Stalking: alcune considerazioni alla luce del Decreto Legge “femminicidio”

Il termine stalking è stato recepito dal linguaggio venatorio e letteralmente si traduce con l’espressione inseguire la preda. Tale scelta semantica da parte del legislatore penale fotografa al meglio quello che si presenta come un reato soggettivo, attesa la centralità assunta dalla percezione individuale della vittima rispetto alla molestia in senso lato subita.

 La definizione di stalking usata più frequentemente è quella di una serie di comportamenti diretti ad una specifica persona tesi ad un contatto visivo o fisico, comunicazioni, minacce verbali o scritte, o una combinazione di condotte idonee ad ingenerare uno stato ansiogeno.

Pur se il fenomeno da un profilo sociologico ha origini risalenti, prima del Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11, il legislatore italiano non considerava tali condotte idonee ad integrare una fattispecie autonoma di reato atteso che, fatte salve le ipotesi di degradazione in altre tipologie di reato quali la violenza, l’ingiuria, o la minaccia, l’unica fattispecie che presentava alcuni segmenti di somiglianza era quella dell’articolo 660 del Codice Penale “molestia o disturbo alle persone”. A ben vedere si trattava e si tratta di una contravvenzione di polizia, punita con pena alternativa e di conseguenza anche suscettibile di oblazione, priva di qualsiasi efficacia deterrente rispetto ad un fenomeno che richiede una risposta ferma e completa.

La novella del 2009, pertanto, ha introdotto il nuovo reato di cui all’articolo 612-bis del Codice Penale in risposta non solo a siffatte lacune normative, ma altresì in piena sintonia con la tradizione comunitaria che già da un decennio si dimostrava attenta con una serie di risoluzioni in materia di protezione dei soggetti deboli vittime di reato.

Sul piano sistematico la disposizione dell’articolo 612-bis del Codice Penale si inserisce tra i delitti contro la persona, ovvero quei delitti teleologicamente orientati alla tutela dell’incolumità psico-fisica degli individui, manifestando il legislatore, con tale scelta, l’oggettività giuridica del reato in questione.

Al riguardo, è necessario però precisare che il reato di atti persecutori, lungi dall’essere connotato da un oggettività ristretta, si caratterizza per essere un reato plurioffensivo, atteso che da un lato risulta tutelata la libertà di autodeterminazione, non solo intesa sul piano della sfera morale o sessuale, ma più in generale come spazio di libertà di ciascun individuo di poter condurre il proprio stile di vita senza vessazioni, dall’altro la norma mira a tutelare l’incolumità della persona offesa sia da un punto di vista psicologico che fisico.

Sul piano della condotta, in considerazione del carattere necessitato di una sua reiterazione nel tempo ai fini della configurazione del reato, quest’ultimo deve essere ricondotto nell’ambito dei reati abituali cosiddetti impropri atteso che la fattispecie in esame si caratterizza per la presenza di una serie di condotte singolarmente idonee ad integrare fattispecie di reato perseguibili in via autonoma. Sempre sul piano sistematico è pertanto da escludere la natura di reato continuato per il 612-bis posto che ai sensi dell’articolo 81 del Codice Penale la continuazione piuttosto che rappresentare una fattispecie autonoma di reato si atteggia quale criterio di determinazione della pena.

Il reato di atti persecutori si presenta come reato di danno e di evento, dato quest’ultimo idoneo a tratteggiare il profilo di discontinuità con il reato contravvenzionale di cui all’articolo 660 del Codice Penale che invece assume i contorni di reato di pericolo e di mera condotta. Proprio dal punto di vista strutturale, in ordine alla necessità dell’evento quale condicio di esistenza del reato, si sono posti non pochi dubbi in ordine alla piena compatibilità del 612-bis con il principio di tassatività.

Dalla lettera della norma, “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita” differendo al proseguo della trattazione la valutazione della portata della clausola di sussidiarietà presente nell’incipit, emerge in modo evidente come competerà all’interprete verificare l’esistenza di un nesso eziologico tra le reiterate condotte di molestia o minaccia, dati imprescindibili, e i tre possibili eventi alternativi ognuno dei quali idoneo e sufficiente ad integrare il delitto in parola.

Procedendo con ordine la prima questione che richiede una più puntuale attenzione è il significato da attribuire al concetto di reiterazione tenuto conto del fatto che alla luce della rinnovata teoria realistica del reato un principio di offensività dovrà essere comunque integrato ai fini del perfezionamento dell’articolo 612-bis.

In particolare, atteso che il reato di atti persecutori è un reato abituale, il vero nodo da sciogliere attiene alla identificazione della soglia minima di condotte da realizzare per ritenere integrato l’elemento materiale del reato. La giurisprudenza oramai granitica sul punto, afferma che il concetto di reiterazione della condotta contenuto nell’articolo 612-bis, comma 1, denota la ripetizione di una condotta per una seconda volta da ciò derivando che anche due sole condotte in successione tra loro anche se intervallate nel tempo bastano ad integrare la fattispecie sotto il profilo materiale.

