x

x

Preminenza dell’attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento ai fini dell’inquadramento dell’attività agrituristica

Preminenza dell’attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento ai fini dell’inquadramento dell’attività agrituristica
Preminenza dell’attività di coltivazione del fondo, di silvicoltura e di allevamento ai fini dell’inquadramento dell’attività agrituristica

Con il recente arresto n. 16685/2015, i Giudici di Piazza Cavour, in Sezione Lavoro, hanno ribadito il principio per cui l’inquadramento dell’attività agrituristica in quella agricola è subordinato alla condizione che l’utilizzazione della azienda sia caratterizzata da un rapporto di complementarietà rispetto alla attività di coltivazione del fondo,  di silvicoltura e di allevamento del bestiame, che devono rimanere prevalenti.

La vicenda prende le mosse dal rigetto, in secondo grado, di una opposizione proposta da un agriturismo avverso alcune cartelle esattoriali emesse dall’INPS per il pagamento di contributi ed accessori pretesi in relazione alla iscrizione dell’azienda ricorrente alla gestione speciale commercianti e non in quella degli imprenditori agricoli. La sentenza censurata, nello specifico, era basata sulle circostanze per cui il quantitativo di merce acquistata da terzi era superiore a quella prodotta dall’azienda, il lavoro svolto dalla ricorrente nell’azienda agricola era minore rispetto a quello prestato dai familiari e da terzi, il reddito dell’attività di ristorazione era maggiore di quello ricavato con il fondo e anche il tempo dedicato agli ospiti superava quello riservato alla campagna.

La Suprema Corte ha chiarito che chi fa agriturismo deve essere principalmente un imprenditore agricolo e che l’attività di ricezione e di ospitalità non può prevalere sul suo “core business”.

Tra l’altro, già in precedenti statuizioni (Cass. n. 8851/2007; Cass. n. 10905/2011) gli Ermellini avevano precisato che il riconoscimento della qualità agrituristica dell’attività di “ricezione e ospitalità” richiede la contemporanea sussistenza: 1) della qualifica di imprenditore agricolo da parte del soggetto che la esercita; 2) del rapporto di connessione e complementarietà dell’attività propriamente agricola; 3) della permanenza della principalità di quest’ultima rispetto all’altra.

Nel corpo della sentenza qui citata, poi, gli Ermellini non si esimono dal rilevare come la preminenza dell’attività agricola a cui è connessa quella agrituristica sia il leitmotiv che permea le disposizioni legislative in materia, ricordando che per attività agrituristiche si intendono esclusivamente le attività di ricezione ed ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, singoli o associati, e da loro familiari di cui all’articolo 230 bis del codice civile, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione e complementarietà rispetto alle attività principali.

Attività agrituristiche che consistono nel dare stagionalmente ospitalità anche in spazi aperti destinati al campeggio, nella somministrazione di pasti e bevande da consumare sul posto, costituiti prevalentemente da prodotti propri, anche alcolici e superalcolici, nell’organizzare degustazioni di prodotti aziendali e nell’organizzazione di attività ricreative e culturali all’interno dell’azienda (art. 2 L. 96/2006).

Nondimeno, la Suprema Corte ha specificato come la natura commerciale o agricola deve essere accertata sulla scorta di criteri generali ed uniformi, valevoli per l’intero territorio nazionale e che l’apprezzamento della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività agrituristiche e agricole va eseguito alla luce del disposto dell’articolo 2135, comma 3, del codice civile, integrato dalla disciplina di legge sull’agriturismo, che hanno fissato i principi fondamentali cui le Regioni devono uniformarsi nell’emanare le proprie normative in subiecta materia.

Per quanto ancora attiene al piano normativo, nel nostro ordinamento, ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, l’attività agrituristica è considerata attività agricola e per essere svolta necessità il rispetto di specifiche norme che ne disciplinano il collegamento con l’attività agricola stessa. In secondo luogo, la Legge-quadro n. 96/2006, rubricata “Disciplina dell’agriturismo”, è intervenuta ad indicare i principi generali che regolano lo svolgimento dell’attività agrituristica, mentre le leggi regionali ne enunciano criteri, limiti ed obblighi amministrativi.

Infine, occorre tenere conto che le Regioni, con l’entrata in vigore del nuovo articolo 117 della Costituzione, detengono per il settore dell’agriturismo (anzi, per l’agricoltura e il turismo, materie nel cui ambito è ricollegabile l’agriturismo) una competenza legislativa esclusiva. Per tale ragione, la Corte Costituzionale è intervenuta a dichiarare, con la sentenza n. 339/07, l’illegittimità di molte norme della Legge statale 96/2006. Ciononostante, viene comunque mantenuto un quadro principi  di criteri minimi comuni, mediante forme di intesa tra lo Stato e le Regioni.

