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Considerazioni sul procedimento di esdebitazione dell’imprenditore fallito

Sommario:

1. Generalità

2. Natura del procedimento

3. Proposizione del ricorso

4. Parere del curatore e del comitato dei creditori

5. Esdebitazione successiva alla chiusura del fallimento. Integrazione del contraddittorio (Corte Costituzionale 30.5.2008 n. 181)

6. Reclamo contro il decreto di esdebitazione

1. Generalità

L’esdebitazione introdotta dalla riforma del diritto fallimentare attuata col decreto legislativo 9 gennaio 2006 n. 5, aggiornato dal decreto legislativo 12 settembre 2007 n. 1699 (sul modello del discharge istituto di origine anglosassone) è un beneficio accordato all’imprenditore corretto, ma sfortunato, consistente nella liberazione dei debiti non soddisfatti nella procedura. Si permette in tal modo al soggetto di riprendere l’attività economica alleggerito dalle obbligazioni pregresse (c.d. fresh start). Il nuovo istituto riguarda gli imprenditori individuali ed i soci illimitatamente responsabili delle società personali.

L’esdebitazione è decisa dal tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori nel decreto di chiusura del fallimento oppure successivamente, su ricorso del debitore, entro un anno dalla chiusura della procedura, se sussistono i requisiti di meritevolezza indicati dall’art. 142, sempreché il fallito abbia collaborato con gli organi della procedura e siano stati pagati almeno parzialmente i debiti concorsuali. Detto decreto dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.

2. Natura del procedimento

Il procedimento di esdebitazione rientra fra quelli di tipo camerale, secondo quanto previsto negli artt. 737 e seguenti c.p.c. . Ciò risulta dal fatto che di regola si svolga assieme al procedimento di chiusura, senza dubbio di tipo camerale ex art. 119, dalla circostanza poi che il provvedimento conclusivo rivesta la forma di decreto e dal fatto che lo stesso sia soggetto a reclamo ai sensi dell’art. 26.

La competenza del tribunale in composizione collegiale è inderogabile.

3. Proposizione del ricorso

Va condivisa l’opinione che il tribunale non possa disporre d’ufficio dell’esdebitazione, essendo necessaria un’espressa richiesta del debitore (in tal senso, fra gli altri, Scarselli, La esdebitazione nella nuova legge fallimentare, Dir. fall. 2007, 31; per l’ammissibilità della dichiarazione d’ufficio v. invece Costantino, L’esdebitazione, Foro it. 2006, V, 210). Vale nel caso di specie il principio generale della domanda di parte, per il quale un provvedimento giurisdizionale può essere pronunciato solo su istanza del soggetto nella cui sfera giuridica è destinato a produrre i suoi effetti (artt. 99 c.p.c. e 2907 comma 1 c.c.). Non si capirebbe diversamente la ragione per la quale il tribunale dovrebbe concedere il beneficio di sua iniziativa, in mancanza di un esplicito interesse manifestato in tal senso dal fallito.

Legittimati alla presentazione dell’istanza sono anche gli eredi del fallito, visto che l’esdebitazione riguarda diritti patrimoniali trasmissibili mortis causa.

Il termine annuale, stabilito per un’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, va considerato perentorio, anche se non è ribadito in modo esplicito dall’art. 143 e nonostante la lettera dell’art. 152 comma 2 del c.p.c. (cfr. Paluchowsky, L esdebitazione del fallito e dei soci illimitatamente responsabili, in Pajardi – Paluchowsky, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 734 )

4. Parere del curatore e del comitato dei creditori

Il decreto di chiusura del fallimento dovrà riportare una relazione dettagliata del curatore corredata del parere del comitato dei creditori circa la sussistenza dei requisiti indicati dall’art. 142 ed in merito al comportamento collaborativo o meno del fallito nel corso della procedura. L’audizione del curatore e del comitato risponde ad esigenze istruttorie al fine di completare il materiale informativo su cui basare la decisione e non è finalizzata all’instaurazione del contraddittorio.

Quando il ricorso è proposto dopo la chiusura del fallimento va parimenti acquisito il parere dell’ex curatore e del cessato comitato dei creditori. Trattasi di una ipotesi eccezionale di ultrattività degli organi fallimentari, i quali, a norma dell’art. 120, decadono con la chiusura del fallimento. Nell’impossibilità di ottenere il suddetto parere dagli organi disciolti, il tribunale potrà sopperire con una indagine d’ufficio attraverso anche la consultazione del fascicolo fallimentare, non potendosi negare al debitore l’esdebitazione se si verificano le condizioni indicate dalla legge per la concessione del beneficio.