Quello che è da escludere è la totale equivalenza del concetto di reiterazione con quello di serialità atteso che né la natura di reato abituale né la definizione data da dottrina e giurisprudenza di atti persecutori valgono da soli ad escludere che due sole condotte di identica natura siano da sole bastevoli per la configurazione del reato (Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza Grillo n. 45648/2013).

Con riferimento invece ai diversi eventi dannosi consequenziali alle condotte assunte (rectius “perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”) sono emersi taluni dubbi interpretativi in ordine al “limes interno” di suddetta fattispecie di reato in seno all’estensione del suo ambito di applicazione concreta.

In particolare, se con riferimento alla conseguenza del timore per l’incolumità propria, quella di un prossimo congiunto ovvero di persona legata affettivamente non sorgono particolari problemi, posto che competerà al giudice effettuare una ponderata valutazione delle condotte idonee a rappresentare una minaccia seria e credibile di pericolo incombente per se o per altri, più complessa risulta essere la corretta definizione del concetto di alterazione dello stile di vita ovvero dell’evento di manifestazione di uno stato ansiogeno.

Entrambi gli eventi alternativi pongono una serie di questioni in ordine alla compatibilità con il principio di tassatività quale corollario del più ampio principio di legalità. Infatti “l’alterazione delle proprie scelte o abitudini di vita” pone un serio problema sotto il profilo probatorio oltre che sostanziale, atteso che il legislatore sembra non fornire alcun criterio esegetico risolutore rimettendo la valutazione della portata dell’espressione alla totale discrezionalità del giudice.

È chiaro che un’indagine su quello che costituisce il foro interiore della vittima per antonomasia non può essere esaustiva e pregnante e pertanto l’interprete, come asserisce costante giurisprudenza, nell’accertare la manifestazione in concreto di tale situazione dovrà tener conto di ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo della gestione della propria vita quotidiana quali ad esempio l’utilizzo di percorsi alternativi rispetto a quelli usuali, ovvero il distacco telefonico nelle ore notturne.

Analoghe perplessità sorgono in ordine al “perdurante e grave stato di ansia o di paura” atteso che, sul punto, sul piano dell’accertamento probatorio, nonché su quello della piena aderenza al principio di tassatività, si fronteggiano due opzioni ermeneutiche contrapposte: secondo la prima il perdurante stato d’ansia si sostanzia in un turbamento psicologico destabilizzante e si manifesta con forme patologiche caratterizzate da uno stress clinicamente grave accertato da un medico specialista; per altro indirizzo, invece, ai fini dell’accertamento del reato non è richiesto altresì l’accertamento di uno stato patologico di tipo clinico essendo sufficiente che gli atti persecutori subiti abbiano avuto un effetto destabilizzante dell’equilibrio psico-esistenziale della vittima (Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza n. 6384/2014).

Risulta essere di gran lunga più agevole l’indagine sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato in ragione del fatto che secondo dottrina e giurisprudenza conforme è sufficiente il dolo generico, essendo non richiesta dalla norma la piena coscienza e volontà di uno degli eventi alternativi, ma sarà sufficiente ai fini del reato perfetto, la sola consapevolezza da parte dell’autore di porre in essere una serie di contegni, dal carattere aggressivo, in modo duraturo, nei confronti di altro soggetto (Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, Sentenza n. 20993/2013).

Essendo al cospetto di un reato abituale, va da sé che il perfezionamento dello stesso si avrà nel momento in cui le condotte reiterate saranno idonee a configurare in concreto uno degli eventi alternativi richiesti dalla fattispecie.

Se con riferimento al locus commissi delicti non sorgono particolari dubbi atteso che lo stesso coinciderà con il luogo di manifestazione de facto dell’evento, viceversa maggiori perplessità sono nutrite in ordine al tempus commissi delicti. Sul punto si fronteggiano due diverse ricostruzioni entrambe valide in premessa: per alcuni infatti esso dovrebbe coincidere con il primo segmento della condotta integrata con ripercussioni in ordine alla retrodatazione della prescrizione; per altri invece bisognerebbe guardare all’ultimo degli atti posti in essere con conseguente differimento temporale del dies  a quo della prescrizione.

Sicuramente attraverso la lettura combinata dell’articolo 56 e 612-bis del Codice Penale sarà configurabile il tentativo sia nelle forme di tentativo compiuto che in quelle di tentativo incompiuto. Un cenno va fatto in ordine alla clausola di sussidiarietà presente nell’esordio del testo normativo specie con l’obiettivo di segnalare i confini esterni del reato di atti persecutori ed i suoi rapporti con fattispecie correlate quali l’articolo 582 del Codice Penale e l’articolo 572 del Codice Penale.

Non essendo questa la sede per affrontare in modo penetrante la questione, basti saper che in astratto è ammissibile un concorso formale tra reati di cui agli articoli 612-bis, 572 e 582 del Codice Penale per ovvie ragioni non solo di diversità sul piano dell’oggettività giuridica ma anche su quello della struttura e dell’imputabilità.