Con il recente arresto n. 16685/2015, i Giudici di Piazza Cavour, in Sezione Lavoro, hanno ribadito il principio per cui l’inquadramento dell’attività agrituristica in quella agricola è subordinato alla condizione che l’utilizzazione della azienda sia caratterizzata da un rapporto di complementarietà rispetto alla attività di coltivazione del fondo,  di silvicoltura e di allevamento del bestiame, che devono rimanere prevalenti.

La vicenda prende le mosse dal rigetto, in secondo grado, di una opposizione proposta da un agriturismo avverso alcune cartelle esattoriali emesse dall’INPS per il pagamento di contributi ed accessori pretesi in relazione alla iscrizione dell’azienda ricorrente alla gestione speciale commercianti e non in quella degli imprenditori agricoli. La sentenza censurata, nello specifico, era basata sulle circostanze per cui il quantitativo di merce acquistata da terzi era superiore a quella prodotta dall’azienda, il lavoro svolto dalla ricorrente nell’azienda agricola era minore rispetto a quello prestato dai familiari e da terzi, il reddito dell’attività di ristorazione era maggiore di quello ricavato con il fondo e anche il tempo dedicato agli ospiti superava quello riservato alla campagna.

La Suprema Corte ha chiarito che chi fa agriturismo deve essere principalmente un imprenditore agricolo e che l’attività di ricezione e di ospitalità non può prevalere sul suo “core business”.

Tra l’altro, già in precedenti statuizioni (Cass. n. 8851/2007; Cass. n. 10905/2011) gli Ermellini avevano precisato che il riconoscimento della qualità agrituristica dell’attività di “ricezione e ospitalità” richiede la contemporanea sussistenza: 1) della qualifica di imprenditore agricolo da parte del soggetto che la esercita; 2) del rapporto di connessione e complementarietà dell’attività propriamente agricola; 3) della permanenza della principalità di quest’ultima rispetto all’altra.

Nel corpo della sentenza qui citata, poi, gli Ermellini non si esimono dal rilevare come la preminenza dell’attività agricola a cui è connessa quella agrituristica sia il leitmotiv che permea le disposizioni legislative in materia, ricordando che per attività agrituristiche si intendono esclusivamente le attività di ricezione ed ospitalità esercitate dagli imprenditori agricoli di cui all’articolo 2135 del codice civile, singoli o associati, e da loro familiari di cui all’articolo 230 bis del codice civile, attraverso l’utilizzazione della propria azienda in rapporto di connessione e complementarietà rispetto alle attività principali.

Attività agrituristiche che consistono nel dare stagionalmente ospitalità anche in spazi aperti destinati al campeggio, nella somministrazione di pasti e bevande da consumare sul posto, costituiti prevalentemente da prodotti propri, anche alcolici e superalcolici, nell’organizzare degustazioni di prodotti aziendali e nell’organizzazione di attività ricreative e culturali all’interno dell’azienda (art. 2 L. 96/2006).

Nondimeno, la Suprema Corte ha specificato come la natura commerciale o agricola deve essere accertata sulla scorta di criteri generali ed uniformi, valevoli per l’intero territorio nazionale e che l’apprezzamento della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività agrituristiche e agricole va eseguito alla luce del disposto dell’articolo 2135, comma 3, del codice civile, integrato dalla disciplina di legge sull’agriturismo, che hanno fissato i principi fondamentali cui le Regioni devono uniformarsi nell’emanare le proprie normative in subiecta materia.

Per quanto ancora attiene al piano normativo, nel nostro ordinamento, ai sensi dell’articolo 2135 del codice civile, l’attività agrituristica è considerata attività agricola e per essere svolta necessità il rispetto di specifiche norme che ne disciplinano il collegamento con l’attività agricola stessa. In secondo luogo, la Legge-quadro n. 96/2006, rubricata “Disciplina dell’agriturismo”, è intervenuta ad indicare i principi generali che regolano lo svolgimento dell’attività agrituristica, mentre le leggi regionali ne enunciano criteri, limiti ed obblighi amministrativi.

Infine, occorre tenere conto che le Regioni, con l’entrata in vigore del nuovo articolo 117 della Costituzione, detengono per il settore dell’agriturismo (anzi, per l’agricoltura e il turismo, materie nel cui ambito è ricollegabile l’agriturismo) una competenza legislativa esclusiva. Per tale ragione, la Corte Costituzionale è intervenuta a dichiarare, con la sentenza n. 339/07, l’illegittimità di molte norme della Legge statale 96/2006. Ciononostante, viene comunque mantenuto un quadro principi  di criteri minimi comuni, mediante forme di intesa tra lo Stato e le Regioni.