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Cessazione della convivenza di fatto e corresponsione degli alimenti al convivente in stato di bisogno. Brevi note

Cessazione della convivenza di fatto e corresponsione degli alimenti al convivente in stato di bisogno. Brevi note
Cessazione della convivenza di fatto e corresponsione degli alimenti al convivente in stato di bisogno. Brevi note

Sommario:

1. Diritto dell’ex convivente agli alimenti. Generalità

2. Ammontare dell’assegno alimentare

3. Ordine degli obbligati al mantenimento

4. Ambito di applicazione

5. Proposizione della domanda di alimenti. Giudice competente

6. Aspetti fiscali

 

1. Diritto dell’ex convivente agli alimenti. Generalità

La legge 2016, n. 76, nota come legge Cirinnà (costituita da un solo articolo e 69 commi), prevede, fra le sue novità, il riconoscimento, all’articolo 1, comma 65, del diritto del convivente, che versa in stato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento, di ricevere dall’altro, in caso di cessazione della convivenza, un assegno alimentare a suo favore.

Trattasi di un diritto irrinunciabile che trova fondamento nella solidarietà familiare, inderogabile anche da parte dell’eventuale contratto di convivenza, vista la sua natura di soccorso indispensabile per l’ex partner che versa in stato di indigenza, col quale si è percorso un tratto significativo dell’esistenza (vedi L. Lenti, Convivenze di fatto. Gli effetti: diritti e doveri, in Famiglia e diritto, 2016, 931).

L’assegno va corrisposto per un periodo limitato, proporzionale alla durata della convivenza.  L’obbligo di versamento durerà quindi tanto più a lungo quanto più la stessa si è protratta nel tempo.

L’obbligo del convivente ha dunque un termine finale, fissato dal giudice nel momento in cui viene disposto. In questa caratteristica si distingue dagli altri obblighi alimentari previsti dal codice civile, per i quali non è prevista una data di scadenza, essendo gli stessi condizionati da altri fatti che possono incidere sull’entità e sulla durata dell’assegno (mutamento delle condizioni patrimoniali, cessazione dello stato di bisogno, condotta riprovevole o disordinata dell’alimentando, perimento del bene oggetto di donazione).

La norma di cui si tratta è frutto di un equilibrato compromesso fra coloro che volevano il riconoscimento di un vero e proprio assegno di mantenimento, alla stregua di ciò che si verifica in conseguenza della rottura del matrimonio (come peraltro previsto nell’originario disegno di legge), e chi era contrario ad ogni riconoscimento economico, considerando la convivenza una scelta di autonomia e di libertà, incompatibile con l’insorgenza automatica dell’obbligo alimentare.

2. Ammontare dell’assegno alimentare

L’ammontare dell’assegno alimentare è stabilito nell’importo e nel tempo di erogazione in ragione della durata della relazione e viene determinato secondo i criteri dell’articolo 438, comma 2 del codice civile.

Tiene quindi conto della situazione di bisogno del ricevente, avuto riguardo alla sua posizione sociale, e della condizione economica di chi è tenuto alla somministrazione. L’ammontare non potrà comunque mai eccedere quanto è necessario per la vita dell’avente diritto.

Per orientamento consolidato della giurisprudenza, formatasi sull’articolo 438 codice civile, lo “stato di bisogno”, a cui si fa riferimento, è caratterizzato per l’alimentando dall’impossibilità di provvedere al soddisfacimento delle necessità primarie, quali il vitto, l’abitazione, il vestiario, le cure sanitarie, in relazione alle sue effettive condizioni, tenendo conto di tutte le risorse economiche di cui può disporre (fra le altre, Cassazione civile 8 novembre 2013 n.25248).

 

3. Ordine degli obbligati al mantenimento

Al fine della determinazione dell’ordine degli obbligati di cui all’articolo 433 codice civile, l’obbligo del convivente è adempiuto con precedenza su fratelli e sorelle, rimanendo comunque posposto a quello di discendenti e ascendenti ed eventualmente a quello dell’ex coniuge in caso di annullamento del matrimonio (articolo 129 bis c.c.).

 

4. Ambito di applicazione

Ci si è posti il problema dell’applicabilità della norma ai casi di convivenza cessati prima del 5 giugno del 2016, data di entrata in vigore della legge 76.

Sul punto si è espresso in senso restrittivo il Tribunale di Milano con decreto del 23 gennaio 2017 (in www.quotidianogiuridico.it), affermando la non retroattività della norma. Conseguentemente il diritto agli alimenti riguarderebbe i rapporti cessati a partire dalla data suddetta.

Al fine del riconoscimento del diritto è da ritenersi irrilevante l’eventuale iscrizione della convivenza di fatto in pubblici registri.

La disposizione si applica quindi a tutte le coppie, sia etero che omosessuali, unite da un legame affettivo che abbiano deciso di vivere stabilmente nella stessa abitazione.

La dottrina prevalente ritiene infatti che l’esistenza della famiglia di fatto, in quanto tale, prescinda dalla annotazione o iscrizione in pubblici registri. La dichiarazione anagrafica di cui al comma 37 della legge 76 e lo stato di famiglia assumerebbero al riguardo valore probatorio, ma non sono indispensabili per il suo riconoscimento.

La collocazione della disposizione de quo dopo la regolamentazione del contratto di convivenza (commi dal 50 al 64) è significativa poi e non pone dubbio sul fatto che il diritto agli alimenti sussista in ogni caso, a prescindere dall’esistenza o meno di un contratto di convivenza tra le parti.

 

5. Proposizione della domanda di alimenti. Giudice competente

La competenza sulla domanda di alimenti dell’ex convivente spetta al giudice monocratico, anche in presenza di figli, non al tribunale collegiale, come invece si verifica per le coppie sposate.

Costituisce onere del richiedente, al fine di ottenere il riconoscimento della sua pretesa, sia la dimostrazione dello stato di indigenza e l’incapacità di farvi fronte, sia il rapporto di convivenza.

È opinione che la domanda di alimenti non possa essere proposta nel giudizio fra ex conviventi relativo all’affidamento, al collocamento ed al mantenimento dei minori, come ha stabilito il Tribunale di Milano nel citato decreto del 29 gennaio 2017. Si è infatti osservato che, se da un lato, per esigenze di economia processuale, può essere opportuna la riunione in un unico procedimento di tutte le domande conseguenti alla separazione della coppia genitoriale, dall’altro il consentire l’ingresso della domanda alimentare del convivente presenterebbe come inconveniente il rallentamento del procedimento giudiziale per l’affidamento ed il mantenimento dei figli nati dalla coppia di fatto.

 

6. Aspetti fiscali

Differentemente a quanto si verifica per il matrimonio e l’unione civile, l’assegno corrisposto al convivente non è deducibile ai fini fiscali (articolo 10 del Tuir).

Specularmente, detto assegno non è soggetto a tassazione per chi lo riceve (articolo 50 del Tuir), non costituendo reddito assimilato a quello di lavoro dipendente, dato che lo stesso, garantendo la sussistenza di chi lo percepisce, non va considerato espressione di capacità contributiva.