Di recente la Cassazione, tratteggiando i confini tra stalking e maltrattamenti in famiglia, ha chiarito come da un verso il contesto familiare, dall’altro la sussistenza di un regime di conflittualità perenne tra i partner, non sono ex se elementi idonei ad escludere la configurabilità del reato di atti persecutori, posto che il contesto ambientale nel quale essi trovano estrinsecazione sarà rilevante solo in ordine ad un maggiore onere motivazionale a carico dell’autorità giudiziaria procedente.

In particolare, come ha statuito la Cassazione, si richiede al giudice di vagliare in modo più puntuale ogni comportamento relazionale al fine di verificare la sussistenza della materialità del reato di cui al 612-bis del Codice Penale.

In verità la Suprema Corte si spinge oltre, ritenendo del tutto plausibile la sussistenza del reato di stalking nel caso di reciprocità di condotte moleste allorquando venga accertata in sede processuale una posizione di assoluta predominanza di uno dei due contendenti tale da riqualificare il complesso degli atti, distinguendo tra quelli di stampo vessatorio e quelli espressivi di un meccanismo difensivo.

L’antinomia che si crea tra l’articolo 612-bis e l’articolo 572 del Codice Penale emerge dal primo capoverso laddove è previsto un incremento di pena se il fatto è commesso dal coniuge anche separato o divorziato.

Sul punto il ragionamento seguito dalla giurisprudenza in un recentissimo arresto (Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza n. 6384/2014), si segnala per l’abbandono del risalente discrimen fondato sulla sussistenza o meno di una relazione di convivenza, in favore di un profilo sostanzialistico di verifica della pervicacia dell’agente.

Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli atti persecutori resteranno assorbiti nell’articolo 572 del Codice Penale nell’ipotesi di condotte vessatorie, durevoli nel tempo, in costanza di relazione familiare; viceversa sarà contestato il 612-bis, comma 2, del Codice Penale nelle ipotesi di totale interruzione del regime di convivenza e di assenza di episodi pregressi.

Il delitto di atti persecutori prevede una cornice edittale che va da sei mesi a cinque anni come modificato dall’articolo 1-bis, Decreto Legge 1 luglio 2013, n. 78.

Il testo del delitto di cui all’articolo 612-bis del Codice Penale prevede al comma secondo, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, Legge del 15 ottobre 2013, n. 119, con decorrenza dal 16 ottobre 2013, due circostanze aggravanti dalla veste del tutto innovativa.

La Legge n. 119/2013 in materia di violenza di genere è stata il risultato di tribolati tentativi in sede parlamentare di dare attuazione in modo completo alla Convenzione di Istanbul.

Quello che per antonomasia è noto come Decreto Legge “Femminicidio” in realtà si presenta, in piena sintonia con la tradizione di legislazione d’urgenza, come un calderone di interventi disorganici tanto sul diritto penale sostanziale (la novella interviene in materia di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e atti persecutori) che su quello processuale, essendo in odore di illegittimità costituzionale per contrarietà all’articolo 77 della Costituzione.

Se da una prima analisi dell’addentellato normativo non può che accogliersi di buon grado lo sforzo di adeguamento del legislatore nazionale agli altri Stati dell’Unione Europea, è del tutto evidente come non può tacersi in ordine a profili di criticità evidenti, specie con riferimento alla mancata attuazione di tutto il capo III della Convenzione in materia di misure di prevenzione nonché di informazione ed educazione culturale.

Dal nuovo testo dell’articolo 612-bis emerge almeno nelle sue aggravanti la pregevole scelta legislativa di attribuire attenzione al fenomeno della violenza relazionale in chiave moderna. Rappresenta una totale novità la repressione penale del cyberstalking attraverso la previsione di un innalzamento sanzionatorio nel caso in cui il fatto sia commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Diversamente con riferimento all’altra circostanza aggravante questa, a dir la verità, è stata rimodulata attraverso l’espunzione del “legalmente” in favore della congiunzione “anche” ed altresì mediante l’innesto del tempo presente “è o è stata”. La prima modifica manifesta la volontà legislativa di allargare le maglie dell’aggravante anche a situazioni in cui sia assente una separazione o un divorzio (rapporti di fatto), mentre la seconda segna il tramonto di una irragionevole discrasia sussistente nella prima versione tra legami ancora in essere e legami interrotti.

Con riferimento al reato di stalking la novella, in conformità con la Convenzione di Istanbul che all’articolo 34 ne fa espresso richiamo, sul piano del rito ha introdotto significative novità tanto in ambito cautelare che pre-cautelare, nonché in sede dibattimentale, in ossequio al dichiarato intento di protezione nei confronti delle vittime vulnerabili.

Nonostante il reato di cui all’articolo 612-bis continui ad essere perseguibile a querela di parte − fatte salve le ipotesi in cui il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio − la stessa, all’esito della novella, ed al pari dei reati in materia di violenza sessuale, è divenuta irretrattabile, questo nel chiaro intento di scongiurare fenomeni di cosiddetta vittimizzazione secondaria.