5. Esdebitazione successiva alla chiusura del fallimento. Integrazione del contraddittorio (Corte Costituzionale 30.5.2008 n. 181)

La Corte Costituzionale, con sentenza del 30 maggio 2008 n. 181, ha dichiarato incostituzionale l’art. 143 l. fall. limitatamente alla parte in cui esso, nel caso di procedimento di esdebitazione ad istanza del debitore nell’anno successivo al decreto di chiusura, non prevede la notificazione ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della esdebitazione, nonché del decreto col quale il giudice fissa l’udienza in camera di consiglio. Non prevedendo uno strumento idoneo di informazione dei creditori concorsuali in merito all’instaurazione di un procedimento, che in caso di accoglimento dell’istanza, produce effetti nella loro sfera giuridica, la legge viola il diritto alla difesa costituzionalmente garantito.

La Corte aveva già in più occasioni ribadito il principio per il quale i procedimenti che hanno natura giurisdizionale, come quello dell’esdebitazione, sono costituzionalmente legittimi a condizione del rispetto delle garanzie minime del contraddittorio (nell’ipotesi specifica verso i creditori insoddisfatti), tutelando il diritto delle parti di partecipazione al procedimento.

Non è comunque necessaria la partecipazione effettiva dei creditori al procedimento, bastando, per il rispetto dell’art. 24 della Costituzione, che sia concessa la facoltà di intervento degli stessi.

Il ricorso introduttivo ed il decreto di fissazione dell’udienza vanno notificati a cura del ricorrente ai controinteressati in base a quanto disposto dagli artt. 137 e ss. c.p.c.. Se sussistono i requisiti ci si potrà avvalere anche della notificazione per pubblici proclami ex art. 150 c.p.c., strumento assai utile nei maxifallimenti, nei quali la notificazione nelle forme ordinarie diventa difficile ed onerosa per il gran numero di destinatari (Vedi Sacchettini, Solo con adeguate informazioni resta tutelato il diritto alla difesa, Guida al diritto 2008 n. 26, 62).

6. Reclamo contro il decreto di esdebitazione

Il decreto di esdebitazione (che va succintamente, ma chiaramente motivato – Paluchowsky, cit., 735) sia contestuale al provvedimento di chiusura, sia reso successivamente, è impugnabile con reclamo davanti alla corte di appello ex art. 26. Il medesimo rimedio è pure disposto per il decreto di chiusura del fallimento (art. 119, terzo comma). Il reclamo è l’unico rimedio esperibile, sia che il tribunale accolga, sia che rigetti la domanda di esdebitazione.

La corte di appello si pronuncia sul reclamo, confermando o revocando il decreto. La sua decisione è ricorribile per cassazione.

La legittimazione spetta al debitore, ai creditori non integralmente soddisfatti, al pubblico ministero e a qualunque interessato. Fra i creditori non soddisfatti rientrano anche quelli esclusi e quelli che non hanno fatto domanda di ammissione al passivo. In “qualunque altro interessato” dovrebbero essere inclusi il curatore ed il comitato dei creditori (Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio, sub art. 143, Bologna, 2007, 2112). Così andrebbero compresi anche gli obbligati in via di regresso (Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2007, 854), che per effetto dell’esdebitazione rimangono obbligati per intero, non potendo però agire verso l’ex fallito.

Il reclamo va proposto nel termine perentorio di dieci giorni. Deve ritenersi che per il fallito, il curatore, il comitato dei creditori il termine decorra dalla comunicazione o notificazione del provvedimento, riguardo agli altri interessati dall’esecuzione delle formalità pubblicitarie disposte dal giudice delegato (art. 26, terzo comma).

Il reclamo, in quanto mezzo di impugnazione, va necessariamente sottoscritto da un avvocato munito di procura speciale ex art. 83 c.p.c. (Scarselli, cit., 38).

