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Attenzione a dire falso!

Tutti i casi in cui la critica tra esperti diventa diffamazione
falso e diffamazione
falso e diffamazione

Barney Panofsky era stato assolto per insufficienza di prove dall’accusa di omicidio del vecchio amico Bernard Moscovitch, detto Boogie. La volontà di discolparsi da questa accusa, a suo dire infondata, era stata l’occasione per Barney[1], di ripercorrere e raccontare la storia della sua vita.

Della sua celebre “Versione” oggi, però, ci vengono in mente gli strali lanciati, dal divano di casa, alla sua prima e poco amata moglie Clara, morta suicida, poco dopo. “Una volta William Blake scrisse una lettera a un tale che gli aveva commissionato quattro acquerelli, salvo poi trovarli tutt’altro che di suo gusto. Ciò che è grande, ai mediocri appare oscuro”.

Oggi nel tempo degli haters sui social network proviamo quasi nostalgia per quelle frasi piccate e fanées proferite del cinico Barney contro chi aveva solo osato interrompere criticare le sue letture, ma il confine tra il diritto di critica e la diffamazione, punita dall’art. 595 c.p., non è fortunatamente ancora mutato, e nonostante “il valore, o il disvalore, di una definizione, in sé considerata, muta a seconda dei luoghi e dei tempi”[2].

L’art. 21 della Costituzione prevede che “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione”, con piena libertà, quindi, di cronaca e di critica.

Benché divergenze di opinioni in merito al vero e al falso siano praticamente all’ordine del giorno, e “gli storici dell’arte siano inclini all’aggressione reciproca[3], come ha rammentato di recente Franco Fanelli sul Giornale dell’arte, anche quest’ambito, ogni espressione sull’opinione altrui può godere della scriminante del diritto di critica di cui all’art. 51 c.p. solo quando è aderente alla realtà fattuale, continente.

Bollare un quadro come “falso” prima che in punto sia stato emesso un provvedimento giudiziario che ne accerti la contraffazione equivale ad attribuire a taluno “la responsabilità di avere commesso un grave reato, esponendo la sua memoria al biasimo della collettività e ledendo gravemente la reputazione del soggetto cui il falso è attribuito” (Cass. Pen. Sez V, 27 luglio 2016 n. 32787).

Più in generale “non è scriminato dal diritto di critica il reato di diffamazione commesso dal giornalista che, utilizzando insinuazioni generiche, attribuisce alla persona offesa la commissione di fatti illeciti non meglio specificati e privi di qualsiasi riferimento determinato, in maniera idonea ad ingenerare nel lettore medio la convinzione che il soggetto diffamato si sia reso autore di una qualsiasi condotta connotata da illiceità” (Cass. Pen. Sez. V 19 novembre 2015, n. 4298).

A questo proposito rammentiamo il caso in cui critico d’arte Vittorio Sgarbi fu condannato per diffamazione aggravata in danno di Stefania Ariosto da lui definita in un articolo di stampa “falsaria” e “inattendibile” in riferimento a una testa di Epicuro del I° secolo, a suo parere non autentica. (Tribunale di Milano - VII sezione penale n. 3345/96 RGNR - n. 2396/97 RGGIP del 24 settembre 2001 confermata dalla Corte d’Appello di Milano 27 maggio 2002.

Le cronache[4], inoltre, riportano di una sentenza di condanna sempre in danno del critico ferrarese per diffamazione aggravata per aver “accusato di incompetenza, di plagio e di circonvenzione di incapace” l’avvocato Italo Tomassoni, relativamente alle vicende degli Archivi e dell’opera del pittore Gino De Dominicis[5] e di una sua ulteriore condanna per i reati di ingiuria e diffamazione (Trib. Milano, 6 luglio 2017), confermata in appello il 20 maggio 2019, nei confronti del critico Sebastiano Grasso per aver definito la pagina da lui curata sul Corriere della Sera “una riserva di favori e dispetti”, frase ritenuta evocativa di una condotta clientelare nonché per l’averlo definito un “pappataci”, ossia un soggetto che per il quieto vivere e per tornaconto tollera situazioni umilianti.

“Per comune sentire, la qualifica di ladro, falsario e patrocinatore infedele (ma anche una sola di esse) svilisce la reputazione del soggetto nell’ambiente sociale e professionale di appartenenza” (Cass. pen., Sez. V, Sent., 23/02/2016, n. 7085).

In giurisprudenza è stato evidenziato, inoltre, che “chi abbia ricevuto un incarico di catalogazione della produzione pittorica di un autore non può pretendersi legittimato a certificare l’autenticità di questa produzione; ed anzi pone in essere un comportamento diffamatorio e risponde del danno morale qualora pubblicamente dichiari di non riconoscere expertise di autenticità di terzi, con ciò ingenerando il sospetto di falsità delle opere da lui non catalogate e autenticate (Trib. Milano, Sezione IP, 13 dicembre 2004, Aida 2005, 1053/05).

Già Sandulli, nella sua opera Arte Delittuosa, aveva ben chiarito che “lo storico deve essere fedele ed esatto nell’esposizione e non deve travisare la verità o mentire. Se invece per fine privato, tradisce la verità od ingiuria o altera documenti per porre in cattiva luce un episodio o un fatto storico, è evidente che si responsabile della diffamazione[6].

Nella giurisprudenza straniera val la pena di riportare il caso di Hahn con Duveen[7],in cui il noto antiquario e mercante venne condannato al risarcimento del danno per diffamazione, per aver falsamente e maliziosamente dichiarato a un giornalista del New York World che il quadro non era un autentico Leonardo da Vinci e che qualsiasi esperto che lo avesse dichiarato autentico non era un esperto. Rilevante è stato ritenuto il fatto che Duveen non avesse mai visto La Belle Ferroniere di proprietà della signora Hahn.

Nel dubbio, per non sbagliare, come faceva anche Barney, si possono sempre prendere in prestito le frasi celebri altrui, come quella di Truman Capote con cui aveva recensito On the road di Kerouac[8], che per inciso, senza una migliore fortuna era anche un pittore.

 

 

[1] M. Richler, La versione di Barney, Adelphi, 2000.

[2] O. Forlenza, L’assenza di frasi gratuitamente offensive fa scattare la scriminante del diritto di critica, in Guida al Diritto, 2001, 37, p. 64.

[3] F. Fanelli, Voli, trasvolate e scivoloni del pipistrello biondo Sgarbi, in Il Giornale dell’arte, 25 maggio 2022. Al link https://www.ilgiornaledellarte.com/articoli/voli-trasvolate-e-scivoloni-del-pipistrello-biondo-sgarbi/139273.html (consultato il 20 luglio 2022)

[4] G. Ferrara, Vittorio Sgarbi condannato per diffamazione: offese critico d’arte - Il Fatto Quotidiano

[5] Il caso è citato in A. Barenghi, L’attribuzione di opere d’arte. Vero o falso? In Corriere Giuridico, n. 8-9, 1 agosto 2019, p. 1093

[6] A. Sandulli, Arte delittuosa, Guida editore, 1934, pag. 221.000

[7] Hahn v. Duveen, 133 Misc. 871, 234 N.Y.S. 185 (N.Y. Sup. Ct. 1929)

[8] Quello non è scrivere, è battere a macchina”.