L’induzione alla revoca della querela, sotto la pressione altrui è pertanto inibita dalla riforma che però è stata ritenuta da taluni troppo rigida e poco attenta al caso concreto (pensiamo a ritrattazioni volontarie nell’interesse dei figli).

È stato affermato pertanto che la querela risulta essere irrevocabile solo in via stragiudiziale, ovvero nel caso di molestie e minacce gravi e reiterate, mentre nel chiaro intento di attribuire un maggiore ruolo di controllo all’autorità giudiziaria, la stessa sarà suscettibile di revoca in giudizio all’esito di un giudizio fattuale sull’opportunità della scelta effettuata.

Dubbi residuano tuttavia in ordine alle ipotesi di querela revocata dinanzi la PG tra coloro che la ritengono ammissibile e coloro che invece valorizzano il nuovo ruolo-filtro del giudice procedente.

Significative sono altresì le novità in ambito cautelare, specie con riferimento all’innalzamento dei limiti edittali del 612-bis e l’estendibilità allo stesso dell’articolo 280 e 282-bis del Codice di Procedura Penale. Tra le misure cautelari infatti si segnalano l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati con la previsione ulteriore di sistemi tecnologici di controllo (braccialetto elettronico).

Specie con riferimento all’allontanamento dalla casa familiare, il nuovo articolo 384-bis prevede un istituto pre-cautelare di completa competenza della polizia giudiziaria la quale può disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza del reato ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa.

La norma di nuovo conio ha dato voce a non poche critiche specie in relazione ad un potere talmente ampio della PG che, anche se bilanciato dalla necessaria autorizzazione del Pubblico Ministero, può essere oggetto di facili strumentalizzazioni. Dalla lettera della norma emerge altresì l’obbligatorietà di arresto in flagranza per l’autore del reato di atti persecutori, anche se la previsione appare priva di risvolti pratici, essendo fortemente improbabile, attesa la natura di reato abituale e spesso domestico, la possibilità di sussistenza degli estremi della flagranza ex articolo 380 del Codice di Procedura Penale.

Il Decreto Legge “Femminicidio” ha inoltre novellato l’articolo 299 del Codice di Procedura Penale nell’intento di garantire un maggior protagonismo per la vittima di stalking in ordine alle vicende processuali e para processuali che coinvolgono l’autore del reato. Infatti  all’articolo 299, dopo il comma 2, è inserito il comma 2-bis con il quale si garantisce la comunicazione al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, l’intervenuta revoca o sostituzione delle misure cautelari o della richiesta di revoca o di sostituzione avanzata dallo stesso imputato.

La violazione della prescrizione, peraltro, non sarà causa di nullità assoluta. Il dato più sconcertante è tuttavia rappresentato dall’assenza, a fronte di tale informativa, di ogni facoltà di interazione per la vittima di stalking con l’autorità giudiziaria essendo concessa solo la facoltà di riproposizione di querela in ordine a sussistenti e nuove condotte. Tale critica secondo la dottrina maggioritaria non coglie nel segno nel momento in cui si sottovaluta la  necessaria adozione di misure adeguate nel caso di riemersone di esigenze cautelari diverse.

L’innalzamento della cornice edittale ha comportato l’applicazione dell’udienza preliminare con tutto ciò che ne consegue in termini di accessibilità a riti alternativi al dibattimento. Le altre modifiche più significative hanno invece riguardato il dibattimento ed in particolare la formazione dei ruoli di causa con assoluta priorità rispetto agli altri reati, le modalità di conduzione dell’esame, le spese di giustizia e l’accesso al patrocinio a spese dello Stato assicurato ai soggetti vulnerabili anche in difetto dei presupposti di legge.

In particolare il novellato articolo 498 del Codice di Procedura Penale, nel nuovo comma 4-quater prevede che se la persona offesa è maggiorenne il giudice assicura che l’esame venga condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della stessa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede.

Per quello che concerne gli istituti di prevenzione la novella del 2013 ha sancito, oltre ad un’agevolazione delle procedure per il rilascio del permesso di soggiorno a vittime straniere, l’obbligo, e non più la mera facoltà, per il questore di adottare le misure in materia di armi nel caso di ammonimento orale. Nei casi in cui alle forze dell’ordine sia segnalato, (in forma non anonima), un fatto che debba ritenersi riconducibile nell’ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all’ammonimento dell’autore del fatto.

Il nuovo sistema delineato dalla riforma è, come osservato da alcuni commentatori, di tipo binario atteso che alla vittima accanto alla possibilità di accedere alla tutela ordinaria del processo penale è consentito intraprendere un precorso alternativo, meno invasivo ma sicuramente con minore propensione deterrente.

 

Il termine stalking è stato recepito dal linguaggio venatorio e letteralmente si traduce con l’espressione inseguire la preda. Tale scelta semantica da parte del legislatore penale fotografa al meglio quello che si presenta come un reato soggettivo, attesa la centralità assunta dalla percezione individuale della vittima rispetto alla molestia in senso lato subita.

