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Dal concubinato alla famiglia di fatto

Un travagliato percorso costituzionale e normativo
famiglia di fatto
famiglia di fatto

Sul piano costituzionale, la collocazione delle unioni non formalizzate rappresenta ancora oggi un cruccio. Come ben noto, la Costituzione Italiana riconosce e tutela espressamente un unico modello familiare, limitandosi a garantire la dovuta tutela ai figli naturali.

Tuttavia, gli ostacoli che derivano dal riconoscimento costituzionale della famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio” non devono essere interpretati come indice di un atteggiamento di assoluta contrarietà verso le unioni non formalizzate. Nell’impossibilità di estendere l’art. 29 Cost. alle suddette unioni, è tempestivo il riferimento all’art. 2 Cost., che riconosce e garantisce le formazioni sociali, ove si svolge la personalità dell’individuo.

Secondo una parte autorevole della dottrina, si tratta “di una tutela e di una diversa ottica: la Costituzione, infatti, prevede una collisione tra famiglia di fatto e famiglia legittima e, in tale caso, privilegia la legittima (…). Ma la tutela generale delle formazioni sociali non può essere certo negata, al di fuori di questo, alla famiglia di fatto[1]. Sulla stessa lunghezza d’onda, la Corte costituzionale ha ammesso che la clausola generale di riconoscimento dei diritti della famiglia come società naturale fondata sul matrimonio “non giustifica una concezione della famiglia nemica delle persone e dei loro diritti”, in quanto dalla disposizione dell’art. 2 Cost., “conformemente a quello che è stato definito il principio personalistico che esso proclama, risulta che il valore delle formazioni sociali, tra le quali eminente la famiglia, è nel fine a esse assegnato, di permettere e anzi promuovere lo svolgimento della personalità degli esseri umani[2]. 

È interessante constatare come una corrente di pensiero ritenga possibile la costruzione di uno “statuto minimo” di tali unioni: queste ultime non costituiscono una formazione secondaria, svolgendo le stesse funzioni (meritevoli di tutela costituzionale) assolte dalla famiglia legittima[3].

Per “statuto minimo” deve intendersi un essenziale impianto di tutela cui sottoporre le unioni non formalizzate: una necessità scaturente dall’avversità palesata in Assemblea Costituente nei confronti dei legami non formalizzati, imputabile al rigido contesto storico e culturale della prima metà del Novecento. 

È opportuno segnalare come la crescente affermazione di tali unioni emerga anche sotto il profilo etimologico. Come ben osservato in dottrina[4], l’approdo al termine “famiglia di fatto” è l’esito finale di una travagliata storia sociale, suddivisibile in tre fasi. Nella prima, si parlava di “concubinato”, fenomeno ritenuto non solo immorale ma anche penalmente rilevante, dal momento che lo stesso costituiva reato, o meglio causa di separazione per colpa[5]. Nella cultura giuridica romana, il termine “concubinatus” alludeva all’unione di un uomo e una donna, improntata da stabilità e dalla volontà di non ritenersi legati come marito e moglie. In età classica, esso si sostituiva al matrimonio; i figli concepiti da tale unione erano denominati vulgo concepti, ossia figli frutto di un’unione extramatrimoniale e allevati soltanto dalla figura materna. In seguito, gli stessi vennero considerati come liberi naturales, e soltanto in caso di riconoscimento da parte del padre acquisivano lo status di figli legittimi.

Nella seconda fase si è iniziato a parlare di “convivenza more uxorio, con il conferimento di un minimo riconoscimento giuridico ai diritti dei conviventi. L’espressione sopracitata, che esaltava la stabilità e l’intensità di un legame (c.d. affectio maritatis) faceva apparire tale unione una variante, pur non regolamentata e legittimata, della famiglia legittima[6]. Inizia a radicarsi un atteggiamento di tolleranza o neutralità manifestato proprio con la predetta espressione. Il ricorso all’espressione sopramenzionata rivela non soltanto il mutamento di atteggiamento rispetto alle relazioni fuori dal matrimonio, ma segnala anche che la sua qualificazione inizia ad essere connessa all’unione costituita con il matrimonio[7].

La terza fase, collegata alla riforma del diritto di famiglia del 1975, vede la sostituzione dell’espressione “convivenza more uxorio” con quella di “famiglia di fatto: in dottrina, si sostiene che parlare di “famiglia”, relativamente alle unioni non formalizzate, significa riconoscere che esse possono essere portatrici dei valori di solidarietà, arricchimento e sviluppo della personalità dei membri ed educazione della prole, reputati esclusivi della famiglia legittima[8].  

Si tratta di passi importanti, ma ancora insufficienti.

 

[1] Così, P. BARILE, La famiglia di fatto. Osservazioni di un costituzionalista, in La famiglia di fatto. Atti del Convegno nazionale di Pontremoli (27-30 maggio 1976), Montereggio-Parma, 1977, cit., p. 45.

[2] Corte cost., 28 novembre 2002, n. 494. Con tale pronuncia, il Giudice delle Leggi ha dichiarato incostituzionale l’art. 278, comma 1, c.c., in ordine alle preclusioni di cui all’art. 251, comma 1, c.c. Sulla decisione, si veda M. SESTA, La condizione dei figli incestuosi tra principi costituzionali e discrezionalità del legislatore, in Familia, 2002, p. 1130; V. CARBONE, È costituzionalmente legittimo il divieto di riconoscere il figlio incestuoso, in Fam. dir., 2002, p. 473; G. FERRANDO, La condizione dei figli incestuosi. La Corte costituzionale compie il primo passo, in Familia, 2003, p. 848; M. DOGLIOTTI, La Corte costituzionale interviene a metà sulla filiazione incestuosa, in Familia, 2003, 119.

[3] S. ASPREA, La famiglia di fatto, Giuffrè, Milano, 2009, 20-21.

[4] A. G. ANNUNZIATA, R. F. IANNONE, Dal concubinato alla famiglia di fatto: evoluzione del fenomeno, in Famiglia, Persone e Successioni, n. 2, 2010, 5.

[5] Ai sensi dell’art. 560 c.p.: “Il marito, che tiene una concubina nella casa coniugale, o notoriamente altrove, è punito con la reclusione fino a due anni. La concubina è punita con la stessa pena. Il delitto è punibile a querela della moglie”. Il predetto articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con sent. 3 dicembre 1969, n. 147.

[6] S. ASPREA, La famiglia di fatto, op. cit., p. 8.

[7] F. CAGGIA, La convivenza, in S. PATTI, M. G. CUBEDDU, Diritto della famiglia, Giuffrè, Milano, 2011, 687.

[8] B. DE FILIPPIS, Il diritto di famiglia, Cedam, Padova, 2011, 352.