cassazione nel 2009 in tema di mediatore professionista (sent 16382/2009), riconoscendo i contorni di una responsabilità da contatto sociale, ne ha ribadito l’elemento dirimente del contatto, in realtà ciò non deve far sorgere perplessità all’interprete rispetto ad altre vicende paradigmatiche (caso banca), nonché rispetto alla difficoltà obiettiva di un contatto fisico con i rappresentanti delle agenzie di rating.

Lo stratagemma giuridico da utilizzare potrebbe essere rintracciato nell’esistenza di un contatto da intendere come accesso al giudizio, accesso non fisicistico ma conoscitivo. Si pensi solo ai canali tematici da un lato, ed al veicolo della rete, dall’altro.

Sul punto in realtà la dottrina maggioritaria avanza numerose critiche laddove ritiene che l’accesso al sito internet non può ex se rappresentare, neppure ad uno stato embrionale, un’ipotesi di contatto. Si contesta il fatto che, anche qualora fosse richiesta la registrazione al sito internet, questa non sarebbe comunque sempre obbligatoria e tutto ciò andrebbe a limitare l’area di responsabilità delle società di rating, alle sole ipotesi di volontario accesso all’informazione.

 

4.Prospettive di riforma

Un’ultima, ma non meno importante occasione di riflessione, attiene alle prospettive di riforma che potrebbero essere intraprese. Senza ulteriori giri di parole le direttrici di rinnovamento possibili sono due. La prima è volta a rilevare che l’idea del mercato quale esclusivo terapeuta di se stesso e presidio migliore della stabilità finanziaria, deve ritenersi ormai superata, come del resto sta avvenendo nel Paese in cui questo pensiero ha avuto la sua origine ed il suo maggiore sviluppo, gli Stati Uniti. Può dirsi pertanto abbandonato il vecchio dibattito sull’alternativa tra protezione del risparmiatore via norma oppure via mercato, sostituito dalla discussione sull’efficienza dei meccanismi di controllo che presiedono al funzionamento del mercato, anche in termini di analisi costi-benefici.

In seconda battuta, deve affermarsi che qualsivoglia progetto di riforma dell’ordinamento finanziario e di revisione degli strumenti di tutela del risparmiatore che si intenderà mettere in cantiere, non porterà i risultati attesi, se non sarà accompagnato da quel complesso di riforme dei vari apparati tangenti e complementari all’organizzazione del mercato finanziario.

Pertanto, al fine di giungere ad un modello di mercato ottimale, è opportuno intervenire in ognuna delle aree problematiche descritte, cercando di offrire agli attori del mercato i giusti incentivi.

In primo luogo è quindi necessario intervenire sulla normativa finanziaria al fine di ridurre in modo rilevante l’affidamento che essa fa sul rating. In questa prospettiva, la previsione di parametri di misurazione del rischio alternativi, anche da usare in aggiunta al rating, possono costituire un correttivo idoneo a riconnettere la domanda dei rating con la loro affidabilità, spingendo gli emittenti e gli investitori ad avvalersi dei parametri diversi nei momenti in cui le agenzie si mostrino incapaci di fare valutazioni attendibili.

In secondo luogo, è necessario promuovere la concorrenza all’interno del mercato del rating, cercando di trovare il giusto equilibrio tra competizione interna tra i suoi attori e garanzia della loro affidabilità.

Al riguardo, una possibile soluzione sembra essere la previsione, in sede di registrazione, di requisiti relativi alla professionalità dei richiedenti e non sulla loro reputazione già acquisita presso gli investitori istituzionali e gli emittenti. Così facendo, si offrirebbe a nuovi e più efficienti comers la possibilità di competere senza alcun svantaggio iniziale con le agenzie già consolidate, innescando una selezione del mercato basata sull’affidabilità concretamente verificata dai fruitori del rating stessi.

La strada da percorrere è ancora lunga ma, vista l’importanza assunta negli ultimi anni dalle agenzie di rating, sarebbe opportuno che gli organi competenti intervengano con una regolamentazione ancora più efficace di quella recentemente introdotta. Si rivela quindi la necessità di incamminarci verso un’integrazione finanziaria mondiale.

Ai fini dello sviluppo globale, è indispensabile che si giunga ai mercati globali, organizzati secondo efficienza e trasparenza, per sviluppare parallelamente una cultura della globalizzazione della responsabilità. Come è stato realizzato un Tribunale Penale Internazionale per i crimini contro l’umanità, così possiamo tendere verso un sistema finanziario integrato. Ben consapevoli però che il sistema finanziario non è autosufficiente e come l’etica degli affari non vive di vita autonoma.