 La definizione di stalking usata più frequentemente è quella di una serie di comportamenti diretti ad una specifica persona tesi ad un contatto visivo o fisico, comunicazioni, minacce verbali o scritte, o una combinazione di condotte idonee ad ingenerare uno stato ansiogeno.

Pur se il fenomeno da un profilo sociologico ha origini risalenti, prima del Decreto Legge 23 febbraio 2009, n. 11, il legislatore italiano non considerava tali condotte idonee ad integrare una fattispecie autonoma di reato atteso che, fatte salve le ipotesi di degradazione in altre tipologie di reato quali la violenza, l’ingiuria, o la minaccia, l’unica fattispecie che presentava alcuni segmenti di somiglianza era quella dell’articolo 660 del Codice Penale “molestia o disturbo alle persone”. A ben vedere si trattava e si tratta di una contravvenzione di polizia, punita con pena alternativa e di conseguenza anche suscettibile di oblazione, priva di qualsiasi efficacia deterrente rispetto ad un fenomeno che richiede una risposta ferma e completa.

La novella del 2009, pertanto, ha introdotto il nuovo reato di cui all’articolo 612-bis del Codice Penale in risposta non solo a siffatte lacune normative, ma altresì in piena sintonia con la tradizione comunitaria che già da un decennio si dimostrava attenta con una serie di risoluzioni in materia di protezione dei soggetti deboli vittime di reato.

Sul piano sistematico la disposizione dell’articolo 612-bis del Codice Penale si inserisce tra i delitti contro la persona, ovvero quei delitti teleologicamente orientati alla tutela dell’incolumità psico-fisica degli individui, manifestando il legislatore, con tale scelta, l’oggettività giuridica del reato in questione.

Al riguardo, è necessario però precisare che il reato di atti persecutori, lungi dall’essere connotato da un oggettività ristretta, si caratterizza per essere un reato plurioffensivo, atteso che da un lato risulta tutelata la libertà di autodeterminazione, non solo intesa sul piano della sfera morale o sessuale, ma più in generale come spazio di libertà di ciascun individuo di poter condurre il proprio stile di vita senza vessazioni, dall’altro la norma mira a tutelare l’incolumità della persona offesa sia da un punto di vista psicologico che fisico.

Sul piano della condotta, in considerazione del carattere necessitato di una sua reiterazione nel tempo ai fini della configurazione del reato, quest’ultimo deve essere ricondotto nell’ambito dei reati abituali cosiddetti impropri atteso che la fattispecie in esame si caratterizza per la presenza di una serie di condotte singolarmente idonee ad integrare fattispecie di reato perseguibili in via autonoma. Sempre sul piano sistematico è pertanto da escludere la natura di reato continuato per il 612-bis posto che ai sensi dell’articolo 81 del Codice Penale la continuazione piuttosto che rappresentare una fattispecie autonoma di reato si atteggia quale criterio di determinazione della pena.

Il reato di atti persecutori si presenta come reato di danno e di evento, dato quest’ultimo idoneo a tratteggiare il profilo di discontinuità con il reato contravvenzionale di cui all’articolo 660 del Codice Penale che invece assume i contorni di reato di pericolo e di mera condotta. Proprio dal punto di vista strutturale, in ordine alla necessità dell’evento quale condicio di esistenza del reato, si sono posti non pochi dubbi in ordine alla piena compatibilità del 612-bis con il principio di tassatività.

Dalla lettera della norma, “Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita” differendo al proseguo della trattazione la valutazione della portata della clausola di sussidiarietà presente nell’incipit, emerge in modo evidente come competerà all’interprete verificare l’esistenza di un nesso eziologico tra le reiterate condotte di molestia o minaccia, dati imprescindibili, e i tre possibili eventi alternativi ognuno dei quali idoneo e sufficiente ad integrare il delitto in parola.

Procedendo con ordine la prima questione che richiede una più puntuale attenzione è il significato da attribuire al concetto di reiterazione tenuto conto del fatto che alla luce della rinnovata teoria realistica del reato un principio di offensività dovrà essere comunque integrato ai fini del perfezionamento dell’articolo 612-bis.

In particolare, atteso che il reato di atti persecutori è un reato abituale, il vero nodo da sciogliere attiene alla identificazione della soglia minima di condotte da realizzare per ritenere integrato l’elemento materiale del reato. La giurisprudenza oramai granitica sul punto, afferma che il concetto di reiterazione della condotta contenuto nell’articolo 612-bis, comma 1, denota la ripetizione di una condotta per una seconda volta da ciò derivando che anche due sole condotte in successione tra loro anche se intervallate nel tempo bastano ad integrare la fattispecie sotto il profilo materiale.

Quello che è da escludere è la totale equivalenza del concetto di reiterazione con quello di serialità atteso che né la natura di reato abituale né la definizione data da dottrina e giurisprudenza di atti persecutori valgono da soli ad escludere che due sole condotte di identica natura siano da sole bastevoli per la configurazione del reato (Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza Grillo n. 45648/2013).

Con riferimento invece ai diversi eventi dannosi consequenziali alle condotte assunte (rectius “perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”) sono emersi taluni dubbi interpretativi in ordine al “limes interno” di suddetta fattispecie di reato in seno all’estensione del suo ambito di applicazione concreta.