Sommario:

1. Generalità

2. Natura del procedimento

3. Proposizione del ricorso

4. Parere del curatore e del comitato dei creditori

5. Esdebitazione successiva alla chiusura del fallimento. Integrazione del contraddittorio (Corte Costituzionale 30.5.2008 n. 181)

6. Reclamo contro il decreto di esdebitazione

1. Generalità

L’esdebitazione introdotta dalla riforma del diritto fallimentare attuata col decreto legislativo 9 gennaio 2006 n. 5, aggiornato dal decreto legislativo 12 settembre 2007 n. 1699 (sul modello del discharge istituto di origine anglosassone) è un beneficio accordato all’imprenditore corretto, ma sfortunato, consistente nella liberazione dei debiti non soddisfatti nella procedura. Si permette in tal modo al soggetto di riprendere l’attività economica alleggerito dalle obbligazioni pregresse (c.d. fresh start). Il nuovo istituto riguarda gli imprenditori individuali ed i soci illimitatamente responsabili delle società personali.

L’esdebitazione è decisa dal tribunale, sentito il curatore ed il comitato dei creditori nel decreto di chiusura del fallimento oppure successivamente, su ricorso del debitore, entro un anno dalla chiusura della procedura, se sussistono i requisiti di meritevolezza indicati dall’art. 142, sempreché il fallito abbia collaborato con gli organi della procedura e siano stati pagati almeno parzialmente i debiti concorsuali. Detto decreto dichiara inesigibili nei confronti del debitore già dichiarato fallito i debiti concorsuali non soddisfatti integralmente.

2. Natura del procedimento

Il procedimento di esdebitazione rientra fra quelli di tipo camerale, secondo quanto previsto negli artt. 737 e seguenti c.p.c. . Ciò risulta dal fatto che di regola si svolga assieme al procedimento di chiusura, senza dubbio di tipo camerale ex art. 119, dalla circostanza poi che il provvedimento conclusivo rivesta la forma di decreto e dal fatto che lo stesso sia soggetto a reclamo ai sensi dell’art. 26.

La competenza del tribunale in composizione collegiale è inderogabile.

3. Proposizione del ricorso

Va condivisa l’opinione che il tribunale non possa disporre d’ufficio dell’esdebitazione, essendo necessaria un’espressa richiesta del debitore (in tal senso, fra gli altri, Scarselli, La esdebitazione nella nuova legge fallimentare, Dir. fall. 2007, 31; per l’ammissibilità della dichiarazione d’ufficio v. invece Costantino, L’esdebitazione, Foro it. 2006, V, 210). Vale nel caso di specie il principio generale della domanda di parte, per il quale un provvedimento giurisdizionale può essere pronunciato solo su istanza del soggetto nella cui sfera giuridica è destinato a produrre i suoi effetti (artt. 99 c.p.c. e 2907 comma 1 c.c.). Non si capirebbe diversamente la ragione per la quale il tribunale dovrebbe concedere il beneficio di sua iniziativa, in mancanza di un esplicito interesse manifestato in tal senso dal fallito.

Legittimati alla presentazione dell’istanza sono anche gli eredi del fallito, visto che l’esdebitazione riguarda diritti patrimoniali trasmissibili mortis causa.

Il termine annuale, stabilito per un’esigenza di certezza dei rapporti giuridici, va considerato perentorio, anche se non è ribadito in modo esplicito dall’art. 143 e nonostante la lettera dell’art. 152 comma 2 del c.p.c. (cfr. Paluchowsky, L esdebitazione del fallito e dei soci illimitatamente responsabili, in Pajardi – Paluchowsky, Manuale di diritto fallimentare, Milano, 2008, 734 )

4. Parere del curatore e del comitato dei creditori

Il decreto di chiusura del fallimento dovrà riportare una relazione dettagliata del curatore corredata del parere del comitato dei creditori circa la sussistenza dei requisiti indicati dall’art. 142 ed in merito al comportamento collaborativo o meno del fallito nel corso della procedura. L’audizione del curatore e del comitato risponde ad esigenze istruttorie al fine di completare il materiale informativo su cui basare la decisione e non è finalizzata all’instaurazione del contraddittorio.

Quando il ricorso è proposto dopo la chiusura del fallimento va parimenti acquisito il parere dell’ex curatore e del cessato comitato dei creditori. Trattasi di una ipotesi eccezionale di ultrattività degli organi fallimentari, i quali, a norma dell’art. 120, decadono con la chiusura del fallimento. Nell’impossibilità di ottenere il suddetto parere dagli organi disciolti, il tribunale potrà sopperire con una indagine d’ufficio attraverso anche la consultazione del fascicolo fallimentare, non potendosi negare al debitore l’esdebitazione se si verificano le condizioni indicate dalla legge per la concessione del beneficio.