In particolare, se con riferimento alla conseguenza del timore per l’incolumità propria, quella di un prossimo congiunto ovvero di persona legata affettivamente non sorgono particolari problemi, posto che competerà al giudice effettuare una ponderata valutazione delle condotte idonee a rappresentare una minaccia seria e credibile di pericolo incombente per se o per altri, più complessa risulta essere la corretta definizione del concetto di alterazione dello stile di vita ovvero dell’evento di manifestazione di uno stato ansiogeno.

Entrambi gli eventi alternativi pongono una serie di questioni in ordine alla compatibilità con il principio di tassatività quale corollario del più ampio principio di legalità. Infatti “l’alterazione delle proprie scelte o abitudini di vita” pone un serio problema sotto il profilo probatorio oltre che sostanziale, atteso che il legislatore sembra non fornire alcun criterio esegetico risolutore rimettendo la valutazione della portata dell’espressione alla totale discrezionalità del giudice.

È chiaro che un’indagine su quello che costituisce il foro interiore della vittima per antonomasia non può essere esaustiva e pregnante e pertanto l’interprete, come asserisce costante giurisprudenza, nell’accertare la manifestazione in concreto di tale situazione dovrà tener conto di ogni mutamento significativo e protratto per un apprezzabile lasso di tempo della gestione della propria vita quotidiana quali ad esempio l’utilizzo di percorsi alternativi rispetto a quelli usuali, ovvero il distacco telefonico nelle ore notturne.

Analoghe perplessità sorgono in ordine al “perdurante e grave stato di ansia o di paura” atteso che, sul punto, sul piano dell’accertamento probatorio, nonché su quello della piena aderenza al principio di tassatività, si fronteggiano due opzioni ermeneutiche contrapposte: secondo la prima il perdurante stato d’ansia si sostanzia in un turbamento psicologico destabilizzante e si manifesta con forme patologiche caratterizzate da uno stress clinicamente grave accertato da un medico specialista; per altro indirizzo, invece, ai fini dell’accertamento del reato non è richiesto altresì l’accertamento di uno stato patologico di tipo clinico essendo sufficiente che gli atti persecutori subiti abbiano avuto un effetto destabilizzante dell’equilibrio psico-esistenziale della vittima (Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza n. 6384/2014).

Risulta essere di gran lunga più agevole l’indagine sotto il profilo dell’elemento psicologico del reato in ragione del fatto che secondo dottrina e giurisprudenza conforme è sufficiente il dolo generico, essendo non richiesta dalla norma la piena coscienza e volontà di uno degli eventi alternativi, ma sarà sufficiente ai fini del reato perfetto, la sola consapevolezza da parte dell’autore di porre in essere una serie di contegni, dal carattere aggressivo, in modo duraturo, nei confronti di altro soggetto (Corte di Cassazione, Quinta Sezione Penale, Sentenza n. 20993/2013).

Essendo al cospetto di un reato abituale, va da sé che il perfezionamento dello stesso si avrà nel momento in cui le condotte reiterate saranno idonee a configurare in concreto uno degli eventi alternativi richiesti dalla fattispecie.

Se con riferimento al locus commissi delicti non sorgono particolari dubbi atteso che lo stesso coinciderà con il luogo di manifestazione de facto dell’evento, viceversa maggiori perplessità sono nutrite in ordine al tempus commissi delicti. Sul punto si fronteggiano due diverse ricostruzioni entrambe valide in premessa: per alcuni infatti esso dovrebbe coincidere con il primo segmento della condotta integrata con ripercussioni in ordine alla retrodatazione della prescrizione; per altri invece bisognerebbe guardare all’ultimo degli atti posti in essere con conseguente differimento temporale del dies  a quo della prescrizione.

Sicuramente attraverso la lettura combinata dell’articolo 56 e 612-bis del Codice Penale sarà configurabile il tentativo sia nelle forme di tentativo compiuto che in quelle di tentativo incompiuto. Un cenno va fatto in ordine alla clausola di sussidiarietà presente nell’esordio del testo normativo specie con l’obiettivo di segnalare i confini esterni del reato di atti persecutori ed i suoi rapporti con fattispecie correlate quali l’articolo 582 del Codice Penale e l’articolo 572 del Codice Penale.

Non essendo questa la sede per affrontare in modo penetrante la questione, basti saper che in astratto è ammissibile un concorso formale tra reati di cui agli articoli 612-bis, 572 e 582 del Codice Penale per ovvie ragioni non solo di diversità sul piano dell’oggettività giuridica ma anche su quello della struttura e dell’imputabilità.

Di recente la Cassazione, tratteggiando i confini tra stalking e maltrattamenti in famiglia, ha chiarito come da un verso il contesto familiare, dall’altro la sussistenza di un regime di conflittualità perenne tra i partner, non sono ex se elementi idonei ad escludere la configurabilità del reato di atti persecutori, posto che il contesto ambientale nel quale essi trovano estrinsecazione sarà rilevante solo in ordine ad un maggiore onere motivazionale a carico dell’autorità giudiziaria procedente.

In particolare, come ha statuito la Cassazione, si richiede al giudice di vagliare in modo più puntuale ogni comportamento relazionale al fine di verificare la sussistenza della materialità del reato di cui al 612-bis del Codice Penale.

In verità la Suprema Corte si spinge oltre, ritenendo del tutto plausibile la sussistenza del reato di stalking nel caso di reciprocità di condotte moleste allorquando venga accertata in sede processuale una posizione di assoluta predominanza di uno dei due contendenti tale da riqualificare il complesso degli atti, distinguendo tra quelli di stampo vessatorio e quelli espressivi di un meccanismo difensivo.

L’antinomia che si crea tra l’articolo 612-bis e l’articolo 572 del Codice Penale emerge dal primo capoverso laddove è previsto un incremento di pena se il fatto è commesso dal coniuge anche separato o divorziato.

Sul punto il ragionamento seguito dalla giurisprudenza in un recentissimo arresto (Corte di Cassazione, Terza Sezione Penale, Sentenza n. 6384/2014), si segnala per l’abbandono del risalente discrimen fondato sulla sussistenza o meno di una relazione di convivenza, in favore di un profilo sostanzialistico di verifica della pervicacia dell’agente.

Salvo che il fatto non costituisca più grave reato, gli atti persecutori resteranno assorbiti nell’articolo 572 del Codice Penale nell’ipotesi di condotte vessatorie, durevoli nel tempo, in costanza di relazione familiare; viceversa sarà contestato il 612-bis, comma 2, del Codice Penale nelle ipotesi di totale interruzione del regime di convivenza e di assenza di episodi pregressi.

Il delitto di atti persecutori prevede una cornice edittale che va da sei mesi a cinque anni come modificato dall’articolo 1-bis, Decreto Legge 1 luglio 2013, n. 78.

Il testo del delitto di cui all’articolo 612-bis del Codice Penale prevede al comma secondo, così come modificato dall’allegato alla legge di conversione, Legge del 15 ottobre 2013, n. 119, con decorrenza dal 16 ottobre 2013, due circostanze aggravanti dalla veste del tutto innovativa.

La Legge n. 119/2013 in materia di violenza di genere è stata il risultato di tribolati tentativi in sede parlamentare di dare attuazione in modo completo alla Convenzione di Istanbul.

Quello che per antonomasia è noto come Decreto Legge “Femminicidio” in realtà si presenta, in piena sintonia con la tradizione di legislazione d’urgenza, come un calderone di interventi disorganici tanto sul diritto penale sostanziale (la novella interviene in materia di violenza sessuale, maltrattamenti in famiglia e atti persecutori) che su quello processuale, essendo in odore di illegittimità costituzionale per contrarietà all’articolo 77 della Costituzione.

Se da una prima analisi dell’addentellato normativo non può che accogliersi di buon grado lo sforzo di adeguamento del legislatore nazionale agli altri Stati dell’Unione Europea, è del tutto evidente come non può tacersi in ordine a profili di criticità evidenti, specie con riferimento alla mancata attuazione di tutto il capo III della Convenzione in materia di misure di prevenzione nonché di informazione ed educazione culturale.

Dal nuovo testo dell’articolo 612-bis emerge almeno nelle sue aggravanti la pregevole scelta legislativa di attribuire attenzione al fenomeno della violenza relazionale in chiave moderna. Rappresenta una totale novità la repressione penale del cyberstalking attraverso la previsione di un innalzamento sanzionatorio nel caso in cui il fatto sia commesso attraverso strumenti informatici o telematici.

Diversamente con riferimento all’altra circostanza aggravante questa, a dir la verità, è stata rimodulata attraverso l’espunzione del “legalmente” in favore della congiunzione “anche” ed altresì mediante l’innesto del tempo presente “è o è stata”. La prima modifica manifesta la volontà legislativa di allargare le maglie dell’aggravante anche a situazioni in cui sia assente una separazione o un divorzio (rapporti di fatto), mentre la seconda segna il tramonto di una irragionevole discrasia sussistente nella prima versione tra legami ancora in essere e legami interrotti.

Con riferimento al reato di stalking la novella, in conformità con la Convenzione di Istanbul che all’articolo 34 ne fa espresso richiamo, sul piano del rito ha introdotto significative novità tanto in ambito cautelare che pre-cautelare, nonché in sede dibattimentale, in ossequio al dichiarato intento di protezione nei confronti delle vittime vulnerabili.

Nonostante il reato di cui all’articolo 612-bis continui ad essere perseguibile a querela di parte − fatte salve le ipotesi in cui il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della Legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio − la stessa, all’esito della novella, ed al pari dei reati in materia di violenza sessuale, è divenuta irretrattabile, questo nel chiaro intento di scongiurare fenomeni di cosiddetta vittimizzazione secondaria.

L’induzione alla revoca della querela, sotto la pressione altrui è pertanto inibita dalla riforma che però è stata ritenuta da taluni troppo rigida e poco attenta al caso concreto (pensiamo a ritrattazioni volontarie nell’interesse dei figli).