5. Esdebitazione successiva alla chiusura del fallimento. Integrazione del contraddittorio (Corte Costituzionale 30.5.2008 n. 181)

La Corte Costituzionale, con sentenza del 30 maggio 2008 n. 181, ha dichiarato incostituzionale l’art. 143 l. fall. limitatamente alla parte in cui esso, nel caso di procedimento di esdebitazione ad istanza del debitore nell’anno successivo al decreto di chiusura, non prevede la notificazione ai creditori concorrenti non integralmente soddisfatti del ricorso col quale il debitore chiede di essere ammesso al beneficio della esdebitazione, nonché del decreto col quale il giudice fissa l’udienza in camera di consiglio. Non prevedendo uno strumento idoneo di informazione dei creditori concorsuali in merito all’instaurazione di un procedimento, che in caso di accoglimento dell’istanza, produce effetti nella loro sfera giuridica, la legge viola il diritto alla difesa costituzionalmente garantito.

La Corte aveva già in più occasioni ribadito il principio per il quale i procedimenti che hanno natura giurisdizionale, come quello dell’esdebitazione, sono costituzionalmente legittimi a condizione del rispetto delle garanzie minime del contraddittorio (nell’ipotesi specifica verso i creditori insoddisfatti), tutelando il diritto delle parti di partecipazione al procedimento.

Non è comunque necessaria la partecipazione effettiva dei creditori al procedimento, bastando, per il rispetto dell’art. 24 della Costituzione, che sia concessa la facoltà di intervento degli stessi.

Il ricorso introduttivo ed il decreto di fissazione dell’udienza vanno notificati a cura del ricorrente ai controinteressati in base a quanto disposto dagli artt. 137 e ss. c.p.c.. Se sussistono i requisiti ci si potrà avvalere anche della notificazione per pubblici proclami ex art. 150 c.p.c., strumento assai utile nei maxifallimenti, nei quali la notificazione nelle forme ordinarie diventa difficile ed onerosa per il gran numero di destinatari (Vedi Sacchettini, Solo con adeguate informazioni resta tutelato il diritto alla difesa, Guida al diritto 2008 n. 26, 62).

6. Reclamo contro il decreto di esdebitazione

Il decreto di esdebitazione (che va succintamente, ma chiaramente motivato – Paluchowsky, cit., 735) sia contestuale al provvedimento di chiusura, sia reso successivamente, è impugnabile con reclamo davanti alla corte di appello ex art. 26. Il medesimo rimedio è pure disposto per il decreto di chiusura del fallimento (art. 119, terzo comma). Il reclamo è l’unico rimedio esperibile, sia che il tribunale accolga, sia che rigetti la domanda di esdebitazione.

La corte di appello si pronuncia sul reclamo, confermando o revocando il decreto. La sua decisione è ricorribile per cassazione.

La legittimazione spetta al debitore, ai creditori non integralmente soddisfatti, al pubblico ministero e a qualunque interessato. Fra i creditori non soddisfatti rientrano anche quelli esclusi e quelli che non hanno fatto domanda di ammissione al passivo. In “qualunque altro interessato” dovrebbero essere inclusi il curatore ed il comitato dei creditori (Panzani, Il nuovo diritto fallimentare, Commentario diretto da Jorio, sub art. 143, Bologna, 2007, 2112). Così andrebbero compresi anche gli obbligati in via di regresso (Lo Cascio, Il fallimento e le altre procedure concorsuali, Milano, 2007, 854), che per effetto dell’esdebitazione rimangono obbligati per intero, non potendo però agire verso l’ex fallito.

Il reclamo va proposto nel termine perentorio di dieci giorni. Deve ritenersi che per il fallito, il curatore, il comitato dei creditori il termine decorra dalla comunicazione o notificazione del provvedimento, riguardo agli altri interessati dall’esecuzione delle formalità pubblicitarie disposte dal giudice delegato (art. 26, terzo comma).

Il reclamo, in quanto mezzo di impugnazione, va necessariamente sottoscritto da un avvocato munito di procura speciale ex art. 83 c.p.c. (Scarselli, cit., 38).