È stato affermato pertanto che la querela risulta essere irrevocabile solo in via stragiudiziale, ovvero nel caso di molestie e minacce gravi e reiterate, mentre nel chiaro intento di attribuire un maggiore ruolo di controllo all’autorità giudiziaria, la stessa sarà suscettibile di revoca in giudizio all’esito di un giudizio fattuale sull’opportunità della scelta effettuata.

Dubbi residuano tuttavia in ordine alle ipotesi di querela revocata dinanzi la PG tra coloro che la ritengono ammissibile e coloro che invece valorizzano il nuovo ruolo-filtro del giudice procedente.

Significative sono altresì le novità in ambito cautelare, specie con riferimento all’innalzamento dei limiti edittali del 612-bis e l’estendibilità allo stesso dell’articolo 280 e 282-bis del Codice di Procedura Penale. Tra le misure cautelari infatti si segnalano l’allontanamento dalla casa familiare e il divieto di avvicinarsi ai luoghi frequentati con la previsione ulteriore di sistemi tecnologici di controllo (braccialetto elettronico).

Specie con riferimento all’allontanamento dalla casa familiare, il nuovo articolo 384-bis prevede un istituto pre-cautelare di completa competenza della polizia giudiziaria la quale può disporre, previa autorizzazione del pubblico ministero, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con il divieto di avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dalla persona offesa, nei confronti di chi è colto in flagranza del reato ove sussistano fondati motivi per ritenere che le condotte criminose possano essere reiterate ponendo in grave ed attuale pericolo la vita o l’integrità fisica o psichica della persona offesa.

La norma di nuovo conio ha dato voce a non poche critiche specie in relazione ad un potere talmente ampio della PG che, anche se bilanciato dalla necessaria autorizzazione del Pubblico Ministero, può essere oggetto di facili strumentalizzazioni. Dalla lettera della norma emerge altresì l’obbligatorietà di arresto in flagranza per l’autore del reato di atti persecutori, anche se la previsione appare priva di risvolti pratici, essendo fortemente improbabile, attesa la natura di reato abituale e spesso domestico, la possibilità di sussistenza degli estremi della flagranza ex articolo 380 del Codice di Procedura Penale.

Il Decreto Legge “Femminicidio” ha inoltre novellato l’articolo 299 del Codice di Procedura Penale nell’intento di garantire un maggior protagonismo per la vittima di stalking in ordine alle vicende processuali e para processuali che coinvolgono l’autore del reato. Infatti  all’articolo 299, dopo il comma 2, è inserito il comma 2-bis con il quale si garantisce la comunicazione al difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, l’intervenuta revoca o sostituzione delle misure cautelari o della richiesta di revoca o di sostituzione avanzata dallo stesso imputato.

La violazione della prescrizione, peraltro, non sarà causa di nullità assoluta. Il dato più sconcertante è tuttavia rappresentato dall’assenza, a fronte di tale informativa, di ogni facoltà di interazione per la vittima di stalking con l’autorità giudiziaria essendo concessa solo la facoltà di riproposizione di querela in ordine a sussistenti e nuove condotte. Tale critica secondo la dottrina maggioritaria non coglie nel segno nel momento in cui si sottovaluta la  necessaria adozione di misure adeguate nel caso di riemersone di esigenze cautelari diverse.

L’innalzamento della cornice edittale ha comportato l’applicazione dell’udienza preliminare con tutto ciò che ne consegue in termini di accessibilità a riti alternativi al dibattimento. Le altre modifiche più significative hanno invece riguardato il dibattimento ed in particolare la formazione dei ruoli di causa con assoluta priorità rispetto agli altri reati, le modalità di conduzione dell’esame, le spese di giustizia e l’accesso al patrocinio a spese dello Stato assicurato ai soggetti vulnerabili anche in difetto dei presupposti di legge.

In particolare il novellato articolo 498 del Codice di Procedura Penale, nel nuovo comma 4-quater prevede che se la persona offesa è maggiorenne il giudice assicura che l’esame venga condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della stessa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede.

Per quello che concerne gli istituti di prevenzione la novella del 2013 ha sancito, oltre ad un’agevolazione delle procedure per il rilascio del permesso di soggiorno a vittime straniere, l’obbligo, e non più la mera facoltà, per il questore di adottare le misure in materia di armi nel caso di ammonimento orale. Nei casi in cui alle forze dell’ordine sia segnalato, (in forma non anonima), un fatto che debba ritenersi riconducibile nell’ambito di violenza domestica, il questore, anche in assenza di querela, può procedere, assunte le informazioni necessarie da parte degli organi investigativi e sentite le persone informate dei fatti, all’ammonimento dell’autore del fatto.

Il nuovo sistema delineato dalla riforma è, come osservato da alcuni commentatori, di tipo binario atteso che alla vittima accanto alla possibilità di accedere alla tutela ordinaria del processo penale è consentito intraprendere un precorso alternativo, meno invasivo ma sicuramente con minore propensione deterrente.